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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Marzo 2015

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Post n°536 pubblicato il 29 Marzo 2015 da enodas

 

 

 

Sono luoghi che conosco. Attraverso questa regione sfrecciandovi sopra, guidando per ore. Sono luoghi che ricordo e che ho amato, la prima volta, per la bellezza e per le sensazioni. I ricordi scorrono, emergono e si sovrappongono. E rendono anche l'angolo più normale, qualcosa di significativo e la sensazione che sia familiare. Le barche di pescatori narrano silenziose che questo era un luogo di commercio, esploratori e pirati, un luogo di mare che si consegna oggi nelle tinte colorate di un porto che in una domenica di marzo contrasta con i nuvoloni in movimento nel cielo.
Forse é un'immagine in bianco e nero. Sospeso sull'acqua, sospeso nel vento. La strada continua su un ponte che é meraviglia ed ingegno. Strano o no, anche questo tratto di strada particolare é uno di quei ricordi che rendono un'immagine familiare. Sempre su un cielo in cambiamento continuo, ed i fili d'erba che lo rispechiano, come fosse davvero acqua mossa dal vento. E' questo il fascino dei ponti, le due rive, in realtà, separate ed unite allo stesso tempo, da due braccia che si tendono una verso l'altra.

 

 

La "marea del secolo" é anche una terra asciutta. E' anche il contrario di quello che potremmo immaginare in un primo momento: acqua che si ritira, rivoli quasi impercettibili che scivolano tra sassi umidi lasciati scoperti. Scricchiolano, sotto le scarpe. E tratti di mare che improvvisamente diventano accessibili, laggiù, oltre le barche tirate a riva, dove le scogliere svelano venature normalmente raggiunte dall'acqua ed incavi lavorati dal mare. E dove, infine si ergono spuntoni rocciosi, altri invece calano dall'alto, sa quelle stesse scogliere, verticali, vertiginose e come un arco si gettano avanti. Si svela, quasi, questo tratto di mare, presente come un'eco lontano, solo poche ore, ed un paesaggio fantastico si proietta come ombre silenziose, come in una scenografia sulla quale lentamente si avvicina la sera.

 

 

Ansimo. Un po'. Voglio salire, più in fretta, gridare silenziosamente, urlare di gioia. E guardare giù in basso, a volo d'uccello, rabbrividire, per l'altezza, per il vento che quasi mi fa oscillare, mi spinge, mi fa sentire vivo come il respiro profono che prendo. Il sapore del mare, il rumore di ciò che é troppo grande per essere contenuto. Ho affrettato il passo per vedere la luce calda e radente sulle rocce verticali che da bianche diventavano rosate. Sono salito, per sfiorare l'erba che ondeggia e nel frattempo sedermi ed osservare quella linea invisibile. E poi, camminare, sul bordo, seguendo la scogliera, fino al prossimo sperone, quello che soltanto un attimo fa mi stava davanti e componeva il paesaggio, e poter così seguire la linea della costa, con lo sguardo, un altro po', almeno un altro tratto, svelato, agli occhi. E lascerò che tutto questo si imprima nel cuore. Ancora.

 

 

 
 
 

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Post n°535 pubblicato il 23 Marzo 2015 da enodas

 

 

Il monte é là, un profilo che delinea un'unica ombra oltre una coltre invisibile di nebbia e di nubi. Lo scorgo all'improvviso, mentre ancora sono alla guida, come una meta che mi attende e mi chiama. E' solo un raggio di luce, quello che attraversa i campi allineati che vanno, indefiniti, chissà dove, verso quella linea impercettibile dominata dal profilo di uno scoglio gigante che é fortezza inespugnabile e castello invisibile. Quegli stessi campi che percorro, passo sopo passo, sfiorando l'erba, gia ssaporando il sapore del mare. E mi avvicino, lentamente, lungo una strada che entra nell'acqua, anche se acqua veramente non c'é. E l'ombra diventa più definita, il cielo cambia, tanto rapidamente, che uno squarcio lascia passare un po' di luce, si riflette, sull'acqua immobile, prima, poi su quel profilo silenzioso, e subito scomprare, sotto il fischio del vento.

