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DESAPARECIDOS, ARGENTINA VUOLE GIUSTIZIA |
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BUENOS
AIRES - L'Argentina continua a misurarsi con il suo più recente tragico passato. La Corte Suprema di giustizia, con una risoluzione approvata da quattro dei suoi sette membri, ha dichiarato inconstituzionale l'indulto che l'ex presidente Carlos Menem aveva concesso nel 1989 all'ex generale Santiago Omar Riveros, accusato di crimini contro l'umanità commessi durante la dittatura (1976-1986). In quegli anni sono scomparse (desaparecidas) oltre 30 mila persone. In pratica la decisione della Corte Suprema di giustizia apre la strada alla revoca degli indulti che lo stesso ex capo di stato ha concesso a diversi altri ex capi militari, molti già condannati e altri addirittura mai processati, ma tutti accusati appunto di crimini contro l'umanità che, specifica la sentenza, "per la loro gravità vanno contro non solo alla Costituzione nazionale, ma anche all'intera comunità internazionale". In questo modo, tra gli altri, dovranno riprendere a scontare le loro pene gli ex comandanti Jorge Videla ed Emilio Massera, già condannati all'ergastolo come membri della prima giunta militare che prese il potere dopo il golpe del 1976. E perderanno il beneficio dell'indulto, oltre a Riveros, numerosi altri ex militari, tra i quali l'altro ex presidente de facto ancora vivo Leopoldo Galtieri e l'ex capo dell'esercito Cristino Nicolaides. Con l'odierna misura della Corte Suprema si chiude un ciclo iniziato nel 2004 quando il tribunale - rinnovato in gran parte dopo un deciso intervento pubblico del presidente Nestor Kirchner - dichiarò che i reati contro l'umanità non possono cadere in prescrizione. A ciò fece seguito, nel giugno del 2005, una risoluzione che dichiarò incostituzionali le leggi, cosiddette di Punto Finale e Obbedienza Dovuta, approvate durante il governo del presidente Raul Alfonsin (1983-1989). Appunto in seguito a questa misura sono stati riaperti almeno 950 processi contro ex militari che hanno violato i diritti umani tra il 1976 ed il 1983, sono stati effettuati oltre 200 arresti, e sono in corso indagini su casi di torture, sequestri ed omicidi avvenuti in 498 centri clandestini di detenzione. In pratica la sentenza costituisce per Kirchner il coronamento di una linea politica impostata con determinazione fin da quando entrò nella Casa Rosada nel 2003 con l'obiettivo di evitare l'impunità a quanti avevano commesso gravissimi reati durante la dittatura. |
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SE SI VENDONO, SI TROVERANO CON QUESTO:
IL POPOLO NELLE STRADE!!!!!!!!
sognare non mi costa, pero, non ci credo.
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Il
primo governo indigeno nella storia della Bolivia, ha vissuto
pericolosamente il suo primo anno e mezzo di vita. Tra difficoltà ed
errori, soprattutto sul fronte di un’Assemblea Costituente oramai in
fase di stallo, e successi come quello della nazionalizzazione del gas,
incontriamo Evo Morales, primo presidente indigeno del paese.
Gennaro Carotenuto intervista Evo Morales
Evo,
come tutti lo chiamano, non è stato cambiato per nulla dal potere e
continua ad essere lontano dallo stereotipo del capo di stato.
Nonostante il decoroso giubbino che sostituisce la tenuta presidenziale
all’occidentale dei suoi predecessori, continua ad essere il
sindacalista che per una vita ha difeso quegli indigeni che da 5.000
anni in Bolivia coltivano la pianta di coca, la base identitaria della
cultura andina. La sua cultura continua ad essere altra, antitetica a
quella Occidentale. Ascolta attentamente, parla piano, senza iattanza,
con modestia. Il suo parlare è semplice, diretto, privo di retorica o
artifici. Tanto la cultura aymara, alla quale appartiene, come la
tradizione sindacale, fanno del dialogo, della trattativa, delle
decisioni condivise che maturano lentamente, la base di ogni processo
democratico.
