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quando l'amore gioca con la morte

Post n°44 pubblicato il 21 Marzo 2010 da m_de_pasquale
 
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Consideriamo la morte come l’evento più lontano dall’amore: nell’amore il mio io vive simbioticamente con l’io dell’altro, la mia morte o quella dell’altro porrebbe fine all’unione che ci fa vivere. Ecco perché la morte è il contrario dell’amore. Dal punto di vista dell’esistenza individuale l’amore (la vita) respinge la morte. Ma dal punto di vista della natura osserviamo che la morte è strettamente legata alla vita, la morte è addirittura un momento della vita, un passaggio necessario per dare continuità alla vita: la vita della natura per perpetuarsi esige la morte delle singole esistenze. Il miracolo della esplosione della vita nella natura che si ripete continuamente non è forse la conseguenza della morte individuale? Resto sempre stupito quando da un seme inanimato buttato nella terra poi vedi germogliare una pianta: “se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non porta frutto. Se muore, invece, porta molto frutto” (vangelo di Giovanni). E’ così: la natura non conosce la morte, conosce solo una vita che si rigenera continuamente a cui è essenziale la morte senza la quale la vita non potrebbe rinascere. Forse la vera contrapposizione non è tra la vita e la morte, ma tra la vita della natura (che per vivere esige la morte delle singole esistenze) e la vita della singola esistenza (che per vivere deve allontanare la morte). Schopenhauer ha intuito questa distinzione tra il punto di vista individuale e quello della natura quando pensa che i soggetti della esperienza erotica non siamo noi, ma forze oscure e impersonali con cui la specie raggiunge i suoi scopi: l’amore sessuale è un inganno perpetuato dal genio della specie che persegue il suo interesse facendoci credere di perseguire il nostro. “Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, è radicato esclusivamente nell’istinto sessuale, anzi non è assolutamente altro che un impulso sessuale … il più forte e il più attivo di tutti gli impulsi, assorbe continuamente la metà delle forze e dei pensieri della parte più giovane dell’umanità, costituisce il fine ultimo di quasi ogni sforzo umano”. Il momento più alto, più intenso dell’istinto sessuale, quello della sensazione di intenso piacere che giunge al culmine dell’eccitazione sessuale, l’orgasmo, è una esperienza molto simile alla estraniazione della morte. I francesi lo definiscono petite mort ed esiste un sito che colleziona foto di volti nel momento dell’orgasmo dove le espressioni delle facce non sono molto diverse da quelle di chi sta lasciando la vita. Se nell’orgasmo il mio io è così estraniato da perdersi, se avviene una sorta di diluizione della mia individualità, è lecito parlare di morte dell’io? Questo oltrepassamento della mia individualità non coincide con un’apertura alla totalità dell’essere, a quella condizione originaria precedente la nascita della mia individualità, del mio io individuale? Se la mia individualità si dissolve non è forse giusto parlare di anticipazione della morte nel corso della vita? Quando Platone nel Simposio racconta degli esseri umani primitivi che dopo essere stati tagliati in due da Zeus, desiderano ricongiungersi, abbracciarsi per ricostituire l’unità originaria, osserva: “E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio”. Cos’è questo fondo enigmatico e buio che l’anima cerca e non sa esprimere? Potrebbe essere quella totalità originaria di cui sentiamo nostalgia? Ovvero quell’altra parte ignota del mio io su cui il mio io consapevole vuole affacciarsi per ricostituire l’unità originaria? Insomma la condizione per accedere a questa parte oscura è la morte della mia individualità che avviene nell’esperienza più intensa dell’amore. L’amore continua a giocare con la morte, con la perdita dell’io e perciò la sua essenza è trascendenza più che chiusura nel rapporto simbiotico a due. E che dire delle perversioni sessuali dove il piacere vuole oltrepassare il limite tendendo all’eccesso? in questa sua onnipotenza non manifesta, forse, la forza distruttiva della pulsione di morte di cui parlava Freud? “Ciò di cui gode il perverso è il piacere che deriva non dalla sessualità, ma dalla sessualità portata a quel limite oltre il quale c’è l’incontro con la morte” (Galimberti). Queste pulsioni di morte non sono simili a quella vita della natura di cui parlavamo a cui è essenziale la morte degli individui per perpetuare la vita? Di nuovo amore e morte si intrecciano. (Amore - 8 precedente seguente)

 
 
 
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