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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Febbraio 2015

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Post n°530 pubblicato il 28 Febbraio 2015 da enodas

 


Sono sceso dal treno e mi sono trovato in un luogo che non conoscevo. Una stazione nuova. Dopo anni di lavoro, tanto che già scavavano da un bel po' quando me ne sono andato. E' curioso che, senza che lo sapessi, questa stazione sia stata aperta al pubblico proprio oggi: si capisce immediatamente dalla gente che staziona e si muove senza quel piglio di chi un treno lo deve prendere.
Proprio oggi, dopo anni, sono tornato a Delft, e questa stazione dall'aspetto moderno incastrata nel profilo di una città che fa mostra della propria storia dai secoli dell'epoca d'oro, apre i battenti ed onestamente lascia spazio a qualche perplessità sulla necessità, a volte un po' noncuranza, con cui qui si accosta il nuovo al vecchio senza tanti problemi.
Non é semplice tornare qui. Lo sapevo, e l'ho sempre evitato, quasi fosse una promessa al contrario. Mentre ero in treno, mi ero accorto che non riuscivo a ricostruire esattamente il tragitto che dalla stazione mi conduceva alla mia casa. Poi, inavvertitamente, é successo qualcosa che non immaginavo. Senza pensarci, sono uscito dalla stazione ed ho iniziato a camminare, ed automaticamente, ho attraversato ponti e percorso vicoli, come ogni giorno; svoltavo, osservavo le stesse cose, addirittura mi fermavo agli stessi punti dove sai che quasi sempre arriva qualcuno dalla strada.
E sono arrivato davanti a casa: una porta chiusa di cui non possiedo più la chiave. Ho rivisto me stesso, seduto sul pavimento, una mattina di ottobre: di fronte a me c'era uno spazio vuoto che consegnavo indietro all'agenzia. E' l'ultima immagine che avevo portato con me, l'ultima fotografia che avevo scattato. Sono anche ripassato dal lavoro, lungo poche centiania di metri che avevo percorso per quattro anni. Ogni angolo cambiava lentamente, impercettibilemnte, e rimaneva uguale ai miei ricordi. Ricordi appesi ad ogni angolo, ad ogni punto. Del resto ho vissuto qui per quasi cinque anni. Ho riso, ho pianto, a volte mi sono sentito terribilmente solo. Ma ho sempre amato questa cittadina che un pittore immortalò centiania di anni fa con una ragazza enigmatica ed un gioiello di perla.
Ho infranto la mia promessa, ho affrontato me stesso. Perché l'epilogo che rappresentava quel giorno di ottobre, portava con sé tristezze e ferite che non si cancellano. Sapendo che da una tempesta si esce, prima o poi, inevitabilmente trasformati. Sapendo che quella tempesta é comunque sempre lì, pronta ad esplodere in ogni momento. Del resto, per uno fatto così, che ogni ricordo rimane, indelebile e custodito gelosamente, non può essere altrimenti.
Sono tornato per delle compere. Proprio come la prima volta che giunsi qui, in visita di pochi giorni. Mentre il mercato del sabato animava il centro cittadino ed ogni cosa era al suo posto. Ci muoviamo attraverso infinite linee del tempo, ed ognuna ha il suo ritmo, che non é il nostro. Possiamo solo districarvici sull'onda dei ricordi, delle emozioni e della razionalità.
Perché ogni cosa che facciamo lascia un segno e aggiunge un tratto. Magari impercettibile, soprattutto a prima vista. Ed ogni decisione ci indirizza verso un nuovo incrocio. Ed il confine che marca il confine di equilibrio é molto labile e basta poco perché i pensieri lo valichino inavvertitamente per finire chissà dove. Le ferite rimangono, rimarranno, non c'e molto da fare. Così come la malinconia che si accompagna, più o meno inevitabilmente, ai ricordi. Acquerelli lasciati su una tela abbozzata. E qui ce ne sono tantissimi.
Allo stesso tempo mi veniva in mente un'altra immagine, quella di un molo, non molto lontano da qui, spazzato dal vento, dalle onde del mare e dalla sabbia che sibilante striscia sui passi, ed una sedia vuota. E che pensavo che ho le risorse, la forza per affrontare tutto questo. La forza dell'affetto di chi mi ama e mi vuole bene, la forza di quello che faccio e di chi mi stima per quello che sono, anche a costo di un po' di solitudine, dei viaggi affrontati, della musica e della bellezza, cos
ì come di ogni esperienza. Non eviteranno ferite profonde, ossa rotte e lacrime silenziose, ma terranno le spalle larghe e lo sguardo alzato.
Malinconia, inevitabilmente.

