EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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Messaggi di Marzo 2015
Post n°536 pubblicato il 29 Marzo 2015 da enodas
Sono luoghi che conosco. Attraverso questa regione sfrecciandovi sopra, guidando per ore. Sono luoghi che ricordo e che ho amato, la prima volta, per la bellezza e per le sensazioni. I ricordi scorrono, emergono e si sovrappongono. E rendono anche l'angolo più normale, qualcosa di significativo e la sensazione che sia familiare. Le barche di pescatori narrano silenziose che questo era un luogo di commercio, esploratori e pirati, un luogo di mare che si consegna oggi nelle tinte colorate di un porto che in una domenica di marzo contrasta con i nuvoloni in movimento nel cielo.
La "marea del secolo" é anche una terra asciutta. E' anche il contrario di quello che potremmo immaginare in un primo momento: acqua che si ritira, rivoli quasi impercettibili che scivolano tra sassi umidi lasciati scoperti. Scricchiolano, sotto le scarpe. E tratti di mare che improvvisamente diventano accessibili, laggiù, oltre le barche tirate a riva, dove le scogliere svelano venature normalmente raggiunte dall'acqua ed incavi lavorati dal mare. E dove, infine si ergono spuntoni rocciosi, altri invece calano dall'alto, sa quelle stesse scogliere, verticali, vertiginose e come un arco si gettano avanti. Si svela, quasi, questo tratto di mare, presente come un'eco lontano, solo poche ore, ed un paesaggio fantastico si proietta come ombre silenziose, come in una scenografia sulla quale lentamente si avvicina la sera.
Ansimo. Un po'. Voglio salire, più in fretta, gridare silenziosamente, urlare di gioia. E guardare giù in basso, a volo d'uccello, rabbrividire, per l'altezza, per il vento che quasi mi fa oscillare, mi spinge, mi fa sentire vivo come il respiro profono che prendo. Il sapore del mare, il rumore di ciò che é troppo grande per essere contenuto. Ho affrettato il passo per vedere la luce calda e radente sulle rocce verticali che da bianche diventavano rosate. Sono salito, per sfiorare l'erba che ondeggia e nel frattempo sedermi ed osservare quella linea invisibile. E poi, camminare, sul bordo, seguendo la scogliera, fino al prossimo sperone, quello che soltanto un attimo fa mi stava davanti e componeva il paesaggio, e poter così seguire la linea della costa, con lo sguardo, un altro po', almeno un altro tratto, svelato, agli occhi. E lascerò che tutto questo si imprima nel cuore. Ancora.
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Post n°535 pubblicato il 23 Marzo 2015 da enodas
Il monte é là, un profilo che delinea un'unica ombra oltre una coltre invisibile di nebbia e di nubi. Lo scorgo all'improvviso, mentre ancora sono alla guida, come una meta che mi attende e mi chiama. E' solo un raggio di luce, quello che attraversa i campi allineati che vanno, indefiniti, chissà dove, verso quella linea impercettibile dominata dal profilo di uno scoglio gigante che é fortezza inespugnabile e castello invisibile. Quegli stessi campi che percorro, passo sopo passo, sfiorando l'erba, gia ssaporando il sapore del mare. E mi avvicino, lentamente, lungo una strada che entra nell'acqua, anche se acqua veramente non c'é. E l'ombra diventa più definita, il cielo cambia, tanto rapidamente, che uno squarcio lascia passare un po' di luce, si riflette, sull'acqua immobile, prima, poi su quel profilo silenzioso, e subito scomprare, sotto il fischio del vento.
Come un pellegrino, sono tornato. Mi piace pensare che i luoghi rappresentino una promessa. Alcuni, soprattutto. E questo é uno di quelli. E passa attraverso una strada stretta, in salita, subito dopo le mura, segue un villaggio sospeso nel tempo, quasi che quelle mura lo avessero protetto non solo dall'acqua, non solo dalle invasioni. Affonda, le radici, come pilastri possenti impiantati sugli scogli di uno sperone roccioso, uno di quegli scherzi della natura, quasi, che l'ingegno dell'uomo ha levigato, costruito, sovrapposto. Sale, la strada, come a spirale, oltre le scale, sulla rocca, prima di immergersi dentro la terra, mi perdo, , la luce arriva da finestre che spaziano su una baia che esiste e non esiste.
