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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Novembre 2014

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Post n°510 pubblicato il 20 Novembre 2014 da enodas

 

 

Ottobre 2014

 

Ho seguito la musica. Ed i ricordi. Quanto tempo é passato. Nel silenzio e nel buio frammentato di luce rivedo un'immagine rimasta impressa tanto tempo fa. La musica é il silenzio, quello di una cattedrale, di fronte al mare, un cavaliere tra zampilli d'acqua ed un'altro scolpito nella pietra, e quella stessa pietra innalzarsi da terra, come pilastri affusolati, o come materia plasmata e scolpita contro una rosa di colori. Esco fuori, quello che é il sole, caldo, chiaro, lo vedevo così allora, nei giorni d'agosto, proprio quando mi trovavo a decidere su una terra lontana. Forse allora non me n'ero accorto, di questa luce, di questo calore. Curioso anche questo.

 

 

Come questa, tante immagini che segnano miriadi di puntini su una mappa che passa attraverso il tempo. Osservo il mare, da un castello appollaiato a Montjuic, al termine di una stradina ed all'inizio di una scalinata che scende zigzagando sotto il percorso della funicolare. Barcellona ai miei piedi, le linee delle Ramblas, il profilo di una cattedrale mai terminata, il fronte sul mare sono punti di riferimento che cerchi, su una cartina colma di agglomerati senza soluzione di continuità. Ai miei piedi, come dal Parco più famoso, fatto di linee bizzarre e prospettive rubate alla natura. Sono sceso ancora, sotto un cielo che si mescola di nuovo, si colma di nubi, e conferisce alla spianata del campo olimpico un aspetto cupo e silenzioso. Ho seguito, nuovamente, la musica, anche quando tace. Ed ho su di me solo il rumore del vento, un'immagine in bianco e nero, e le linee protratte nel cielo, movimenti, fuochi sacri, echi di una festa passata, all'ombra di una torcia ormai spenta.
Ho seguito la musica. Nel cuore di Barcellona si trova un teatro fatto di linee sinuose e colori sgargianti, quasi fosse raffigurazione della musica stessa. Sono tutti luoghi ripercorsi, indietro, composti di frammenti che riemergono nella mente. E già mi trovo la sera, sulla Rambla del Mar, un'ultima linea, protratta la sera, che dalla città penetra silenziosa nel mare.

 

 

Ho seguito la musica. E due strade, dietro la Rambla, nel cuore del Barrio Gotico, un uomo ed una donna ballano il tango. Fasciata di nero, un abito lungo e sensuale, ha lo sguardo altero ed il profilo illuminato da un sole che sembra tagliare l'aria. Una luce netta, anche se é ottobre. Ed una piazzetta che si apre tra alberi che portano il profumo del mare, tavolini sparsi e pietre squadrate dalla superficie rivida. Su di esse, si proiettano ombre astratte e due figure danzanti.
E per un istante tutto il colore lascia spazio ad un'immagine di  un altro tempo, indefinito, lontano e vicino, come la potenza di questa musica, dei suoi movimenti, ammalianti e carichi di passione.

 

 

Tornare, anche così, velocemente, é in un certo senso una promessa. Ho la musica negli occhi ed il colore nel cuore. Quelli di una fontana, magica, che scroscia acqua e suoni, danza nella notte a ritmo di musica. Io sono un'ombra, un profilo qualsiasi che si staglia di fronte a questa tela liquida in continuo movimento. Uno di quelli che si riflettono in uno specchio dentro un mondo capovolto ed inafferrabile, tanto da frammentarsi al primo soffio di vento o quando solo si allung la mano a cercare di afferrarli. Io, chiudo gli occhi, e più di ogni altra cosa, di ogni altra immagine, so che questa fontana é un po' come se la portassi dentro, con un carico di ricordi e di momenti. Perché guardando indietro, guardando me stesso sullo stesso luogo, con gli occhi fissi allo stesso modo, leggo un istante e tutto quanto mi separa da allora. E' come scorgere una lunga strada percorsa ed io ho un po' di malinconia. Forse é semplicemente qualcosa di innato che sale come un nodo quando ci si ferma a pensare. O forse é un po' di più.
Salgo i gradini, fontana dopo fontana, cascata dopo cascata. E dietro di me la musica si attenua, poco a poco. Dall'alto é un'unica, completa scenografia. Per scendere di nuovo. Credo sia un luogo del cuore, per me, ora da solo, allora che tenevo in braccio mia sorella, sempre con piccole gocce d'acqua, sospese nell'aria. Invisibili, perché é sera, e perché tanto sono piccole. Leggermente, bagnano il viso e danzano nell'aria sulle note di una musica.
Un ultimo sguardo prima di ripartire.

