EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura
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Messaggi di Marzo 2014
Post n°463 pubblicato il 28 Marzo 2014 da enodas
Si chiamava Dominikos Theotokopoulos, ed apponeva la propria firma in originale, in caratteri greci. El Greco, appunto, così é rimasto il suo nome, un soprannome, in una terra lontana dalla sua Candia. E' come se quelle lettere in greco con le quali ostinatamente si firmava, continuassero a testimoniare il sapore della sua terra. E così, dopo Venezia, dopo Roma, approdava nella cattolicissima Spagna, varcava le porte della cinta di Toledo e qui si stabiliva per il resto della sua vita. Nasceva "El Greco", uno stile personalissimo ed immediatamente riconoscibile, tra migliaia di tele, nasceva a contatto con una tradizione secolare, nel solco profondo della Reconquista e della Controriforma, non così lontana. Lo maturava in questa terra, di sole e di riti, sul germoglio impiantato durante l'esperienza italiana, gli incontri con la pittura veneziana, primo tra tutti Tiziano, ed i grandi maestri che aveva osservato a Roma. Le forme plastiche di Michelangelo, i colori delicati di Raffaello. Le opere di questo periodo rispecchiano una fase della vita artistica del Greco, e lentamente iniziano a fondersi in quei tratti tanto peculiari che trionferanno nella seconda metà della sua vita, interamente spesa a Toledo.
Aunque parezca sorprendente, nunca se ha realizado una exposición sobre el Greco en Toledo. En 1902 se celebró la primera muestra sobre el artista en el Museo del Prado y, desde entonces, la figura del pintor se ha dado a conocer a través de exposiciones en el mundo entero, pero nunca en Toledo, su ciudad. Esta exposición parte de la actividad del Greco antes de llegar a España, de Candía y Venecia a Roma, con la mirada puesta en su primera formación como maestro pintor en Creta y su paulatina apropiación de los modos occidentales italianos, a la sombra de Tiziano, Tintoretto, Giorgio Giulio Clovio, Miguel Ángel y otros artistas italianos de lienzos o estampas.
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Post n°462 pubblicato il 24 Marzo 2014 da enodas
Osservo il paesaggio che scorre oltre il finestrino. Verso Segovia, o Sego, come scrive sul telefonino la ragazza seduta vicino a me. Su un autobus chiamato La Sepulvedana. Ecco, per me basterebbe questo ad aggiungere una tonalità di colore in più ad un paesaggio che si svela così, attraverso un vetro che scivola via. Viaggerò in bus, nel cuore della Spagna. La mattina presto, con i bambini che vanno a scuola da paese a paese, nel primo pomeriggio con una ragazza che studia a Madrid e torna verso casa.
Sono partito con l'autobus della mattina. Ho disceso le strade della città deserta quando ancora era buio. A malincuore, le ho lasciate dietro di me. Quasi nel silenzio di una notte che ancora allungava le mani. Assonnato per l'orario, che non ho potuto scegliere. Il bus si ferma attraverso agglomerati di case, tra un punto e l'altro della Castilla y Leon, raccoglie ragazzini che vanno a scuola. Ed io, con loro sono in viaggio per Avila, arrivo che é tutto chiuso, e quell'aria fredda dai monti vicino mi afferra le ossa. E così questa volta la mattina, cammino per una città deserta, entro le navate di una cattedrale buia e silenziosa, unica porta aperta per le funzioni mattutine che mi protegge dal freddo.
Era la città delle spade, e non lo sapevo. E' la città dei cavalieri, e pure questo non ne ero molto sicuro, Eppure già qui si spalancano le porte della Mancha, e la sagoma del cavaliere che leggeva libri e si lanciava contro i mulini a vento, e quella del suo scudiero compaiono ovunque nelle vetrine. I mulini chissà, saranno là, oltre le colline, oltre la piega del Tago che gira attorno la città. Non immaginavo Toledo così bella. Lo capisco da subito, appena passato sotto la porta senza capire dove fossi e dove dovessi andare. Che queste strade di un altro mondo, vecchio di secoli, tutte in salita, in discesa, formano un labirinto affascinante. Mi colpisce il silenzio, ancora. Quello che improvvisamente si dissolve come si spalanca la piazza di fronte, nel cuore della città. Mi colpisce perché sembra carico di una storia intera, sotto le volte imponenti e la foresta di pilastri della cattedrale, dietro lo scrigno di tesori che sono dispersi tra le calli. Ecco, le spade sembrano quasi tintinnare, incrociarsi una con l'altra e sferragliare, dietro l'angolo, come il lavoro preciso di un artigiano che incide sull'argento o il colpo di pennello sulla ceramica.
Mi affascina sapere che proprio da questa porta passò il pittore, appena giunto in città. Come quel suono lontano, quasi un'evocazione, di campane, nelle tenebre del tempo. Si fermò qui, e non vide qualcosa di molto differente da ciò che vedo ora. Così, su quelle stesse note, evoco i suoi passi tra le strade illuminate la sera. Scendo giù fino alla Juderia, il vecchio quartiere ebraico, dove peraltro quel pittore visse, e poi ancora fino al ponte, prima di svoltare verso il convento, lasciando l'ultima sinagoga alle spalle, risalendo le scale, sotto il passaggio. Mi immergo nel silenzio di queste strade. Suggestione. Una musica lontana, ed il movimento di un gatto che fa cadere qualcosa, sui ciottoli, la interrompe, un attimo soltanto; le luci delle taverne invece filtrano, così come una voce dietro un portone. Risalgo fino al castello, la Placa Mayor, la stretta strada che gira attorno la cattedrale, tutto questo labirinto che gira attorno ad un centro spirituale e di potere, nel profondo della Spagna, mi perdo una notte d'inizio primavera.