Mare e non mare. Quell'oceano mare, si trova qui. Anche le sabbie sono luogo dell'anima. Sabbie mobili, oggi, limacciose e bianche, sempre più sullo sfondo. Laddove non si sa più se sia acqua o sia terra, o se l'acqua, più veloce di un cavallo al galoppo, stia riconquistando la terra. E sospesa, come in un mondo irreale, come un nodo dell'anima, rimane adagiata una barca, come se fosse stato ilv ento a trasposrtarla, fin lì, ed impiantarla su un deserto di sabbia.
E' un vento freddo che profuma di mare. Sale, sale, arriva chissà da dove, da un'orizzonte infinito che già inizia a nascondersi nel buio. Folate che ti investono e penetrano sotto la giacca. Mentre resto seduto su un costone di massi, in equilibrio, accucciato, e respiro a pieni polmoni quasi tremando. Ed arriva l'acqua, quasi da nulla, quasi improvvisa, scroscia tra le rocce, come un torrente che si gonfia, le sommerge già, più veloce di un sole che scende, nascosto dietro alle nubi dell'atlantico. E' il silenzio dell'acqua, delle luci che si accendono, laggiù, su uno sperone di roccia avvolto su se stesso, attorno la guglia più alta dell'abbazia che sale come un fuso verso il cielo, proprio dove le nuvole sembrano squarciate da una potenza immane, come quella dell'acqua che sale. E come la sabbia, starto su strato, così ogni immagine che porto con me, colore sopra colore, respiro dopo respiro.
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Post n°534 pubblicato il 20 Marzo 2015 da enodas
E' un post senza foto, questo. Malgrado fossi partito stamattina da casa con la macchina fotografica, l'obiettivo e tutte le buone intenzioni, suggerite dal fatto che ancora più a nord, in terra d'Olanda, lo spettacolo dell'eclissi sarebbe stato ancora più corposo.
"... Sgorgava loro un improvviso pianto, |
Post n°533 pubblicato il 17 Marzo 2015 da enodas
Laddove c'é un grumo di colore, un impasto di luce che sprigiona nel buio, un gesto impercettibile di straordinaria umanità, lì arrivava il suo pennello. Partendo da se stesso, in una serie di autoritratti lunga una vita, in cui non nascondeva se stesso, i cambiamenti del volto e, infine, la decadenza del corpo. Senza indugio, e senza commiserazione. L'ultimo sguardo che lascia impresso rimane vivace, quasi beffardo, di quel lampo che illumina gli occhi di chi sa di conoscere qualcosa che noi ancora non sappiamo. Lo stesso sguardo indagatore, che osservava una galleria di personaggi, reali o immaginati, colti nel momento in cui il loro mondo interiore veniva a galla. Intimacy. E conflitto, un'emozione sospesa, e riconciliazione: é così che ci si perde nello sguardo di un bambino, nel gesto di una mano, negli occhi ciechi di un vecchio. Ognuno specchio di un animo intero, messo a nudo, per quanto leggero, pesato, quasi impercettibile. Questi colori si muovono. E non sono movimenti fisici, ma un turbine di emozioni e sentimenti.
Un percorso per raccontare le rivoluzioni e la poliedricità di Rembrandt. Attraverso le opere degli ultimi anni, quelle che, per forza di cose, rappresentano un punto di arrivo di uno studio ed una riflessione continua. Inizialmente un po' difficile, con i riflettori puntati sui disegni e le sperimentazioni tecniche nelle stampe e nei soggetti: dall'interesse per la natura, senza idealizzazione, alle citazioni artistiche rivisitate, a quelle convenzioni che lo fecero dichiarare "pittore eretico", fino all'interpretazione del proprio rapporto con i ritratti della committenza. In ogni campo c'era un passaggio innovativo ed antitradizionale che in alcuni momenti costò a Rembrandt sfortuna nelle vicissitudini quotidiane ma assicurarono all'artista un posto tra le vette dell'arte. Passaggi straordinari, come quello, già riconosciuto allora, della capacità di cogliere e descrivere la luce, o come quello, toccante, della capacità di penetrare i soggetti che dipingeva. Uno scrutare continuo, del mondo, della natura e degli uomini, che si accantuava negli ultimi anni di vita del pittore, quasi che la vicissitudini personali e l'esperienza degli anni gli permettesse di soffermarsi con indulgenza e comprensione nei momenti di massima emozione. Dopo una lotta violenta, o immediatamente prima un conflitto, tutto interiore che determina il punto massimo del soggetto, prima che dell'azione in sé. Una differenza sottilissima ma strabiliante, che raccontava una storia da una prospettiva differente, estremamente interiore e personale, con un'intimità difficilmente raggiungibile e mai giudicata che, specie nelle ultime sezioni, l'esposizione cerca di sottolineare. E non a caso, sono quelle che mi sono piaciute maggiormente e mi hanno effettivamente emozionato. GLi sguardi raccolti, quelli sfuggenti e quelli assorti, allora, così impastati di colore e di una luce che si rivelava come intensi bagliori e cupe zone scure, assumevano un altro significato, affascinante e profondo.