Lo incontriamo a Cochabamba, dove ha inaugurato il
“V Incontro mondiale di intellettuali e artisti in difesa
dell’umanità”, nel quale si è discusso per due giorni di media e
diritto all’informazione. E’ un tema chiave anche in Bolivia dove,
secondo uno studio dell’Università Cattolica, Evo Morales ha il 66% di
appoggio popolare ma ha l’80% dei media contro. Morales mi corregge:
“E’ il 66% nelle città, dove la gente ha il telefono e risponde ai
sondaggi. Ma nelle campagne abbiamo l’80%. E’ importante discutere di
democratizzazione dei media perché spesso, per mancanza di
informazione, non si hanno i mezzi per cercare giustizia ed equilibrio
nella società. Sono preoccupato dalla concentrazione mediatica, ma allo
stesso tempo sono contento, perché nel mondo stanno crescendo fonti di
comunicazione alternativa che si interessano alle necessità dell’essere
umano”.
Per marcare la differenza, come primo atto del suo
governo, Evo dimezzò il suo stipendio, portandolo a 1.500 € al mese.
Altrettanto fece con ministri e parlamentari. Qualcuno lo considererà
demagogico, ma il ragionamento è opposto a quello occidentale: solo chi
accetta di entrare in politica rinunciando ad un’ascensione di
carriera, lo farà per spirito di servizio. Poi stabilì che se i
boliviani avevano bisogno del visto per entrare negli Stati Uniti
allora anche gli statunitensi avevano bisogno del visto per entrare in
Bolivia. Qualcuno sorrise, ma i boliviani sentirono che per la prima
volta non erano più cittadini di serie B. Ma, soprattutto, lo scorso
anno Evo fece parlare di sé per la nazionalizzazione degli idrocarburi,
creando uno scandalo internazionale. La settimana scorsa ha chiuso i
conti, acquistando per 112 milioni di dollari le raffinerie di
proprietà di Petrobras, dimostrando che contrasti col Brasile
dell’amico Lula non ve n’erano.
Evo, sulla stampa italiana
qualcuno ti definì un “narcoindio fuori di testa”. Sorride: “Il nostro
impegno è quello di rifondare la Bolivia. Su basi etiche ma anche su
basi economiche. Per farlo abbiamo nazionalizzato gli idrocarburi”.
Oggi perfino i mercati appaiono tranquilli, e pochi discutono che sia
stato il tuo più grande successo: “Pochi giorni fa ho visitato un
municipio poverissimo nei dintorni di Potosí. Fino al 2005 aveva un
bilancio di 840.000 bolivianos (la moneta locale, circa 85.000 €, ndr).
Nel 2007 ha un bilancio di oltre 9 milioni di bolivianos (930.000 €).
Ed è così in tutto il paese e speriamo che questi soldi siano ben
amministrati da sindaci e prefetti. Ti faccio un altro esempio: dal
1970 fino al 2005, ogni fine anno, fosse chi fosse il capo del governo,
per poter pagare le tredicesime dovevano partire dei funzionari per gli
Stati Uniti a farsi fare un prestito. Lo scorso anno per la prima volta
ciò non è avvenuto. E ciò non è avvenuto perché abbiamo recuperato la
sovranità sui nostri idrocarburi. Nel 2005 dagli idrocarburi allo Stato
rimanevano solo 300 milioni di dollari. Adesso entrano 1.600 milioni di
dollari, ridistribuiti tra le amministrazioni locali, le università e
il tesoro. Il succo di questa esperienza è che le risorse naturali non
devono mai essere privatizzate perché sono quelle che risolvono i
problemi”.