 

 
 
 

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Post n°529 pubblicato il 22 Febbraio 2015 da enodas

 

 

...ho questa immagine impressa, da ieri... quando vediamo qualcuno partire, e lo seguiamo immobili con lo sguardo allontanarsi, quando ci si gira, per un altro saluto, ogni volta un passo più lontano, quando sale un po' di malinconia e di tenerezza, al ritmo di un passo sofferente appoggiato ad un braccio ed una stampella... ho questa immagine, su una strada che scorre sotto le ruote, macino chilometri, uno dopo l'altro, con un senso di tristezza e di silenzi, lunghi come ombre, quasi a sentirsi in colpa di qualcosa, su binari talmente contorti, talmente attorcigliati che non sanno narrare.

 

 

 
 
 

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Post n°528 pubblicato il 20 Febbraio 2015 da enodas

 

 

...perché un numero ogni tanto può avere anche un altro significato, e non é un venerdì come altri, ed un giorno, una sera lontani sono quello che sono per il valore che noi sappiamo dargli...

 


[...]


"...Well, those who speak know nothin'
And find out to their cost
Like those who curse their luck in too many places
And those who fear are lost

I know that the spades are the swords of a soldier
I know that the clubs are weapons of war
I know that diamonds mean money for this art
But that's not the shape of my heart
That's not the shape, the shape of my heart..."


 
 
 

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Post n°527 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da enodas

 

La vergogna

 

 