"Having already suffered the early loss of his wife and three of their children, Rembrandt’s later years were burdened with bankruptcy, acrimonious legal proceedings with a former lover, and the loss of his common-law wife and only remaining son. However, far from diminishing as he aged, Rembrandt’s creativity gathered new energy. (dall'introduzione alla mostra "Rembrandt - The late works")
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Post n°532 pubblicato il 12 Marzo 2015 da enodas
C'é questo vento gelido che spira tra i pilastri, sotto le arcate, a tratti fischiando. Eppure, la luce é accecante, là in fondo, quando l'arena brilla del sole e si solleva al vento. Doveva essere intrisa di sangue e colma di urla, allora, un unica onda di paura, forse, terrore, chi lo sa, o una scarica di adrenalina pazzesca, mentre botole si aprivano, ascensori venivano azionati, e portoni si spalancavano. Mi rendo conto che quello che vedo é un'immagine imparata, filtrata da secoli di storia. Mi rendo conto che non é possibile veramente capire, immaginare, quello che era il valore dell'arena, del sangue che scendeva così come della vita che pulsava. No, quello che posso percepire é il silenzio maestoso nel presente, quello di una pietra spezzata e di un rumore continuo dei turisti che vi passano sopra, come sopra una spessa coltre del tempo che copre ogni cosa prima che io vi possa camminare sopra.
Quelle ombre che un musicista scrisse tra le note: osservo i pini, quelli di Roma, quelli mediterranei, ondeggiano dietro a folate di vento gelido, come non avrei aspettato, ora un po' di più quando é buio e ciò che resta sono sagome che scompaiono e luci brillanti in lontananza. E le rovine dei fori restano come illuminate soltanto dalla luna, in silenzio, su un colle buio che dall'alto domina la vista, disegni geometrici e perfetti ai miei piedi, un profilo dietro l'altro in lontananza, dentro una quiete che pare immobile, nel tempo.
Credo che non mi abituerò mai a questa idea. L'immagine di una città fatta di vicoli, strade e palazzi assiepati nel tempo, nell'ordine di secoli. No, la mia mente rimane inevitabilmente ferma, nel tempo, molto più indietro. E' per questo che ogni volta non smetto di stupirmi: perché ogni passo mi fa ricordare la ricchezza della storia, strato su strato, segno dopo segno. E ne testimonia la bellezza.
Ho osservato la luce, questi giorni. Sembrava quasi scolpire la pietra, modellare edifici, la mattina. Calda e dorata, anche se il vento si alzava in folate tremende. Animava una piazza, o penetrava attraverso fessure per proiettarsi su un cornicione di una sfera perfetta. Ondeggiava incerta, nel buio di edifici sacri, come fiammella isolata, o tagliava di nettostrade strette tra edifici eleganti. A catturarmi sin qui é stata una musica. Come il canto di una sirena, sola e flebile di un violino di strada. Un passaggio segreto, questo mi appare, od un palco invisibile. Ho nella mente un'altra immagine, di un violinista, un'immagine lontana ed impressa con delicatezza.
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Post n°531 pubblicato il 03 Marzo 2015 da enodas
Ho riatteso che si spegnessero le luci, quelle di una sala grande come uno stadio, e si accendessero quelle di un palco, al centro. Ho atteso la musica, una melodia stramba e lontana che mi riportasse in un mondo irreale, popolato di caratteri impossibili, come impossibili appaiono la potenza e le capacità del corpo umano. Tornato, a quel circo, attraverso il mondo di un quadro di Magritte, una bambina annoiata, una selva di personaggi sconosciuti che si affacciano sul palco, incrociando questa strada fantastica.
(from: Cirque du Soleil)
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