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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Agosto 2017

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Post n°717 pubblicato il 29 Agosto 2017 da enodas

 

 

 

“…per udire soltanto il vento ed il mare…”

 

Questa é la prima immagine che ho impresso negli occhi. Dall’altura di una collina, con i fili d’erba che ondeggiavano piegati dal vento, potevo osservare lontano, e ritrovare nel cuore, prima ancora che nella mente, quelle immagini che avevo lasciato depositare su me stesso. Ho ritrovato quel paesaggio, con il mare così lontano, ritratto fino quasi a scomparire da una forza invisibile e stupefacente, lasciando le chiglie delle barche depositarsi su ciò che restava, una spiaggia umida ed insidiosa, fatta di silenzi e di infinito. Ho ritrovato, aguzzando la vista, il profilo ombrato di un monte proteso in quel mare scomparso: appariva quasi un miraggio, un luogo fantastico che si ergeva sul profilo di una natura così lontana dalla mia realtà, e che soltanto scrutando attentamente negli ingrandimenti di una foto ricompariva magicamente. Ed ho sentito di nuovo la forza del vento, mentre muoveva le nubi di un cielo in guerra con se stesso, dipingeva tonalità d’azzurro sul mare, che mi scuoteva, così minuto sul profilo di questo promontorio ed a forza narrava la storia dei prossimi giorni.

 

 

“Mentre il cuore ha dei desideri, l’immaginazione conserva illusioni”

 

Sto seguendo una linea tracciata dal vento. Tortuosa, elegante, flebile eppure senza fine, conduce a mura possenti ed irresistibili ad ogni assalto. Si muove, spazzata dal vento, su una tavola che, ancora una volta, diventerà presto possesso del mare. Suona una danza, che in qualche modo io continuo ad associare a queste linee e a questi passi che mi sembrano sospesi nel vuoto, in una mattina dalle nubi folte, isole nascoste che si scoprono alla vista armi di difesa letali e quel profilo di città, verso cui sono diretto.

 

 

Dietro quelle mura possenti, sorge la città dei corsari. Conosciuta così, quando la pirateria era un atto di Guerra fredda tra potenze del mare che si fronteggiavano bramose attraverso un braccio di mare. E questo nome già la ricopre di un’aura di leggenda, rende le note di danza ancora più forte, e le sue mura imprendibili ancora più possenti. Le ho conquistate, in qualche modo, solcandole passo dopo passo, prima di scendere giù, nel cuore della città, dove pirati erano mercanti e le loro case sfarzi raggianti, e dove per le vie le luci ed i rumori echeggiano, tra passato e presente, dalle locande, dai negozi, e dalla gente che si affaccia verso la spiaggia, ora rigurgitata dal mare.

 

 

“Tutti i miei giorni sono degli addii… si muore ad ogni momento per un tempo, una cosa, una persona che non si rivedrà più…”

 

Ho iniziato a cavalcare i promontori. Punti quasi irraggiungibili che si protendono nell’azzurro opaco di una mappa. Un nome che scivolerà via, come il vento che lo porta. Mi piace arrivare verso sera, quando la luce inizia ad essere più calda e più dolce, ed ogni luogo ha un po’ il fascino di una fine del mondo. E non potrei immaginare altrimenti, proteso su un cammino che mi guida sullo strapiombo, esaltato dai rigurgiti delle onde, ed una vista, guardando di fronte, di una linea che non conosce confine. Ho iniziato a raccoglierli, questi luoghi di tutto e di nulla, perlustrando sentieri che andavano sempre un po’ più in là, dietro una protuberanza, uno scoglio o un’insenatura, assaporando il colore ed il sapore di distese di fiori che resistevano alla prova crudele del vento, ed orientandomi col profilo di un faro che come un’imbarcazione in balia di se stessa, si ancorava alla sua vista. Li ho attesi, cercati, ogni giorno, aspettando le ore più belle, cantando poesie ed imprimendoli sulla mia pelle.

 

 

Non so come un cavallo potesse scendere lungo questa strada. Se scivolava, quasi, procedendo in sicurezza, o se si lanciava al galoppo. Di sicuro, sfiorava i graticci delle case, i gradini delle porte, sfiorava magari qualche fiore che si sporgeva dal muro. E’ una giornata di sole caldo, ed i colori scintillano dei suoi riflessi. Mi sento catapultato in questa Era di Mezzo, nelle sue immagini più fiabesche, come da fiaba appaiono le strade di queste città, i profili di un castello, la calma colorata e vivace che le attraversa. Come se il tempo, attraversandole, potesse rallentare, come se io potessi procedure con una calma ed una leggerezza che purtroppo si dimentica in fretta. Allora, io penso al cavallo, immagine buffa di un piccolo problema pratico, il cui zoccolare potrebbe benissimo nascondersi tra i rumori della gente, il suono di una fisarmonica meccanica, il richiamo del pane caldo appena sfornato. Tutti, mi regalano un tocco di leggerezza.