Sono arrabbiato. No, non é nemmeno la parola giusta.
No, sono incazzato. E' una rabbia montante, che cresce ad ogni foto che arriva sui giornali, online o descritta per radio.
Sono arrabbiato per l'ignoranza, innanzitutto.  Perché questa é zoticità allo stato puro. Non ci sono molte parole da spendere
E sono arrabbiato per la provenienza. Esatto. Proprio quel Paese dove mi trovo e dove la gente smebra cresciuta a pane ed arroganza. Ecco, cosa c'entra, uno si domanda. Perché giustamente la vera verità é che gli imbecilli si trovano dappertutto ed anzi si raccolgono spesso come funghi. La stupidità non ha colore. Magari la spocchia, invece, un po' sì. Che onestamente a me queste immagini non mi sorprendono neanche tanto. Che di strade ridotte a spazzatura e fiumi e fumi di alcool non sono una scena molto difficile da trovare. Il mix con una tifoseria tra le peggiori d'Europa, poi, rende il cocktail micidiale. E' di tutta un'erba un fascio? Beh, chiedetelo a chi viene trattato a "pizza, mafia e mandolino", a tutti gli stereotipi che ci appiccicano come adesivi, e poi se ne riparla. Mi fanno bollire il sangue, sempre. Non li ho mai accettati finora, beh ora ho questo schifo in più per continuare a non accettarli.
Io credo che l'immagine che ne viene fuori parli da sola, e valga in un certo senso per il Paese Olanda, una volta. Non perché sono tutti uguali, anzi ritengo questa società capace ed esemplare di grandi esempi di civiltà, come raccontato spesso, e come ha saputo dimostrarsi in contemporanea attraverso le foto che altri Olandesi, a Roma, mandavano davanti a monumenti alla cultura ed alla bellezza che qua nemmeno si immaginano di avere. No, assolutamente. Ma questo é quello che quest'oggi hanno esportato e questo é quello per cui, magari non tecnicamente, ma moralmente dovrebbe essere pagato. Ecco, un altro punto. Un giorno ho noleggiato una macchina, ed ho guidato cinque minuti verso casa per recuperare i miei. Ho accostato, sono andato in cerca del biglietto da pagare, nonostante la sosta breve di prendere le valigie e metterle in macchina. Ecco, in quello che sono stati dieci minuti, due addetti al controllo parcheggio si sono materiallizzati e me li sono trovati a fare una multa. Col biglietto valido, in vista, certo, per il semplice motivo che da due decine di metri iniziasse un tratto per chi era in possesso del tagliando di residenza. Inutile dire che ovviamente non lo sapevo, che le strade erano vuote, lì dove era la mia porta di casa come dieci metri più indietro, inutile mostrare che stavo semplicemente aiutando i miei a salire. 150 euro, inclusa la pratica che passava automaticamente all'agenzia della macchina. E quest'uomo alto ed ignorante che mi diceva di imparare a leggere i segnali quando andavo fuori dal mio Paese. Ecco, questo mi fa incazzare, guardando una foto come quella qua sopra: gli "italiani che si tuffano in area di rigore", gli "stranieri che sono quelli che in realtà vanno veloce nelle autostrade", gli "Europei del sud che non lavorano". Che lo paghino loro questo schifo che hanno fatto imbottiti di birra.
Mi spiace, ma lezioni non ne accetto più.
E questo é l'ultimo punto. Perche sì, sono arrabbiato anche con un certo modo di ragionare italico. Bastava leggere i commenti o aprire una qualsiasi paginetta di social network: ogni volta, qualsiasi occasione é buona per sputare sul proprio Paese e frustarci addosso ramazzate su quanto siamo incapaci. Foto così, e commenti del genere non mancavano, giusto per dire che siamo degli scemi e ce lo meritiamo. Forse sarebbe ora di smetterla di dire che fa schifo tutto. Qui nessuno ha detto di vergognarsi di essere Olandese per questo episodio - che ci si vergognava per un gesto altrui, certo, ma mica per se stessi. L'esatto contrario di qualche italiota che scriveva a base  di queste foto. Perché quegli Italiani che qui "l'Italia é tutto schifo e qui é tutto oro" mi fanno bollire il sangue pure loro. Iniziamo a pretendere rispetto invece di flagellarci con tanto piacere. Io lo faccio, col mio lavoro e la coscienza di quello che porto con me. Che é anche una cultura ed una storia straordinarie, una lingua meravigliosa, una flessibilità mentale ed un senso della bellezza che non sono scontate, assieme a tante altre cose.
Inclusa la Barcaccia del Bernini.

 

 
 
 

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Post n°526 pubblicato il 14 Febbraio 2015 da enodas

 

A volte penso a questa tua bontà che tanto é semplice e cristallina da lasciarmi senza parole. Da mettere a nudo me stesso e tutte le ombre e le ferite che posso nascondere. Agli altri, certo, anche a te, quasi sempre, ma non a me stesso. Allora, le vedo più chiaramente. E nel silenzio nascosto, riesce spesso ad avere l'ultima parola. E' qualcosa di bello che mi sorprende, ogni volta, perhé non é scontata, perché sgorga così, come fosse naturale e con tenerezza. E' un pensiero che addolcisce, allenta leggermente anche i nodi più stretti. E, lievemente, mi disarma.

 


[...]


"...da me non c’erano fiori. La prima a portarmene è stata Bella. Poi in Francia... si può riflettere e pensare a lungo sul senso dei fiori, ma per me sono la vita stessa nella sua smagliante felicità".