 

 

Come un pellegrino, sono tornato. Mi piace pensare che i luoghi rappresentino una promessa. Alcuni, soprattutto. E questo é uno di quelli. E passa attraverso una strada stretta, in salita, subito dopo le mura, segue un villaggio sospeso nel tempo, quasi che quelle mura lo avessero protetto non solo dall'acqua, non solo dalle invasioni. Affonda, le radici, come pilastri possenti impiantati sugli scogli di uno sperone roccioso, uno di quegli scherzi della natura, quasi, che l'ingegno dell'uomo ha levigato, costruito, sovrapposto. Sale, la strada, come a spirale, oltre le scale, sulla rocca, prima di immergersi dentro la terra, mi perdo, , la luce arriva da finestre che spaziano su una baia che esiste e non esiste.

 

 

Mare e non mare. Quell'oceano mare, si trova qui. Anche le sabbie sono luogo dell'anima. Sabbie mobili, oggi, limacciose e bianche, sempre più sullo sfondo. Laddove non si sa più se sia acqua o sia terra, o se l'acqua, più veloce di un cavallo al galoppo, stia riconquistando la terra. E sospesa, come in un mondo irreale, come un nodo dell'anima, rimane adagiata una barca, come se fosse stato ilv ento a trasposrtarla, fin lì, ed impiantarla su un deserto di sabbia.
Ecco, come un pellegrino, sono tornato in uno dei luoghi più belli che abbia mai visto. Ad ogni ora del giorno, una nuova riga da scrivere, come un soffio di vento che mi spinge sui bastioni, o la sera, lontano, ad osservare. Un'altra riga, ancora, o una moneta, lasciata cadere, per tornare di nuovo.

 

 

E' un vento freddo che profuma di mare. Sale, sale, arriva chissà da dove, da un'orizzonte infinito che già inizia a nascondersi nel buio. Folate che ti investono e penetrano sotto la giacca. Mentre resto seduto su un costone di massi, in equilibrio, accucciato, e respiro a pieni polmoni quasi tremando. Ed arriva l'acqua, quasi da nulla, quasi improvvisa, scroscia tra le rocce, come un torrente che si gonfia, le sommerge già, più veloce di un sole che scende, nascosto dietro alle nubi dell'atlantico. E' il silenzio dell'acqua, delle luci che si accendono, laggiù, su uno sperone di roccia avvolto su se stesso, attorno la guglia più alta dell'abbazia che sale come un fuso verso il cielo, proprio dove le nuvole sembrano squarciate da una potenza immane, come quella dell'acqua che sale. E come la sabbia, starto su strato, così ogni immagine che porto con me, colore sopra colore, respiro dopo respiro.
Sono pochi i luoghi che racchiudono una magia come questo. Anche tra quei luoghi dell'anima. Specie quando é sera, quando sale la marea. Ancora di più in un giorno speciale quando solstizio ed eclissi si sovrappongono ad originare una forza starordinaria. Dopo oltre cent'anni, Mont-Saint-Michel tornerà ad essere isola.

 

 

 
 
 

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Post n°534 pubblicato il 20 Marzo 2015 da enodas

 

E' un post senza foto, questo. Malgrado fossi partito stamattina da casa con la macchina fotografica, l'obiettivo e tutte le buone intenzioni, suggerite dal fatto che ancora più a nord, in terra d'Olanda, lo spettacolo dell'eclissi sarebbe stato ancora più corposo.
A me, con l'eclissi di sole, viene sempre in mente la nonna che quel giorno era preoccupata davvero, tanti anni fa. Nella sua buona ingenuità, che rispecchiava la saggezza popolare, questo fenomeno era qualcosa che la spaventava, tanto che la andai a prendere a casa, per vederla insieme, dal balcone di casa nostra, e la prendevo affettuosamente in giro.
Ricordo il "freddo", improvviso, di un giorno d'estate.
Lo stesso che, credo, sia sceso stamattina. Niente altro, forse leggermente più buio. Il resto, invece, é rimasto inghiottito in una coltre di nubi e di nebbia, un grigio chiuso ed uniforme che non ha lasciato spazio nemmeno all'immaginazione.
E silenziosa quanto invisibile, é scivolata via.