 

 

 
 
 

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Post n°716 pubblicato il 25 Agosto 2017 da enodas

 

 

Lunedì 21 Agosto

 

“Ogni giorno fai una cosa che ti rende felice”

 

 
 
 

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Post n°715 pubblicato il 23 Agosto 2017 da enodas

 

 

Vorrei descrivere questo momento con tutta la delicatezza possibile, per quanto non saprei dire come poter sfiorare il dolore con le parole appropriate. Sono tornato con gli occhi al verde incontaminato, che spariva nella foschia, alle linee tracciate sui fianchi delle colline ed all’acqua che invisibile si nascondeva in una coltre di nubi. Ma soprattutto, sono tornato a quel senso enorme di una distanza troppo grande per placare i miei sentimenti. Così oggi vorrei avvicinarmi con tutta la delicatezza possibile, ad una storia che non conosco, quasi sollevassi con le mani una goccia d’acqua che altro non è che una lacrima ed accarezzarla, custodirla e dirle, ripetendolo pure a me stesso che alla fine andrà tutto bene.

 

 
 
 

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Post n°714 pubblicato il 20 Agosto 2017 da enodas

 

 

Era una nuvola di polvere in avvicinamento. Rapido, come la forza delle maree, tanto che una vendetta in lontananza ne sarebbe potuta rimanere fatalmente colta di sorpresa. Sempre più velocemente, ne emergeva, chinato sul cavallo lanciato a folle velocità. Non c’era meta, non c’era inseguitore, se non forse l’ombra di se stesso, anch’esse inghiottite in quella scia di polvere che lo accompagnava. Guardò dietro di se, come a sperare che lo avesse lasciato, e subito guardo al suo fianco, su quell precipizio che terminava tra scogli ed onde infrante. Immaginò soltanto il rumore di quel moto perpetuo, così come era adesso sovrastato dal fragore degli zoccoli, il rumore dei sassi che spezzati si sollevavano da terra e precipitavano nel baratro, finance dai battiti del suo cuore che pulsava senza controllo sotto la cotta di maglia. Non c’era una meta. Soltanto, una linea di costa che ripiegava fino a scomparire all’orizzonte. Il destriero virò, naturalmente, come volesse discostarsi da quella linea incomprensibile al confine di due mondi. Ma lui non glielo permise: con un colpo di reni raddrizzò le redini ed incitò il cavallo a proseguire sfidando le folate di vento che pericolosamente lo spingevano ad oltrepassare quell confine. Solo allora sentì l’amarezza che lo attanagliava sciogliersi sotto la forza del vento, il ruggito del mare, un urlo soffocato dentro la visiera. Sgranò gli occhi, che spiritati buntavano dinanzi a lui, laddove la linea curvava bruscamente ed il vuoto, improvviso si spalancava dietro di essa. Senza una meta. Spronò ancora il cavallo. Che, in un estremo disperato atto di ribellione, si oppose. Rimase la polvere, sospesa. Ed il suo cuore batteva all’unisono con gli spasmi di fatica del suo animale, che fedelmente lo aveva salvato. Tornò a sentire il rumore del mare, sotto di lui. Nient’altro. Pianse silenziosamente. Quindi, strinse l’oggetto che pendeva al suo collo, lo strappò con un gesto netto e gentile, e lo lasciò scivolare nel baratro sotto di lui.

 

 
 
 

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Post n°713 pubblicato il 15 Agosto 2017 da enodas

 


“Steal my heart and hold my tongue.
I feel my time, my time has come.
Let me in, unlock the door.
I've never felt this way before.

The wheels just keep on turning,
The drummer begins to drum,
I don't know which way I'm going,
I don't know which way I've come.