Fin qui i successi. Ma ci sono anche le difficoltà,
soprattutto con l’Assemblea Costituente, sulla quale il partito di
maggioranza, il MAS (Movimento Al Socialismo), aveva puntato molto per
cambiare lo Stato. Dopo la vittoria dell’opposizione, che ha imposto
che ogni singolo articolo debba passare con una maggioranza dei due
terzi, per molti osservatori è già una scommessa perduta. Ha ceduto sul
regionalismo, che favorisce i ricchi e bianchi dell’Oriente, altre
volte mantiene le posizioni con difficoltà. E’ il caso dell’abolizione
del cattolicesimo come religione ufficiale, una misura che vuole
terminare con sovvenzioni ed esenzioni fiscali. “Non nego che ci siano
delle difficoltà su punti importanti e l’opposizione stia ritardando o
bloccando il processo. E’ possibile che vengano allungati i tempi (i
lavori per legge dovrebbero concludersi il 2 luglio, scadenza oramai
saltata, n.d.r.) e che si ricorra a referendum popolari per dirimere le
divergenze”.
Il problema del latifondo è tra questi: “Gli
allevatori pretendono che, per ogni capo di bestiame posseduto, ben
cinque ettari di terra siano considerati produttivi e quindi esclusi
dalla riforma agraria”. Emergono continuamente due idee di paese; per
Evo va conciliata la giustizia comunitaria indigena con quella
tradizionale occidentale e abolita quella militare che tocca nodi come
quello dell’impunità. Tuttavia il Presidente, come un nation builder
del XIX secolo, è favorevole al servizio militare obbligatorio: “Per
gli indigeni il servizio militare è stato una maniera di essere
riconosciuti socialmente. I creoli riuscivano ad evitarlo con ogni
pretesto e io sono il primo presidente –civile- della storia ad aver
fatto il servizio militare”. La permanenza della leva si concilia con
la rinuncia alla guerra voluta dal presidente nella nuova Costituzione:
“Nessuna delle guerre della storia che hanno coinvolto il mio paese,
sono state volute dal popolo. Dalle guerre i popoli perdono e le
multinazionali guadagnano. Le multinazionali provocano conflitti per
accumulare e concentrare capitali, e questo non è utile e non risolve
alcun problema per i poveri del mondo. Quindi, nella nuova
Costituzione, la Bolivia rinuncerà alla guerra. Perché se c’è guerra si
devono costruire più armi e se si costruiscono più armi si producono
meno alimenti e meno medicine per l’umanità”. Evo, l’uomo del Sud del
mondo, è deciso: “bisogna pensare a modelli diversi di società rispetto
al capitalismo. Non è accettabile che nel XXI secolo alcuni paesi e
multinazionali continuino a provocare l’umanità e cerchino di
conquistare l’egemonia sul pianeta. Sono arrivato alla conclusione che
il capitalismo è il peggior nemico dell’umanità perché crea egoismo,
individualismo, guerre mentre è interesse dell’umanità lottare per
cambiare la situazione sociale ed ecologica del mondo”.
Che
sfida culturale è stata quella del potere, per un uomo profondamente
radicato nella cultura andina come te? “Avevo paura perché la nostra
gente considerava il politico commediante, malfattore e ladro. Fare il
sindacalista invece era difendere i diritti umani, la terra, la foglia
di coca. E allora io non volevo lasciare il sindacato, nonostante mi
avessero proposto di essere deputato e già nel 1997 rifiutai una prima
candidatura alla Presidenza. Temevo che come politico mi avrebbero
malvisto. Poi capii che la politica è la scienza di servire il popolo e
che è possibile vivere per il popolo e non del popolo”. La sfiducia per
l’Occidente espressa da Morales resta grande: “Nella cultura
occidentale, chi viene eletto pensa immediatamente a come guadagnare
denaro. A quale impresa esigere il 10%, il 15%, in cambio del
privatizzare questo o quello; sono quelle che chiamate tangenti. Ma se
guardiamo alla nazione come una famiglia, e la famiglia per noi è molto
importante, questo tipo di autorità non risponde alle esigenze della
famiglia, di quella famiglia che è la Bolivia. La nostra cultura, le
comunità indigene, si muovono su altre basi. I nostri principi si
basano sul ‘ama sua, ama llulla, ama qh'ella’,
che in lingua aymara significa non rubare, non mentire e non battere la
fiacca. Questi precetti, che ci vengono dalle nostre autorità
originali, sono così importanti che ritengo che basandosi su questi si
possa cambiare la società. Pertanto io affermo che il movimento
indigeno è la riserva morale dell’umanità”.
