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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°674 pubblicato il 16 Febbraio 2017 da enodas

 

 

“I say “Lisbon”
When I arrive from the south and cross the river
And the city opens up as if born from its name
It opens and rises in its nocturnal vastness
In its long shimmering of blue and of river
In its rugged body of hills –
I see it better because I say it
Everything is more clearly where it is
Everything shows more clearly what it lacks
Because I say
Lisbon with its name of being and nonbeing
With its meanders of astonishment insomnia and shacks
And its secret theatre sparkle
Its masklike smile of intrigue and complicity
While the wide sea stretches westward
Lisbon swaying like a sailing ship
Lisbon cruelly built next to its own absence
I say the city’s name
I say it to see"

(Sophia de Mello Breyner)

 

 

Partirò dalla fine, da quello sferragliare del tram bianco e giallo che si arrampica su strade tortuose. Da lontano, la sera, ho teso l’orecchio ed ho ascoltato note di saudade, d’amore e di storia. Note di fado, quella musica antica che voci notturne infondono nelle luci soffuse tra i tavolini spartani e le viuzze acciottolate del Bairro Alto, ancora una volta trovano appoggio su uno strato profondo dell’anima. Ed in fondo alla strada, oltre un tram od un tavolino cui siede l’ombra di un grande poeta, si intravede il Tago, o quel che ne resta, quando ormai è già mare, attraversato da ponti infiniti che quasi si perdono nel cielo di una tempesta lontana, e spettacolari strutture moderne, e ciò che rimane di avamposti sul mare, le cui forme al tramonto sembrano costruite con crema montata, la stessa di un dolce dalla ricetta segreta nascosta in un convento alle porte della città. Ho riletto idealmente pagine di libri, versi lasciati su carta di caffè, e racconti di grandi esploratori.

 

 

Ao Viandante

Tu que passas e ergues para mim o teu braço
Antes que me faças mal, olha-me bem.

Eu sou o calor do teu lar nas noites frias de inverno
Eu sou a sombra amiga que tu encontras sob o sol de agosto.
E os meus frutos são a frescura apetitosa que te sacia a sede nos caminhos.

Eu sou a trave amiga da tua casa, a tábua da tua mesa, a cama
em que descansas, o lenho do teu barco.

Eu sou o cabo da tua enxada, a porta da tua morada
A madeira do teu berço e do teu próprio caixão.

Eu sou o pão da bondade e a flór da beleza.
Tu que passas, olha-me bem e não me faças mal.

 

 

Sembra quasi un luogo da fiaba, con i suoi castelli, i colori vivaci, le fortezze alzate tra le nuvole e gli eremi nascosti nella foresta. Come a Lisbona, anche a Sintra sento che qualcosa è cambiato, e queste strade già sono più battute rispetto al passato. Ma ancora basta, per ritrovare i colori, scalare passaggi semi-dimenticati, ed assaporare un cibo che fonde il sapore del mare con i colori della terra portoghese e pure quella tradizione regale del passato che immagino infusa nelle fantasiose variazioni di dolci. E soprattutto, basta per scendere indietro, nel tempo, ai Mori, alla reconquista cristiana ed allo sfarzo di un impero che diventava sempre più grande ed al mare guardava per raggiungere nuovi orizzonti.

 

 

“Eis aqui, quase cume da cabeca
de Europa toda, o Reino Lusitano,
onde a terra se acaba, e o mar comeca
esta è a ditosa Patria, minha amada…”

 

Sono giunto a Cabo da Roca, infine. F., anche se ogni istante, questi giorni, ti ho portato nel cuore, qui sicuramente sarà un po’ di più, ogni tappa di quel primo viaggio fatto insieme, anni fa, un po’ una scoperta ed un modo nuovo di viaggiare, tanti episodi che sono lì, carezza alla memoria. E poi, sono tornato qui, questo punto d’estremo occidente, dove non resta altro che un suono profondo, laggiù metri più in basso, ed una linea irraggiungibile in fondo, fin dove gli occhi possono arrivare. E’ un luogo dell’anima che da sempre custodisco gelosamente, un punto nascosto sulla mappa ed un pezzettino da regalare, a chi vorrà raccoglierlo, e così spero sia stato.

 

 

Questi giorni li ho vissuti con l’emozione del viaggio ed il tocco profondo dei ricordi. Sono passati anni, e molte esperienze, molti racconti, dall’ultima (e prima) volta che sono stato a Lisbona. Oggi, ancor di più sento mia quella frase, letta una volta, che i luoghi rappresentino una promessa e silenziosi rimangano ad aspettarti. Qui, sono tornato, ed ora, mentre riparto, ardentemente spero ritornerò.

 

 

“Sad, in my quiet room, alone as I have always been and I will always be, I sit writing. And I wonder if that seemingly feeble thing, my voice, does not perhaps embody the substance of thousand of voices, the hunger to speak out of lives, the patience of millions of souls who, like me, have submitted in their daily lives to vain dreams and evanescent hopes…”

(Fernando Pessoa)

 

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