Hold my head inside your hands,
I need someone who understands.
I need someone, someone who hears,
For you, I've waited all these years. …”

 

 

Sono tornato da una settimana che mi ha portato oltre le mie aspettative. Lambendo una terra ed una cultura di bellezza straordinaria, colmandomi di emozioni più di quanto potessi immaginare. Sono arrivato fino in Britannia, quell corno di terra curioso che, ancorato al continente, sulle mappe geografiche si protende verso l’oceano. Sono partito dai ricordi, e da un libro, gli stessi che avevano dipinto la Normandia come un luogo intriso di storia, imponenti forze naturali ed intensi colori su tela. E sono andato oltre, a quelle pagine che mi ero promesso di leggere, un’altra volta, e a quelle note che risvegliano il sangue ad udirle. Ma soprattutto, cercando in qualche modo una terra ai confine del mondo, dove l’orizzonte diventa una linea potente ed il vento spazza la costa temprando la vita di chi osa sfidarlo giorno per giorno. Ho navigato in questo paesaggio che mi attraeva come un canto di sirene, desiderando a tratti che fosse più vicino, perchè l’eco rimanesse realtà.

 

 

Sono sempre rimasto affascinato dai ponti. Ma questo, credo, è uno un po’ speciale. Lo sto attraversando di notte, dopo ore di viaggio ed attendendo una meta che sarà soltanto una tappa di avvicinamento. Lo sto attraversando per la terza volta, anni ormai dopo la prima, quando ho scoperto la Normandia. Sono passati anni, in fretta. Ma non le emozioni, ed i ricordi, che salgono rapidi come le folate di vento che mi appresto a respirare nei prossimi giorni. Ecco, questo ponte è speciale perchè in un certo senso da qui, da questi paesaggi che tanto tempo fa mi hanno toccato il cuore, passano i miei sentimenti, anche quelli più profondi, così come profonde ad un certo punto si sono rivelate le ferrite che li accompagnavano. Ma questa notte, passo con un senso di leggerezza e con la curiosità e l’emozione di una nuova avventura, partendo ai margini di quello che fu allora, geograficamente ed idealmente, il mio punto più lontano, e con una mano stretta sul cuore in un’altra mano. La scuoto, un attimo, perchè vorrei che questo sfrecciare nella notte fosse anche tutto quello che nel buio rimane nascosto sotto di noi, le luci del porto, la foce del fiume, un villaggio di pescatori in lontananza. Ma perchè non rimanesse soltanto nei miei pensieri, che si perdono in questo labirinto. E come ogni cosa che in qualche modo non capita per caso, ruoto leggermente la manopola del volume, perchè delle note improvvisamente mi colpiscono e voglio che mi guidino come una colonna sonora su questo tratto di strada.

 

 

“… In your tears and in your blood,
In your fire and in your flood,
I hear you laugh, I heard you sing,
"I wouldn't change a single thing."

The wheels just keep on turning,
The drummers begin to drum,
I don't know which way I'm going,
I don't know what I've become.

For you, I'd wait 'til kingdom come,
Until my days, my days are done.
Say you'll come and set me free,
Just say you'll wait, you'll wait for me.”

 

 
 
 

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Post n°712 pubblicato il 01 Agosto 2017 da enodas

 

 

4-5 Giugno

 

“…I live in a bamboo grove, the sky unseen;
The road hither is steep and dangerous; I arrive alone and late.
Alone I stand on the mountain top
While the clouds gather beneath me.
All gloomy and dark is the day;
The east wind drifts and god sends down rain.
Waiting for the divine one, I forget to go home.
The year is late. Who will now bedeck me? …”

(Qu Yuan)

 

 

Improvvisamente, viaggiare nel regno del dragone è anche cavalcarne la spina dorsale. Così viene soprannominato questo posto, dove il profilo delle terrazze di riso sono linee di drago in movimento. Vi sono arrivato con l’attesa di un ragazzino che leggeva la Storia Infinita, disegnando con l’immaginazione da lungo tempo quello che poteva essere questo paesaggio modellato dagli uomini e dominato da terra ed acqua. Ci sono luoghi che per motivi più o meno segreti sono impressi dentro di noi, prima che li vediamo, se mai questo accadrà. Questo è uno di quei luoghi. E, sentendo come mi chiamasse, ho continuato ad immaginarlo, colmandomi di aspettative. Per questo motivo non potevo cercare un traguardo migliore di questo viaggio tanto lontano ed in un certo modo vicino, breve ma estremamente intenso.