Se sul fronte
delle nazionalizzazioni il successo è evidente, dalla Corte suprema al
Tribunale costituzionale il governo sembra trovare difficoltà
crescenti, dimissioni, decisioni sfavorevoli: “L’opposizione continua a
considerare la nazionalizzazione incostituzionale, così come continua a
considerare incostituzionale ogni decreto contro la corruzione. Hai
ragione; purtroppo non abbiamo una giustizia che faccia giustizia per
la maggioranza, ma continuiamo ad avere un sistema giudiziario che
pretende di amministrare giustizia per continuare a fare accumulare le
ricchezze in poche mani”.
A giorni in Costituente comincerà
un’altra battaglia, quella delle miniere, che oggi pagano un risibile
3% di imposte al fisco. E’ solo un altro dei conflitti aperti: “Siccome
la situazione economica sta migliorando, tutti vogliono tutto. Più
salario, ma anche settarismi, interessi, regionalismo. Abbiamo
dimostrato che possiamo migliorare l’economia per tutti, ma ovviamente
è ben più difficile recuperare il ritardo storico di 500 anni e gli
anni del neoliberismo, delle privatizzazioni selvagge, della svendita
dello stato, in pochi mesi o pochi anni. Le nostre politiche oggi sono
orientate contro quel modello economico, a recuperare la dignità della
Patria, a favorire l’uguaglianza tra i boliviani. E poi c’è un altro
tema di fondo, quello della madre terra, della Pachamama. I popoli
indigeni crediamo che dobbiamo vivere in armonia e difendere la madre
terra. Risorse naturali come l’acqua, che il capitalismo considera una
mercanzia, noi invece le consideriamo un diritto umano”.
Per riprodurre questo articolo è indispensabile, oltre a citare l'autore, inserire un link cliccabile a http://www.gennarocarotenuto.it
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Lettera dal fronte
Al Comando Generale dell’Unione
Palazzo Chigi, Roma
Nord d’Italia, lì 29 maggio ‘07
Il sottoscritto tenente Vergara Antonio comunica quanto segue:
Le truppe del generale Berlusconi hanno sfondato sul versante settentrionale
occupando diverse città che controllavamo. Le camicie verdi del colonnello Bossi
imperversano da sud-ovest a sud-est. Le nostre resistenze sono state vinte,
siamo riusciti a conservare solo qualche avamposto e per fortuna i porti di
Genova e La Spezia. Le perdite sono state ingenti.
La truppa è demotivata e in stato confusionale, molti non rispondono
più agli ordini: le camicie rosse di Bertinotti non fanno che gesticolare e
parlare di piattaforma sociale, i diessini erano un’armata e ora sono ridotti
a pochi plotoni, i socialisti vanno solo alla ricerca dei loro parenti, i democristiani
sono come sempre nelle retrovie. Anche la popolazione si è rivoltata contro
perché il comando di Vossignoria non è più in grado di garantire l’ordine pubblico,
ma anche perché non arrivano approvvigionamenti e i salari sono bassi. Anche
i preti si sono messi col nemico.
Illustrissima Eccellenza Prodi, noi facciamo quel che possiamo
ma i ragazzi si lamentano pure che non possono più andare a puttane nella città
di Padova: voi capirete che senza sigarette e bordelli il morale della truppa
è basso. In ogni caso siamo riusciti a contenere le perdite, ma il rischio di
accerchiamento è imminente.
Gli aiuti che avevamo richiesto non sono arrivati, in compenso
si è presentato tale Migliavacca, qualificandosi come coordinatore dei 45, ma
onestamente nessuno l’ha preso in considerazione. Fedeli al vecchio motto resistere,
resistere, resistere, noi resistiamo. Ma non per molto.