 

 

 
 
 

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Post n°509 pubblicato il 18 Novembre 2014 da enodas

 

 



Ho varcato una porta, ho diretto gli occhi attraverso una finestra. Ma già mi chiedo se sia davvero reale - una porta vera, una finestra vera - questo mondo, questi mondi che si fondono, si trasformano, scompaiono in un'ombra per riapparire ogni volta in qualcosa di diverso. Connessioni impossibili che ora, di fronte agli occhi, si svelano semplici in maniera disarmante. Ma é davvero così? No, forse é un inganno, l'ennesimo, della mia mente, guidata ad arte da una mano geniale che esplode le dimensioni, le moltiplica in declinazioni impossibili. Ecco, il mio sguardo risulta deformato nel riflesso di una palla di cristallo che non svela il futuro, ma le infinite connessioni della mente, come queste si proiettino nello spazio, quello vero e quello fasullo, il significato delle forme più improbabili come non avrei saputo vederle.
Dopo tanto tempo sono tornato al museo dedicato ad Escher. C'era qualcosa di diverso, ed allo steso tempo di continuo, nella mia percezione di quest'arte declinata tutto sommato in una voce tutta particolare. Questo forse ho potuto osservare meglio, con un occhio diverso. Lo stesso, invece, rimane lo stupore e l'ammirazione, di fronte ai disegni, di fronte alle evoluzioni, che declinano disegno, matematica e fantasia.

 

 

Eternità ed Infinito. Sono queste le due parole chiave dell'opera di Escher, forse dell'occhio stesso con qui esplorava il mondo. Un matematico inconsapevole. Tanto da diventare ispirazione e confronto con la stessa comunità dei numeri. Perché i disegni di Escher sono intrisi di matematica, nella sua forma più affascinante, l'infinito appunto, visualizzato. Un prestigiatore continuo, dunque, che fondeva gli oggetti come fossero il suo mazzo di carte, che inventava piani sempre nuovi e sfruttava ogni debolezza dell'occhio umano per guidarlo nei sui numeri.
Eternità ed Infinito sono i concetti che l'uomo artista, l'uomo inventore scava nel profondo, come ricerca personale e come espressione di se stesso. Si guarda egli stesso allo specchio, non uno qualunque, ma quello sferico di una palla o dell'iride di un occhio, si muove tra colonnati senza base né capitello, percorre scale spiraleggianti, senza inizio né fine, come il corso di un'acqua che sembra deridere la gravità. Oppure, infine esausto, siede come un'ombra nascosta in un angolo di quello stesso spazio cui ha dato vita, incredulo e sconfitto da quel mondo impossibile che ha saputo creare ma non comprendere.

 

 

 
 
 

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Post n°508 pubblicato il 13 Novembre 2014 da enodas

 

 

Ottobre 2014

 

 

Ho i colori dell'autunno. Arroccato su una città fortezza, così come lungo la strada, un sinuoso saliscendi che attraversa foreste e villaggi che da lontano sembrano essere rimasti le borgate di un castello. In effetti, non é altro che una successione di piccole fortezze, a volte abbandonate a se stesse, a volte quasi strappate alla furia lenta e distruttiva del tempo. Il tempo, certo. Immobile in un nome, Granducato di Lussemburgo, sembra scorrere lento, la sera, tra strade in pendenza, o su un parapetto silenzioso che si apre sul vuoto, e proiettato infine nel presente, con le banche, i denari invisibili e le macchine sportive che di contro si vedono ad ogni angolo. Il tempo dei cavalieri é finito, forse, nascosto come flebile fiamma altrove, nella campagna appunto, dietro qualche pietra pericolante ed un arco spezzato. Avvolta, si vede, da un fasciame di foglie colorate, sul terreno, rampicanti, o sbuffi di colore in lontananza. Ed infine perso, lungo la sponda di un ruscello, seguo un rumore. Tra gli alberi, l'acqua altrove, un punto sotto il cammino, a tratti invisibile, ed i bagliori di un sole che colma l'aria di colore.
Si fondono due immagini, opposte, di ciò che si vede oltre una cnta muraria di pietra sospesa a strapiombo, ed il paesaggio attorno, immerso nelle Ardenne. Guidando, la sera, nel buio scompare e quasi ti inghiotte, almeno fino al prossimo borgo, al prossimo bagliore di vita.
Di queste due immagini fuse, non so dire quanto mi piaccia. Forse un luogo di passaggio, così un fine settimana, come é, che mi sfiora ma non mi lascia irreparabilmente strabiliato. Almeno, fino a quando non mi trovo su un sentiero, foglie colorate scricchiolano rendendo soffice il passo, ed un rivolo d'acqua lontano si trasforma in una cascata.