 

 
 
 

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Post n°525 pubblicato il 08 Febbraio 2015 da enodas

 

 

Sono rimasto un po' sorpreso dal calore con cui nella sala da concerto la sua musica sia stata accolta con entusiasmo. Così come la presenza di opere in cartellone per la celebrazione di presunte ricorrenze. Sembra che gli Olandesi apprezzino Shostakovic. Una musica moderna, difficile e travagliata, come fu la parabola di una vita di questo compositore che ha attraversato il Novecento ed i suoi drammi.
Ricorrenze. Come quella della Settima Sinfonia, la Sinfonia "Leningrado", scritta sotto il violento assedio nazista. Shostakovich si trovava lì, dentro la città spinta alla fame, alla distruzione ed alla morte. Lì Shostakovich prestava servizio come pompiere, componeva di getto note che narrassero una resistenza eroica ed estrema, chiamava a raccolta.

 

"Un'ora fa ho terminato la partitura della seconda parte di una mia nuova grande composizione sinfonica. Se mi riuscirà di concluderla bene, se riuscirò a ultimare la terza e la quarta parte, allora quest'opera potrà chiamarsi Settima sinfonia. Due parti sono già scritte. Ci lavoro dal luglio del 1941. Nonostante la guerra, nonostante il pericolo che minaccia Leningrado, ho composto queste due parti relativamente in fretta.
[...] Io, leningradese di nascita, che mai ho lasciato la mia città natale, sento adesso più che mai la tensione della situazione. Tutta la mia vita e tutto il mio lavoro sono legati a Leningrado.
Leningrado è la mia patria. La mia città natale, la mia casa. E molte altre migliaia di leningradesi sentono quello che sento io. Un sentimento di infinito amore per la città natia, per le sue ampie strade, per le sue piazze e i suoi edifici incomparabilmente belli. Quando cammino per la nostra città in me sorge un sentimento di profonda sicurezza, che Leningrado si ergerà per sempre solenne sulle rive della Neva, che Leningrado nei secoli costituirà un possente sostegno per la mia Patria, che nei secoli moltiplicherà le conquiste della cultura.
Musicisti sovietici, miei cari e molteplici compagni d’arme, amici miei!
Ricordate che la nostra arte è seriamente minacciata. Ma noi difenderemo la nostra musica, continueremo con la stessa onestà e con la stessa dedizione a lavorare.
La musica che ci è tanto cara, alla cui creazione dedichiamo il meglio di noi, deve continuare a crescere e a perfezionarsi, come è stato sempre. Dobbiamo ricordare che ogni nota che esce dalla nostra penna è un progressivo investimento nella possente edificazione della cultura. E tanto migliore, tanto più meravigliosa sarà la nostra arte, tanto più crescerà la nostra certezza che nessuno mai sarà in grado di distruggerla.
[...] Vi assicuro, a nome di tutti i leningradesi, operatori della cultura e dell'arte, che siamo invincibili e che resteremo sempre al nostro posto di lotta."

 

Questa é la storia della Sinfonia n.7. Mastodontica, tanto da sembrare non finire mai. Venne eseguita in una Leningrado sotto le bombe, dagli orchestrali richiamati dal fronte, dopo che l'artiglieria aveva spazzato la macchina d'assedio nazista per prevenire azioni immediate, e dopo che altoparlanti erano stati puntati contro gli assedianti per gridare loro ed al mondo che Leningrado era viva, che la musica era viva, e non si arrendeva. Era il 9 Agosto 1942.
Pochi mesi prima, la partitura era giunta negli Stati Uniti al termine di un viaggio avventuroso attraverso la Persia e l'Egitto e, sotto la direzione di Arturo Toscanini, era diventata un simbolo di resistenza e di opposizione al regime nazista.

