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Post n°572 pubblicato il 19 Settembre 2015 da enodas

 

 

L'ambra é chiamata "oro"... "oro del Baltico", in particolare. E' un'espressione viva e suggestiva, eppure secondo me non rende completamente il fascino di questa pietra che scintilla alla luce dei suoi colori arancioni, talvolta racchiude la vita in abbraccio eterno e, quando posta vicino al fuoco sprigiona un'essenza che inebria la mente. L'ambra spunta in ogni angolo, davanti ad ogni porta, tagliata, raffinata o rozza, vera o meno che sia. Quasi su di essa si riflettessero le vie imperiali e le facciate scintillanti, di potere prestigio e ricchezza, come se fosse un abbraccio ammaliante, silenzioso ed un po' grigio la mattina, una domenica di settembre, quando le strade ancora sono deserte, e sulle rive della Vistola si sporgono solo un paio di pescatori anziani e per le strade appaiono schiere di fotografi al seguito di coppie di sposi. O la sera, scintillante ed in movimento, con eleganza però, tra un suono rieccheggiato di fisarmonica e lo spostamento lento di un fiume che si nasconde oltre una porta.

 

 

Ma Danzica é anche lo sbocco sul mare, quel porto enorme che un tempo la rese una delle città più potenti della Lega Anseatica, legò la sua storia, ormai millenaria, a quella dei suoi cittadini, secolo dopo secolo, tra assedi e lotte operaie. E' la Vistola, che termina il suo percorso, é separazione e contesa. Qui iniziò la Seconda Guerra Mondiale. Su una propaggine di terra, un lembo spazzato dal vento e da una pioggerellina gelida e sottile. Come se il cielo stesso volesse unirsi a narrre questo racconto. Del resto, erano proprio i primi giorni di Settembre, 1939. Questo fu il primo oggetto di contesa, la prima eroica resistenza, la capitolazione, infine, entro pochi giorni. Da qui, quella Polonia che era rinata da poco scompariva nuovamente dalle carte geografiche. Come anni fa, quando viaggiai in questa terra, attraversare la Polonia é navigare nella storia più recente in maniera tanto viva e cruda da essere perfettamente leggibile. E sono luoghi come questi, sinistramente silenziosi, quasi in religioso rispetto di ciò che é il passato. Così, dietro il centro scintillante, solo pochi metri bastano per arrivare delle tante chiese antiche e ricostruite, solo nell'architettura, dopo la guerra. Questa é la chiesa di Solidarnosc, degli operai che lavoravano nei cantieri e del parroco che marciava con loro. Pezzi di storia, piccoli frammenti recuperati e conservati lungo le absidi laterali, dall'invasione nazista e poi lungo tutto il periodo della Guerra Fredda. Tutto, immagini, croci di legno, ritagli di carta, posti a fianco di un altare d'ambra, costruito in tempi recenti. Quasi fosse l'essenza di Danzica, in una parola, o meglio un'immagine, un petalo di rosa lasciata sul terreno, oltre una linea di filo spinato.

 

 

Dove sta dunque l'anima di un luogo...nelle vie centrali, ricostruite dopo la guerra come erano prima, nelle chiese dall'aspetto antico come la data della loro fondazione ma ampiamente ricostruite all'interno, nei tram ed i servizi moderni e brillanti, o nelle vie che sono semplicemente la continuazione delle prime e già scendono in un altro mondo. Dove sta l'anima di un Paese segnato dalla storia, come segnati sono i volti degli anziani che arrivano al mercato, o nell'immediato ridosso, avvolti nei vestiti umili di campagna, a vendere mazzi di erbe, fiori, o prodotti freschi portati a mano. Le mani giunte, in preghiera, di un popolo strettamente legato al culto ed alla religione, e tese a porgermi il santino di un Papa, perché lo accetti e lo porti con me. O alzate, ritmicamente, come ritmici sono gli slogan, in segno di rifiuto, in questi giorno caldi di immigrazione e di Comunità Europea, dietro paure, una ricchezza nuova ma precaria, memoria selettiva del passato.
Ecco, anche se per pochi giorni, anche se in un luogo diverso, dopo anni, la Polonia mi appare anche così, in modo molto simile che ad allora, una trasformazione veloce, una ricchezza in costruzione, ed un peso ineludibile sulla memoria.

 

 

Come silenzio scende nel mare. Vento forte, raffiche fredde, quasi, e la cittadina, le sue luci, si allontanano poco a poco, ad ogni passo che compio. Ed io letteralmente cammino sull'acqua. Sospeso, un paio di metri sopra un unico moto informe e scuro del quale regolarmente giunge soltanto un rigurgito.
E da lontano queste luci, protese nel mare, sembrano quasi un quadro, una di quelle notti stellate, anche se il cielo rimane nascosto dalla luce stessa, dove ogni riflesso é un tratto di pennello informe e pastoso. 

 

"...Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte
che non ci accorgiamo d'essere baciati
se non per una differenza nell'anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall'antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione
con ciò che ci può essere nella vita."

(F.Pessoa)

 

 

Questo breve percorso, idealmente, sembra concludersi qui. Che é un giungere, almeno, a queste mura possenti, ed accedere ai passaggi protetti che in sequenza di questa fortezza mastodontica ne rivelano poco a poco ogni livello. Qui, dalla Palestina, arrivarono i monaci guerrieri, un ordine potente, i Teutonici, tanto da dar vita in queste terre ad uno stato vero e proprio. C'é un silenzio che sa di polvere, in questa giornata di settembre con pochi turisti qui attorno. E' lo stesso silenzio che rende questo castello ancora più grande, ancora più imponente, i corridoi in penombra ancora più scuri, e gli spazi di vita ancora più abbandonati. Sospeso tra potere ed ordine sacro.
A me viene in mente un altra fortezza, simile, nell'idea e nel suo significato, che hovisto tra le colline del Portogallo. Ecco, la piana di fronte, si trasforma in un verde indefinito, un campo incolto, senza luogo. Solo, la terra trema al passaggio lontano di cavalieri armati.

 

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