 

 

A poca distanza dall'aeroporto si aprono degli spiazzi tra le schiere di alberi. Del resto, sembra sia l'unica incongruenza di questi luoghi, quasi uno sfregio, udire saltuariamente il rollio dei motori. Non sono spiazzi qualsiasi, e non sono qui a caso. In una mattina qualsiasi, l'erba é ancora fradicia di rugiada, forse pure dei primi ghiacci notturni. Brillano ora, le gocce d'acqua, come brillanti. O forse chissà, sono lacrime. Che questa terra é intrisa di sangue. Le Ardenne fu una delle ultime battaglie della Seconda Guerra Mondiale, di sicuro l'ultima violenta controffensiva tedesca all'avanzata alleata. Ecco, qui, ad una distanza di un chilometro, restano schierati due battaglioni, separati da un niente, uniti nella tragedia della guerra come allora erano opposti. E' una schiera disarmante di nomi, a volte nemmeno quelli, e di date, un numero di anni vissuti troppo breve per essere ragionevole. Uno, a fianco all'altro. Avvolti nel silenzio che sembra calato dall'alto su luoghi com questi. Visitare questi luoghi di memoria e di raccoglimento, in ogni luogo d'Europa che li conserva, lascia sempre impressioni simili. Il contrasto innanzitutto, scritto dalla storia, scritto da chi é venuto dopo, talmente evidente, in questa linea d'aria di poche centinaia di metri: da una parte ci sono le pietre bianche allungate ed una cura ipersensbile, dall'altra le croci d'ardesia, tozze e squadrate, in un campo che lascia percepire inconsapevolmente un senso d'abbandono. Talmente diversi, dunque, anche ora. E' una sensazione impalpabile che si nasconde nei dettagli. Anche quando la luce del mattino illumina qulle foglie cadute e lasciate sul terreno. Anche quando é la nebbia a salire dal terreno e rendere l'orizzonte un po' meno visibile. Ecco, forse sono così, ombre che ci guardano, dietro quei nomi sconosciuti che restano lì scolpiti, dietro età giovanissime, dietro infine il particolare di un fiore appoggiato ad una croce, o un sasso lasciato sopra una stella. Ribadisccono, in questa tragedia immensurabile, un epitaffio scolpito all'entrata, che i cimiteri dei soldati sono il più grande monumento alla pace.

 

 

 
 
 

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Post n°507 pubblicato il 09 Novembre 2014 da enodas

 


Osservo una foglia, come tante. Rattrappita sul terreno, uno spuntone di pietra, intona il suo canto del cigo in un colore. Come a dire che un altro tempo è passato, un anno, una stagione, un respiro, ed è nuovamente l'autunno, coi suoi colori, qualche nebbia leggera e l'aria pungente la sera. Come a dire che la levetta degli anni da quando un giorno di età novembre sono salito su un aereo e sono andato si è spostata leggermente un po' più in là. C'è un'intrinseca contraddizione tra la bellezza di questi colori e l'ultimo sussulto che li accompagna, sospeso in un volo oscillante nell'aria ed è questa bellezza, credo, forse un po' malinconica e poetica, ad affascinare tanto.
Scorrendo le ultime pagine, più o meno scritte, mi accorgo bene che ci sono degli spazi lasciati bianchi, e degli spazi non scritti del tutto, tenuti altrove come appunti appesi su una parete. Avanzo con un po' di stanchezza tra varie cose da fare, la difficoltà di tenere per le mani i fili di un lavoro, mille idee sparse qua e là e qualche pensiero difficile, che, con delle decisioni, sembra quasi scivoli via perchè nemmeno sono riuscito a metterlo a fuoco come avrei dovuto. Caduto, oscillando leggermente nell'aria, come un riflesso che magari torna, improvviso, o un riflesso nuovo che scintilla dal nulla. Ogni tanto, da racconare.

 

 

 
 
 
 
 

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