C'é sempre una storia - o molte più - dietro ogni opera. Questa sinfonia ha la sua, così come ha le sue diverse interpretazioni - in quanto musica a programma in senso lato - ed analisi musicali e filologiche. Le dimensioni mastodontiche, il linguaggio diretto e fortemente espressivo, specie nel primo e nell'ultimo movimento sono tutti elementi che contribuiscono al carattere epico e narrativo di un'opera che si colloca in un ben preciso contesto storico. Del resto, per i dettagli e la struttura di questa sinfonia non é complicato trovare dettagliati approfondimenti in rete così come nei commenti che accompagnano i programmi da concerto.

E del resto, di storia si permea tutta l'opera di questo compositore. Un uomo intrinsecamente legato al mondo sovietico, dall'ascesa di Stalina alla guerra fredda. Shostakovich, a differenza di altri grandi artisti, non abbandonò mai la patria russa, nemmeno nei momenti più difficili di confronto col gigante sovietico, forse anche per un intrinseca timidezza che lo portava ad affermare di non saper parlare altra lingua che russo.
Oppositore o sostenitore del regime: é una diatriba su cui si sono concentrati studi su studi ed é un'altro topos che si accosta inevitabilmente al nome di Shostakovich. Di sicuro uno di quei volti gentili che la sfera sovietica cercava di brandire, non senza forzandolo, di fronte al mondo. In realtà, l'intera vita di Sostakovich fu una sequenza di condanne ufficiali, umiliazioni da parte di omuncoli che esercitavano la censura come una clava che dava sfogo alla propria inettitudine (musicale, in questo caso), riconoscimenti, autocritiche e gesti per lo meno discutibili.
Esiste anche un filone interpretativo che vuole individuare - seguendo presunte indicazioni postume del compositore stesso - in ogni opera una fiera, latente opposizione al regime sovietico, ferocemente criticato e messo all'indice in maniera nascosta.
La verità, a mio parere, é che Shostakovich fu un uomo del suo tempo, capace di districarsi - a volte sopravvivere - in un percorso districato e colmo di insidie. Quelle dirette, della contingenza di una vita i cui fili potevano essere recisi in ogni momento, e quelle lasciate al giudizio della storia, della Musica in questo caso. La verità é che l'opera di Shostakovich, soprattutto in alcune partiture, e ben lontana dall'essere una banale e retorica dichiarazione di fede, ma affronta con profondità la caduta di tutte quelle certezze che rappresenta il Novecento.

Devo dire la verità, a me questa sinfonia non piace moltissimo, senza nessuna riserva. Certo, ha il valore ed il significato legati ad un dato momento storico e certo, é di forte presa emotiva, anche a settant'anni di distanza, come ho potuto constatare di persona qualche giorno fa. Per me, semplicemente, é molto lunga, tanto da risultare difficile da seguire. Così come non sono mai rimasto particolarmente colpito dalle altre sinfonie, che scorrono parallele lungo la vita di Shostakovich. Accanto a questo binario, poi, ce ne sono altri, legai ad altri generi e fome musicali, ma soprattutto ce n'é uno che si sviluppa con continuità. E' il filone dei quartetti. E' in questa forma che, a mio parere, si svela tutto il genio e tutto la drammatica riflessione di Shostakovich. Una riflessione, sulla vita, dell'uomo Shostakovich e dell'uomo in generale, dinanzi a tutte le brutture del secolo che si trova ad attraversare, una riflessione sulla morte e sulla tragicità del pensiero. Ecco, questa musica a tratti graffiante, che non permette di fare altro e tenerla in sottofondo, spesso una lotta senza respiro od uno stridore intonato, questa, anche se meno conosciuta ed eseguita sono per me la più bella testimonianza e forse sì - essendo magari un genere meno fruibile e magniloquente - anche lo specchio del filone compositivo di Shostakovich. Una risposta, in un certo senso, a quella diatriba sulla sua posizione dinanzi al regime, ed uno specchio del suo libero pensiero e della sua creatività.

 

 

 

[...]

 

 
 
 

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Post n°524 pubblicato il 02 Febbraio 2015 da enodas

 

 

...straordinariamente brava, incredibilmente bella...

 

 

 
 
 
 
 

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