 

"... Sgorgava loro un improvviso pianto,
E di prevista disventura il duolo
Ne' lor petti regnava. E qui levossi
Teoclimèno, il gran profeta, e disse:
"Ah miseri, che veggio? E qual v'incontra
Caso funesto? Al corpo intorno, intorno
D'atra notte vi gira al capo un nembo.
Urlo fiero scoppiò; bagnansi i volti
D'involontarie lagrime; di sangue
Tingonsi le pareti ed i bei palchi;
L'atrio s'empie e il cortil d'ombre, che in fretta
Giù discendon nell'Erebo; disparve
Dal cielo il sole, e degli aerei campi
Una densa caligine indonnossi"... "

 
 
 

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Post n°533 pubblicato il 17 Marzo 2015 da enodas

 

 

 

Laddove c'é un grumo di colore, un impasto di luce che sprigiona nel buio, un gesto impercettibile di straordinaria umanità, lì arrivava il suo pennello. Partendo da se stesso, in una serie di autoritratti lunga una vita, in cui non nascondeva se stesso, i cambiamenti del volto e, infine, la decadenza del corpo. Senza indugio, e senza commiserazione. L'ultimo sguardo che lascia impresso rimane vivace, quasi beffardo, di quel lampo che illumina gli occhi di chi sa di conoscere qualcosa che noi ancora non sappiamo. Lo stesso sguardo indagatore, che osservava una galleria di personaggi, reali o immaginati, colti nel momento in cui il loro mondo interiore veniva a galla. Intimacy. E conflitto, un'emozione sospesa, e riconciliazione: é così che ci si perde nello sguardo di un bambino, nel gesto di una mano, negli occhi ciechi di un vecchio. Ognuno specchio di un animo intero, messo a nudo, per quanto leggero, pesato, quasi impercettibile. Questi colori si muovono. E non sono movimenti fisici, ma un turbine di emozioni e sentimenti.

 

 

Un percorso per raccontare le rivoluzioni e la poliedricità di Rembrandt. Attraverso le opere degli ultimi anni, quelle che, per forza di cose, rappresentano un punto di arrivo di uno studio ed una riflessione continua. Inizialmente un po' difficile, con i riflettori puntati sui disegni e le sperimentazioni tecniche nelle stampe e nei soggetti: dall'interesse per la natura, senza idealizzazione, alle citazioni artistiche rivisitate, a quelle convenzioni che lo fecero dichiarare "pittore eretico", fino all'interpretazione del proprio rapporto con i ritratti della committenza. In ogni campo c'era un passaggio innovativo ed antitradizionale che in alcuni momenti costò a Rembrandt sfortuna nelle vicissitudini quotidiane ma assicurarono all'artista un posto tra le vette dell'arte. Passaggi straordinari, come quello, già riconosciuto allora, della capacità di cogliere e descrivere la luce, o come quello, toccante, della capacità di penetrare i soggetti che dipingeva. Uno scrutare continuo, del mondo, della natura e degli uomini, che si accantuava negli ultimi anni di vita del pittore, quasi che la vicissitudini personali e l'esperienza degli anni gli permettesse di soffermarsi con indulgenza e comprensione nei momenti di massima emozione. Dopo una lotta violenta, o immediatamente prima un conflitto, tutto interiore che determina il punto massimo del soggetto, prima che dell'azione in sé. Una differenza sottilissima ma strabiliante, che raccontava una storia da una prospettiva differente, estremamente interiore e personale, con un'intimità difficilmente raggiungibile e mai giudicata che, specie nelle ultime sezioni, l'esposizione cerca di sottolineare. E non a caso, sono quelle che mi sono piaciute maggiormente e mi hanno effettivamente emozionato. GLi sguardi raccolti, quelli sfuggenti e quelli assorti, allora, così impastati di colore e di una luce che si rivelava come intensi bagliori e cupe zone scure, assumevano un altro significato, affascinante e profondo.