Tratto da antoniovergara.wordpress.com
Cablogramma da Ceppaloni per il tenente Vergara
Il reparto del maresciallo Mastella ha disertato ed è passato con il nemico.
Si temono altri casi di ammutinamento. Si propone di dirottare la polizia militare
con i cani poliziotto dalle scuole pubbliche alle segreterie di partito.
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Segreto di Stato: a Genova ci fu un disegno repressivo, prima condanna per la Polizia del G8
leggete QUI:
GENARO CAROTENUTO
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Nell'ultimo periodo si è aperto un dibattito a Sinistra sulle prospettive di quest'ultima in considerazione del fatto che, la nascita del futuro Partito Democratico, determinerà un riposizionamento di tutte le forze politiche italiane, a partire, appunto, da quelle di Sinistra, visti anche gli spazi che si apriranno in seguito alla scomparsa del principale Partito della Sinistra italiana, ovvero i Ds.
Ha "aperto il fuoco" la dichiarazione di Fabio Mussi, storico leader della Sinistra Ds, che ha detto chiaramente che, finito il congresso, la minoranza Ds non parteciperà al processo costituente del Pd ma avvierà un "cantiere della Sinistra" per verificare la possibilità di creare un soggetto unitario della Sinistra italiana. Nel giro di alcune settimane si sono pronunciati in merito, sia Fausto Bertinotti che di fatto ha accantonato il progetto della Sinistra Europea ed aperto la porta alla proposta di Mussi, sia Franco Giordano, segretario Prc, che addirittura si è spinto oltre prospettando la nascita del "Partito della Sinistra" già per le Europee del 2009. Successivamente è intervenuto anche Diliberto, segretario del Pdci, che ha proposto di riunire tutte le anime della Sinistra attraverso un processo confederativo che garantisse l'identità dei singoli Partiti.
Personalmente ritengo che tra tutte queste, la proposta più sensata sarebbe quella espressa da Oliviero Diliberto che, però, alla luce dei fatti, appare estremamente minoritaria ed, addirittura, mi sembra che ci sia il tentativo, da parte di Sinistra Ds e Prc, di tenere fuori dal dibattito il Pdci. Ciò dimostra, a mio avviso, che purtroppo ancora una volta si sta procedendo nella direzione sbagliata: ovvero vi è il tentativo concreto di creare un nuovo Partito a partire, non da una discussione ampia che coinvolga tutte le anime e soggettività della Sinistra italiana, ma, al contrario, a partire dall'unione di gran parte del ceto politico di Rifondazione Comunista con parte del ceto politico dei Ds. Tale soggetto politico, tra l'altro, visto che sarebbe legato a livello europeo al Pse, rappresenterebbe di fatto un arretramento delle posizioni politiche rappresentate dal Prc.
Insomma si aggrega a Sinistra con l'effetto di diminuirne l'influenza; che dire, se accadesse un vero capolavoro dell'assurdità!!!
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Sul suo sito Piero racconta la fine della sua collaborazione con Beppe Grillo. Il sito del comico genovese è una forza della natura da centinaia di migliaia di visitatori unici al giorno. Ne ignoro il fatturato, ma stiamo parlando di decine o forse anche centinaia di migliaia di Euro l'anno. Per capirci è al numero 20 della classifica mondiale di Technorati http://technorati.com/pop/blogs/, nell'ultimo anno è stato citato 15.000 volte (questo sito appena da 600, ma ieri abbiamo avuto la bellezza di 2441 visite!) ed è il terzo blog al mondo non in lingua inglese. Beppe Grillo è il grande censore del sistema Italia, qualcuno lo considera perfino la coscienza critica di questo paese.
