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sentimenti del sacro

Post n°77 pubblicato il 12 Novembre 2011 da m_de_pasquale
 
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Se il sacro è l’esperienza in cui coscienza ed inconscio sono totalmente uniti, luogo dell’indifferenziato, mistero  terrificante (tremendum) ed affascinante (fascinans), la ragione deve effettivamente fare un passo indietro perché esso è “inconcepibile, inafferrabile, incomprensibile razionalmente … non può esser portato entro i confini dell’intelligenza nozionale … può esser colto solo dal sentimento” (Otto). Se non abbiamo a che fare con il Dio addomesticato dalla ragione/religione, ma con quello absconditus di Pascal, con quello della coincidentia oppositorum di Cusano, la ragione è incapace di comprendere. Dobbiamo appellarci necessariamente al cuore: “E’ il cuore che sente Dio, non la ragione” (Pascal). Con questa predisposizione è possibile seguire la riflessione di Otto sulle reazioni emotive dell’individuo quando incontra il sacro la cui essenza è il numinoso in cui si esprime il rapporto ambivalente di timore e venerazione che caratterizza l’incontro con tutto ciò che è “ineffabile in quanto è assolutamente inaccessibile alla comprensione concettuale”. Esso si esprime nell’oscurità, nel silenzio, nel vuoto perché essendo queste delle negazioni rendono possibile l’apparire del totalmente diverso. Nel numinoso il divino si manifesta come mysterium tremendum e fascinans, come il nascosto, l’assolutamente altro che terrorizza e allo stesso tempo affascina; un mistero che successivamente la religione si preoccuperà di controllare dando vita all’immagine della divinità come provvidenza, come misericordia, come amore. Quali sono le reazioni emotive dell’uomo di fronte alla percezione del sacro? Quali sono i sentimenti che maturano nell’incontro col divino? Seguendo la riflessione di Otto è possibile delineare una interessante fenomenologia dell’esperienza religiosa. Al di là della questione se il sacro sia rivelativo di una presenza divina - tesi cara al teologo Otto-, la sua analisi fenomenologica ci è utile per riconoscere gli stati d’animo prodotti dall’incontro col numinoso le cui peculiarità sono spiegabili con la straordinarietà dell’oggetto della relazione che non necessariamente deve avere il volto del Dio personale della tradizione giudaico-cristiana. Il “sentimento di essere una creatura, della creatura che naufraga nella propria nullità, che scompare al cospetto di ciò che la sovrasta” è la prima reazione che l’uomo avverte quando incontra il numinoso. E’ l’esperienza della piccolezza di fronte a ciò che è sovrastante, della dipendenza da esso che Pascal descrive in questi termini: “Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo che mi racchiudono, mi trovo confinato in un angolo di questa vasta distesa, senza sapere perché sono posto in questo luogo piuttosto che in un altro, né perché questo poco di tempo che mi è stato dato da vivere mi è stato fissato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Vedo da ogni parte solo infinità che mi racchiudono come un atomo e come un’ombra che dura solo un istante senza ritorno”. L’esperienza della propria piccolezza di fronte al troppo grande produce sgomento e senso della dipendenza (è quantomeno azzardato sostenere con Otto che il sentimento creaturale è la prova dell’esistenza di un soggetto fuori dell’io). E’ la reazione di fronte all’aspetto tremendum del mistero, “il nascosto, il non manifesto, ciò che non è intuito e non è compreso, lo straordinario e l’inconsueto” di cui Otto fa questa straordinaria descrizione: “Il sentimento che ne emana può penetrarci come un flusso di armonioso, riposante, vago raccoglimento. Oppure può trapassarci l’anima con una risonanza continuamente fluente che vibra e perdura lungamente finchè svanisce per riabbandonarla al suo tono profano. Esso può anche erompere dall’anima subitamente con spasimi e convulsioni. Può trascinare alle più strane eccitazioni, alla frenesia, all’orgasmo, all’estasi. Può rivestire forme selvagge e demoniache. Può farci precipitare in un orrore spettrale e pieno di raccapriccio. Ha manifestazioni ed antecedenti primordiali crudi e barbarici, e ha la capacità di trasformarsi nel bello, nel puro, nel glorioso. Può divenire la silenziosa e tremante umiltà della creatura, al cospetto di quello che è il mistero ineffabile”. Quando il mistero è sprovvisto del momento del tremendum, esso produce reazioni emotive quali meraviglia, stupore, ammirazione, conseguenze della percezione dell’aspetto di estraneità del numinoso: “il totalmente altro, l’estraneo, ciò che riempie di stupore, quello che è al di là della sfera dell’usuale, del comprensibile, del familiare, e per questo nascosto, assolutamente fuori dell’ordinario e in contrasto con l’ordinario, e colmante quindi lo spirito di sbigottito stupore”. E’ la condizione che accompagna un elemento tipico delle religioni, il miracolo: “Quanto di sconcertante penetrava nella sfera d’azione dell’umanità, quanto nell’ordine dei fenomeni naturali e degli eventi suscitava negli uomini, negli animali e nelle piante, sorpresa, stupore o terrore paralizzante, ha sempre risvegliato e attirato prima il terrore demonico, poi il timore sacro, ed è ciò che è assurto alla qualità di portentum, di prodigium, di miraculum. Così e solo così nacque il miracolo”. Il momento raccapricciante del tremendum si intreccia in una sorta di armonia contrastante con qualcosa di attraente, di catturante, di affascinante: “A fianco all’elemento che confonde, sorge quello che ammalia, che rapisce misteriosamente, spesso crescendo in intensità fino all’ebbrezza e allo smarrimento: è l’elemento dionisiaco nell’efficacia del numen. E’ il momento fascinans del numen”. I concetti razionali che si sviluppano parallelamente a questo momento irrazionale dell’affascinante e lo traducono in schemi, sono l’amore e la misericordia, la pietà, il conforto, pensati nel loro grado massimo. In questo contesto va collocata l’esperienza della beatitudine dell’unione con Dio che fanno i mistici, i convertiti, coloro che sono stati toccati dalla grazia, l’esperienza del nirvana buddhista, tutti attestano l’esperienza di un bene trasbordante inesprimibile: “Oh, potessi io dirvi quel che sente il cuore, come esso internamente brucia e si consuma, ma io non trovo parole per dirlo. Posso semplicemente dire: se sola mente una stilla di quel che sento cadesse nell’Inferno, l’Inferno ne sarebbe d’incanto trasformato in un Paradiso”. (sacro - 4  precedente  seguente)

 
 
 
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