 

 

"Having already suffered the early loss of his wife and three of their children, Rembrandt’s later years were burdened with bankruptcy, acrimonious legal proceedings with a former lover, and the loss of his common-law wife and only remaining son. However, far from diminishing as he aged, Rembrandt’s creativity gathered new energy.
From the 1650s until his death in 1669, Rembrandt pursued an artistic style that was expressive and radical. His bold manipulation of printing and painting techniques and progressive interpretations of traditional subjects inspired generations of artists, earning him a reputation as the greatest master of the Dutch Golden Age.
Through famous masterpieces and rare drawings and prints, ‘The Late Works’ examines the themes that preoccupied Rembrandt as he grew older: self-scrutiny, experimentation, light, observation of everyday life and even other artists’ works; as well as expressions of intimacy, contemplation, conflict and reconciliation. 
“Even three-and-a-half centuries after his death, Rembrandt continues to astonish and amaze. His technical inventions, and his profound insight into human emotions, are as fresh and relevant today as they were in the 17th century.”
‘Rembrandt: The Late Works’, organised by the National Gallery, London and the Rijksmuseum, Amsterdam, offers an opportunity to experience the passion, emotion and innovation of the great master."

(dall'introduzione alla mostra "Rembrandt - The late works")

 

 

[...]

 
 
 

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Post n°532 pubblicato il 12 Marzo 2015 da enodas

 

 

C'é questo vento gelido che spira tra i pilastri, sotto le arcate, a tratti fischiando. Eppure, la luce é accecante, là in fondo, quando l'arena brilla del sole e si solleva al vento. Doveva essere intrisa di sangue e colma di urla, allora, un unica onda di paura, forse, terrore, chi lo sa, o una scarica di adrenalina pazzesca, mentre botole si aprivano, ascensori venivano azionati, e portoni si spalancavano. Mi rendo conto che quello che vedo é un'immagine imparata, filtrata da secoli di storia. Mi rendo conto che non é possibile veramente capire, immaginare, quello che era il valore dell'arena, del sangue che scendeva così come della vita che pulsava. No, quello che posso percepire é il silenzio maestoso nel presente, quello di una pietra spezzata e di un rumore continuo dei turisti che vi passano sopra, come sopra una spessa coltre del tempo che copre ogni cosa prima che io vi possa camminare sopra.

 

 

Quelle ombre che un musicista scrisse tra le note: osservo i pini, quelli di Roma, quelli mediterranei, ondeggiano dietro a folate di vento gelido, come non avrei aspettato, ora un po' di più quando é buio e ciò che resta sono sagome che scompaiono e luci brillanti in lontananza. E le rovine dei fori restano come illuminate soltanto dalla luna, in silenzio, su un colle buio che dall'alto domina la vista, disegni geometrici e perfetti ai miei piedi, un profilo dietro l'altro in lontananza, dentro una quiete che pare immobile, nel tempo.

 

 

Credo che non mi abituerò mai a questa idea. L'immagine di una città fatta di vicoli, strade e palazzi assiepati nel tempo, nell'ordine di secoli. No, la mia mente rimane inevitabilmente ferma, nel tempo, molto più indietro. E' per questo che ogni volta non smetto di stupirmi: perché ogni passo mi fa ricordare la ricchezza della storia, strato su strato, segno dopo segno. E ne testimonia la bellezza.
In tutto questo, come una maglia invisibile, so che ci sono dei punti a cui non posso rinunciare, non tanto perché fanno comunque parte di un itinerario imperdibile, quanto piuttosto per i ricordi che affiorano come una giornata di sole, un riflesso, una sensazione sulla pelle. Si dissolvono nell'aria, come bolle di sapone che un gruppo di bambini cercano di raggiungere nell'aria, come la musica di un contrabbasso strimpellato come fosse jazz puro od il gusto del gelato che riempie un cono di cialda. E come frammenti d'acqua si spargono nell'aria e scendono nel profondo, laddove rimangono custoditi, indefinitamente.

 

 

Ho osservato la luce, questi giorni. Sembrava quasi scolpire la pietra, modellare edifici, la mattina. Calda e dorata, anche se il vento si alzava in folate tremende. Animava una piazza, o penetrava attraverso fessure per proiettarsi su un cornicione di una sfera perfetta. Ondeggiava incerta, nel buio di edifici sacri, come fiammella isolata, o tagliava di nettostrade strette tra edifici eleganti. A catturarmi sin qui é stata una musica. Come il canto di una sirena, sola e flebile di un violino di strada. Un passaggio segreto, questo mi appare, od un palco invisibile. Ho nella mente un'altra immagine, di un violinista, un'immagine lontana ed impressa con delicatezza.
Nascosto, ti ascolto, nelle pieghe dell'anima.