Nonostante ciò, per farla breve, i dettagli sono nel sito, Ricca si era accordato con l'amministratore di Grillo per un compenso di 200 Euro netti a intervista. Il minimo dignitoso. Ha lavorato, è stato riempito di complimenti e pacche sulle spalle, ma i soldi non li ha mai visti. Le motivazioni (scandalose, repellenti, ma gelidamente razionali) che l'amministratore di Grillo (informato e consenziente) adduce al mancato pagamento, sono che Ricca tanto quelle cose le avrebbe fatte lo stesso. Magari pagherebbe pure per farle. E che il compenso per lui più grande è la possibilità di lavorare con Grillo. E gli ha fatto pure notare di star dando un calcio alle magnifiche sorti e progressive che tale opportunità gli apre in un imminente (?) domani. Insomma chi è causa del suo mal... tutto colpa della venalità del lavoratore in questione.
Beppe Grillo è il grande censore del sistema Italia, qualcuno lo considera perfino la coscienza critica di questo paese.
Piero Ricca è un pezzo sostituibile dell'ingranaggio, ha fatto il suo, ha avanzato pretese (essere pagato un minimo dignitoso), avanti un altro. Chissà quanti sono disposti a tutto per un link con Beppe Grillo da inserire nel curriculum. Del resto il mondo del lavoro è così, che pretendi? E allora forse hanno ragione i miei migliori laureati, quelli bravi, con 110 e lode, che a 25-26 anni saprebbero dirigere una testata e invece si imbarcano in Master, specializzazioni, e bramano dottorati senza borsa pur di non sbattersi al desk a non imparare nulla a 5 Euro al pezzo nei festivi. Cerco di convincerli che sono strapreparati per navigare in mare aperto, ma proprio per quello, per evitare di essere pagati 5 Euro a pezzo da un quotidiano locale preferiscono, se poco poco i genitori non li cacciano di casa a continuare a studiare e rinviare la vita, che non comincia mai. Sbagliano, ma come dar loro torto?
Sbagliano, ma hanno a che fare con padroni delle ferriere ai quali il sistema (quello neoliberale, non la camorra) viene benissimo. In giro ci sono decine di migliaia di giovani eccellenti ai quali si chiede di svolgere compiti inferiori alla loro preparazione, perché ci si guarda bene dal dar loro responsabilità. Questo mercato al ribasso li costringe a competere con altre centinaia di migliaia di giovani meno bravi, meno preparati, ma altrettanto titolati (le lauree triennali... avanti dotto'!). E proprio il liberismo, che a parole doveva esaltare la competizione verso l'alto, a migliorarsi, fa l'esatto contrario. La competizione è al "massimo ribasso", non importa la qualità, ma solo il costare poco e pretendere poco. Chi è meno bravo, meno qualificato, è carne da cannone che serve a stritolare nello stesso meccanismo anche chi è più bravo. Avanti un altro!
Davvero Beppe Grillo non poteva pagare a Ricca quanto pattuito? Quello che è sicuro è che Grillo può fare a meno di Ricca. Avanti un altro!
L'episodio di Piero Ricca mi ha fatto ripensare ad un altro episodio accaduto lo scorso ottobre alla FAO, per l'Incontro Mondiale di Intellettuali ed Artisti in difesa dell'Umanità. Per il fatto che si era a Roma, e per opportunità mediatica, al contrario dei 5-6 italiani (tra i quali il sottoscritto) normalmente coinvolti e che partecipano in genere agli incontri mondiali, il numero degli italiani, per l'appuntamento romano, crebbe fino oltre la trentina. I nuovi arrivati erano in gran parte comunicatori, di discreta o ottima fama, tutti rigorosamente di sinistra.
Carmen Lira è un'amica, ed è la direttrice de La Jornada di città del Messico, giornale per il quale è per me un onore scrivere e che, con le sue oltre 200.000 copie vendute, è il più venduto quotidiano 'di sinistra' al mondo. Quando ha avuto la parola, dalla tribuna Carmen ha fatto un discorso bellissimo e molto alto. Il succo era che i media di sinistra devono organizzarsi per retribuire il lavoro, soprattutto devono pagare i giovani, quei giovani che muovono il culo, consumano scarpe e a volte rischiano la pelle, quei giovani che sanno fare le belle pagine web delle quali lei affermò di intuire solamente le possibilità e l'indispensabilità.