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Post n°461 pubblicato il 20 Marzo 2014 da enodas
Mi sono reso conto che aveva esattamente la mia età. Venti anni fa. E' andata a morire in una terra di nessuno, contesa tra una miriade di capetti locali, sotto il patrocinio silenzioso del mondo civile che non solo se ne stava a guardare, ma entrava e si impantanava in una delle guerre più sporche che possano venire in mente. Sporca anche per noi, lorde le mani, per il nostro Paese, con scandali che sono venuti fuori a poco a poco ed altri che rimangono sepolti. Dagli atteggiamente dei soldati ai commerci di ogni genere. Sepolti, la parola esatta. Proprio come quei rifiuti tossici portati de quel mondo civile che doveva bloccare una guerra e nel frattempo la usava. Non c'é verità, ma anche se probabilmente certe cose rimangono addirittura non immaginabili, non serve troppa fantasia per intuire. Ha scavato, Ilaria Alpi, nella sporcizia, nelle ferite della gente, nel disastro di una guerra. Guerra che continua, dopo vent'anni, insuccessi e chissà quante altre schifezze sepolte. Noi che non sappiamo, noi che la nostra coscienza può decidere cosa credere. Anche lei ha deciso. Faceva un mestiere straordinario e bellissimo, e straordinariamente pericoloso. Ed oggi mi rendo conto che aveva la mia età. Mi fa sentire piccolo piccolo, io che me la vedo dietro lo sguardo meraviglioso di Giovanna Mezzogiorno che ne racconta la storia, io che la conosco attraverso le immagini di questo film e le interviste di una mamma, quella vera, che non dimentica. Lo stesso coraggio nelle vene. Dopo vent'anni. Dopo schiaffi morali ed una di quelle storie italiane inconfessabili. Ma non basta ad oscurare la silenziosa grandezza di persone fatte così, che non si piegano. Aveva la mia età.
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Post n°460 pubblicato il 12 Marzo 2014 da enodas
La guardo ed ho questo pensiero strano. Se solo si potesse isolare una cosa, far sì che altro non esistesse, far sì che... non lo so neanche io cosa intendo. Forse vorrei soltanto isolare questo momento, immaginare che sia una cosa diversa. Vorrei isolare i capelli neri, lisci, e gli occhi scuri. Come un'immagine che racchiude una persona buona. In realtà sono tutte le mie paure che pesano come macigni. Tutto quello che mi fa dire che no, non andrebbe bene. Credo sia la voce che intona questa musica a portarmi lontano, su questi pensieri. Ho sempre temuto la mia timidezza, la temo e la soffro, perché da sempre mi limita oltre ogni ragionevole misura. Questo penso, adesso. Eppure, credo non sia più nemmeno questa la pietra più pesante che mi porto dietro. La paura più grande é il disprezzo. Sì proprio così. E' una parola che mi buca lo stomaco anche solo a pensarla. Che ti fa sentire solo anche quando non lo sei. Ed ora mi fa togliere, togliere, togliere. Senza senso, ovviamente.
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Post n°459 pubblicato il 04 Marzo 2014 da enodas
Stendi il trucco. Colori vivaci, sul viso, come sui vestiti, come per le strade. Dipingi la pelle, gli occhi nascosti. Bambino o adulto, per qualche giorno sarà così. Una maschera emerge sul volto, con cui diventa un tutt'uno il doppio che nasconde. Certo, ci sarebbe molto da scrivere sulle maschere. Ma queste sono gioiose, dichiaratamente sfacciate, ostentatamente un gioco di partecipazione collettiva. Ed allora, forse un po' strano, ma all'obiettivo quei volti sembrano più vicini, più semplici a lasciarsi catturare, anche se poi la storia che raccontano é trasformata dai loro stessi colori. Come a dire che una storia c'é sempre, anche quando si tratta di un sogno. Alcuni nella bellezza semplice e straordinaria che emerge anche dietro uno sguardo ed un telo di trucco, altri nella bellezza del sorriso largo che li illumina. Sfilano, volti illuminati da sorrisi e sguardi un po' corrucciati un po' perplessi dei più piccoli. In un mondo rovesciato, come vuole la tradizione. Sentita da tutti, ma tutti letteralmente, da queste parti, tanto che gli occhi estranei fanno fatica a comprendere, almeno fino in fondo. Almeno, anche per me, che da qualche anno osservo questa carrellata itinerante di un mondo onirico che sfila per la strada sulla quale cammino. E d'improvviso mi immagino dentro una cornice dai bordi sfocati, colori di seppia ed un alito di vento che porta alle orecchie il rumore di quest'armata in lontananza. Si avvicina. Forse é per questo, per fermare nella realtà almeno alcuni dei suoi protagonisti, che con il teleobbiettivo puntato scruto i volti alla ricerca di uno sguardo che mi illumini o di un gesto semplice che mi sfiori l'animo.
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