 



Ho riattraversato quel ponte tra due ali di angeli. A volte é strano come accavalliamo i ricordi, anto da ingannare noi stessi. Pensavo a come sia semplice, inaspettatamente, ascoltare il silenzio: bastano pochi passi, la sera che sale, e forse un piccolo balzo dell'anima. Ho percorso in lungo e in largo, eppure rimane così tanto di non visto.
Poche ore soltanto, e mi trovavo in una galleria. Stracolma di carte geografice ed affreschi. Per arrivare in San Pietro, direttamente dai Musei Vaticani, dovevo ripercorrere l'intero museo. E, nella fine della giornata, attraversavo stanze colme di arte, una dopo l'altra, come solo poco prima non avrei saputo immaginare. Sentendo il rumore dei miei passi sul pavimento, in quel silenzio particolare che é proprio nelle sale di un museo. Ho camminato veloce, pur rallentando quanto potevo, perché era come rivedere qualcosa di nuovo, qualcosa che mi travolgeva tanto stupefacente poteva apparirmi. Ogni passo, ogni sguardo, ogni dettaglio che cercavo di catturare, a fronte di tutti quelli che mi sfuggivano, come se li conoscessi e riconoscessi, eppure affioravano all'improvviso.
Semplicemente, volevo tornare qui.

 

 

 
 
 

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Post n°531 pubblicato il 03 Marzo 2015 da enodas

 

 

Ho riatteso che si spegnessero le luci, quelle di una sala grande come uno stadio, e si accendessero quelle di un palco, al centro. Ho atteso la musica, una melodia stramba e lontana che mi riportasse in un mondo irreale, popolato di caratteri impossibili, come impossibili appaiono la potenza e le capacità del corpo umano. Tornato, a quel circo, attraverso il mondo di un quadro di Magritte, una bambina annoiata, una selva di personaggi sconosciuti che si affacciano sul palco, incrociando questa strada fantastica.
E' sempre una magia ed un trattenere il respiro quando ad accendersi sono le luci del Cirque du Soleil. Del resto, sono spettacoli che mi piacciono, e non solo a me, vista la frequenza con cui le diverse compagnie del teatro canadese approdano in Olanda. Detto questo, rispetto ad altri spettacoli, questo ha lasciato qualche frase in sospeso. Non tanto sulla storia, del resto spesso piuttosto indefinita, ma con un'atmosfera altamente poetica, quanto piuttosto per il programma, un po' carente - rispetto ad altre performances - dell'elemento spettacolare, del numero impossibile, e di un ritmo sostenuto, troppo inframmezzato dagli interventi dei clown, spesso abbastanza esterni al filo logico della storia narrata.
Di tutti, il numero che più mi rimarrà impresso é sicuramente quello di due figure umane, praticamente nude, un Adamo ed Eva che si ponevano al centro di un oscuro universo, sospese nello spazio e nel tempo come fossero statue, sfidando ogni percezione della gravità, dell'attrito, dell'equilibrio. Due sculture viventi che si fondevano in un'armonia impossibile, immerse in un silenzio surreale sottolineato dalla lentezza dei movimenti e dalla profonda concentrazione degli artisti. Allora, anche il tuo respiro, lo senti, gonfiare il petto, risalire e, come fosse paura di spezzare un filo invisibile, smorzarsi in un alito sottile nell'aria.

 

 

[...]


"Young Zoé is bored; her parents, distant and apathetic, ignore her. Her life has lost all meaning. Seeking to fill the void of her existence, she slides into an imaginary world - the world of Quidam - where she meets characters who encourage her to free her soul.
Quidam: a nameless passer-by, a solitary figure lingering on a street corner, a person rushing past and swallowed by the crowd. It could be anyone, anybody. Someone coming or going at the heart of our anonymous society. A member of the crowd, one of the silent majority. The one who cries out, sings and dreams within us all. This is the "quidam" whom this show allows to speak. This is the place that beckons - a place for dreaming and genuine relations where all quidams, by proclaiming their individuality, can finally emerge from anonymity."

(from: Cirque du Soleil)

 

 
 
 
 
 

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