Ero seduto al tavolo della presidenza, giusto a fianco di Carmen, e approvavo di cuore. Ma, contemporaneamente, mi rendevo conto che Carmen aveva toccato un nervo scoperto. Nella sala, più d'uno dei grandi (o presunti tali) comunicatori italiani invitati (per quella volta), sbuffavano e dissentivano. A un certo punto uno di loro -mi riservo i nomi per carità di patria- ha ostentatamente buttato le cuffie della traduzione simultanea, si è alzato ed è andato fuori furente, sbattendo ostentatamente la porta, tra lo stupore di decine di ospiti stranieri che consideravano la relazione di Carmen come opportuna e magistrale. Come si permette -sembravano fermentare i capannelli nella pausa caffé- questa india messicana di venire a farci la lezione a noi? Non lo sa che se paghiamo i redattori, poi per direttori e vice non resta nulla? Se ci mettiamo a pagare i collaboratori, poi sul mercato come ci stiamo? Siamo in Italia, mica in Messico!
Penso al sistema universitario italiano che mi dà lavoro. Penso alla trafila costrittiva della precarietà, che per chi scrive si è conclusa, me alla quale restano intrappolati 50-60.000 amici, fratelli, colleghi, che non fanno nulla di diverso da quello che faccio io (che sono l'ultima ruota del carro, ma almeno sul carro ci sto).
Penso a corsi universitari interi (40-60 ore di lezione, ricevimenti, esami, tesi eccetera...) pagati 600 Euro in totale. Avviene soprattutto nelle sedi più grandi che possono scegliere tra più persone. E' l'economia, stupido, direbbe Bill Clinton. Penso a compensi solo apparentemente dignitosi, trasformati in scandalosi perché quello indicato sul contratto è il 'lordissimo', che poi divenda lordo e per quando diventa netto si è più che dimezzato e divenuto infimo. Un privato andrebbe in galera, e invece nel pubblico è tutto regolare. Tanto nessuno denuncerà mai nulla, se vogliono avere una speranza di entrare. Prostituitevi o avanti un altro! C'è la fila e del resto è vero che soldi non ce ne sono. Ma chi accetterà non è detto che sia il migliore, e sicuramente non è motivato a dare il meglio di sé. Anzi.
Lavoreranno in silenzio, come automi, neanche fosse Metropolis di Fritz Lang. E come automi gli si spegnerà l'intelletto. Brutta storia se fai l'intellettuale col cervello spento. Ovviamente passo a passo i migliori, quelli che devono pagare le bollette, una volta spremuti si sfileranno, emigreranno, preferiranno un call center. Il gioco è scoperto. Tutto serve perché la selezione avvenga per censo, per classe sociale. Figli di professionisti, figli di docenti universitari, disposti a mantenerli fino ai 40 anni. E quelli che sopravvivono non sono certo i migliori, che in quanto tali possono essere scomodi e critici, ma i più integrati ed integrabili alla perpetuazione del sistema. Le vecchie tare sono funzionali ai nuovi guasti liberalizzatori. Il gatto e la volpe.
E' tutto freddamente calcolato. Conosco redattrici di settimanali di sinistra che al sesto mese di lavoro a tempo pieno si sono viste dare un assegno di 300 Euro e hanno dovuto contare fino a dieci prima di decidere se ringraziare o strapparlo in faccia al direttore. Conosco meravigliosi scienziati ultraquarantenni rottamati dal sistema al quale hanno già dato quello che al sistema serviva.
E' tutto freddamente calcolato. Diamo il minimo, e promettiamo qualcosa senza comprometterci. Promettiamo un sogno. In genere si accetterà, nella piena logica della legge 30, quella per la quale meglio un brutto lavoro e malpagato che la disoccupazione. Meglio questo che niente, oppure avanti un altro. E la vita vera non comincia mai.
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