 

 

Queste linee ondeggiano sul cuore, nel silenzio interrotto dalla pioggia che esplode ad intervalli irregolari, tamburellando su foglie di verde, su specchi d’acqua torbidi ed immobili e su sentieri di pietra ripidi quanto scivolosi. Sotto l’acqua, nell’acqua, che mista a fango arriva fino ai polpacci, figure come ombre continuano a muoversi, incuranti del cielo e chini su un lavoro massacrante. Cercano nelle pozze, o ricompattano gli argini, alzando il busto a tratti per salutare me, personaggio fuori da questo tempo, in movimento su quei sentieri per e avventuosi e che per loro sono semplicemente passaggi privilegiati verso casa. Ho spostato con la mano fronde dopo fronde, passato colline e fuso il sudore di un’umidità senza limiti con le lacrime di pioggia che scendevano a tratti. Ho attraversato villaggi nascosti ed incastonati nella terra impregnate d’acqua, dove il sentiero era l’unica strada, e dietro le ampie porte di legno non rimaneva che qualche eco lontana di rumore domestico. Continuo a camminare, seguendo il rumore dell’acqua che fluisce, di terrazza in terrazza, una fontana senza limiti che trabocca senza soluzione di continuità. Sento di scendere sempre più in profondità in questo luogo lontano, in una concezione totalmente diversa del tempo, del giorno, dello spazio, e di immergermi lentamente in questa cultura, spettatore privilegiato, con la delicatezza di un passo che sfiora gli usci dei portoni delle case, le scritte sugli stipiti, i calderoni intravisti sul fuoco e gli oggetti remoti sparsi qua e là, ma soprattutto quello sparuto gruppo di anime che compaiono una ad una ogni tanto lungo il cammino, mi osserva e mi fa percepire che, altrettanto silenziosamente, respira, dietro le ombre dei villaggi e la macchia delle piante, salutadomi con uno sguardo amico e curioso.

 

 

E’ buio presto da queste parti, e ci muoviamo alla luce delle torce. Abbiamo mangiato insieme, con il nostro ospite, un uomo curioso e divertente che parla un sacco e comunica soltanto utilizzando il traduttore sul telefonino, seduti ad un tavolo unico, dove ha cercato di soddisfare i gusti di ognuno di noi. Seguiamo il suono del fiume, più forte e distinto rispetto agli infiniti rivoli d’acqua che scorrono ai nostri fianchi, per scendere di un paio di centinaio di metri. Le flebili luci del villaggio scompaiono in fretta alle nostre spalle e, in questa calma immobile di acqua e tenebra, se ne accendono altre, di luci, minuscule e sfuggenti. Credo di non aver mai visto le lucciole, e certamente mai in tale quantità. Puntini minuscoli che si accendono e scompaiono improvvisamente. Tre bambini, figli di una coppia in viaggio da mesi – e questa sarebbe una storia da raccontare a parte – le raccolgono dolcemente in un gioco che ripetono ogni sera e, custodendole nel palmo della mano me le mostrano. In questo gesto, ed in questo momento, c’è una calma soverchiante che come un balsamo accarezza ogni imagine raccolta, anche quelle più crude, e fa sembrare tutto così lontano, a tratti quasi povero di significato. Non riesco a conciliare questo momento con quella routine che rappresenta il mio mondo, a pensare che coesistano, nello stesso istante, e che in un giro d’orologio sarò altrove sapendo che qui tre bambini portati in viaggio dai genitori giocheranno senza paura nell’oscurità.
Il mio ospite versa ancora the, così come lo ha raccolto, seguendo il suo rituale e, nella note che avanza, continua a raccontare di se stesso e del suo Paese.

 

 

Ho abbandonato questo luogo, scendendo lungo una strada tortuosa che sfiorava il burrone, così come si spalancava dal mio finestrino dell’autobus. Nelle mani tenevo un sacchetto di quei frutti rossi, così dolci, così freschi, di cui da giorni non posso fare a meno. Li ho comprati da una bambina, prima di salire, e voltarmi un ultima volta verso le colline a forma di drago. Vorrei essermi fermato davvero più a lungo, ovunque, ma soprattutto qui. Col viso riflesso sul finestrino, ho ripensato ad un paio di mani, colme di questi frutti, protese in offerta, così come le ho viste qualche giorno prima. Ho un po’ di malinconia, che soltanto il caldo asfissiante che trovo in città mi fa dimenticare con l’attesa di ripartire. E quanto ho vissuto già sembra un riflesso, come un mondo dal quale sento di allontanarmi, ripensando di nuovo alle distanze, che mi immalinconiscono al solo pensiero, ed uno specchio attraverso il quale mi osservo e vedo l’anima tua.

 

 

 
 
 
 
 

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