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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

Su e giù per la tastiera

 
 

ICONA RIVISTA IL MALE

 

JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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LE MEMORABILI NOTTI TEATRALI DI CERTALDO

La Mercanzia dell'Arte per strade color vinaccia 

(Huffington Post, 02-09-2014)

Un tardo pomeriggio della metà di luglio, la luce sbiadisce la terra. Vado a"Mercantia" (la ti è zeta latina), al festival internazionale del teatro di strada, di scena a Certaldo da venticinque anni. È la fine di una giornata afosa e ho pena per quel poveraccio del motore, accovacciato sotto al cofano. Al cartello "Certaldo", lascio la striscia opaca della statale. C'è un cavalcavia, c'è una periferia qualunque, e ho l'incertezza che quello sia veramente Certaldo. La vista del borgo in alto è orbata da strade strette, dalle case in fila, marciapiedi e automobili. Non fosse per i cartelli incontrati, Pogna, Semifonte, San Miniato, a evocare le battaglie che Firenze e Siena hanno vinto e perso al tavolo della Storia; che ho visto eserciti di ulivi, non saprei di essere a casa di Boccaccio. Sento due ciclisti scherzare e mi domando come faccia la lingua toscana a resistere a quel cavalcavia, alla matassa delle vie da cui non si riesce a vedere la Storia e neanche la natura. Ma la lingua rimane, nitida. Viene in mente un controllore senese che dopo aver parlato della Fiorentina e del suo Siena, indicandomi dal finestrino del treno un poggio con un albero, mi disse, grave: "...Noi e voi s'era costì". Intendendo con "noi" le schiere ghibelline senesi, e di conseguenza lui; con "voi" le milizie guelfe di Firenze e me, degli sconfitti; con "s'era" l'anno 1260 e con "costì" Montaperti, il luogo del loro trionfo. In sintesi, io ero un viaggiatore di una genia di sconfitti e lui un vincitore che verificava la validità del mio biglietto.

Lascio l'auto nei pressi di una palazzina circondata da camper. Girano ragazzi coi capelli lunghi, i pantaloni corti pieni di tasche e le chitarre acustiche - sono gli artisti di strada in arrivo alla festa di Mercantia. Un cartello dice "Centro" e prendo una viuzza percorsa da autobus dell'azienda certaldese di trasporti. Avvisto un vigile, stivali d'ordinanza e camicia inspiegabilmente asciutta. Cammina così lento che riesce a scrivere sul suo blocchetto. Gli chiedo per la festa. Spiega che è in cima al paese, ma c'è la funicolare. La fermata è a cento metri, in una piazza piena di bancarelle. La funicolare è un negozio con la saracinesca tirata su. C'è un cubo che sale, dopo non pochissimo scende e smaltisce i viaggiatori in attesa. Nel cubo stiamo in sedici, cinque seduti. Io mi tengo a un palo. Sono le otto di sera, il caldo è un mantello colloso. Le corde tirano lente.

Il paese antico è su, quello nuovo giù e in mezzo c'è una scesa con una terra scorbutica, rigata dalla cicatrice della funicolare. Uno scatto sordo. La porta della funicolare è spalancata, sono arrivato, c'è la brezza. Le vie del borgo sono di mattone rosso vinaccia e vinaccia i palazzi. Per strada, banchi di artigiani vendono maschere, monili, scialli. Il corso è ancora vuoto come quando si arriva a una festa prima che sia cominciata. Inizia il tramonto e via Boccaccio è color rubino. In alto la vita è bella. In una piazzola obliqua, un clown inglese grida "come on" ai primi bambini. Un prete induista con gli occhialini tondi ridacchia col barman che gli serve la birra. Il prete induista somiglia a Marco Mazzocchi di Rai Sport e parla un dialetto del Lazio. Non la conta giusta. La via dritta e lunga, patrizia e rossa, mi attrae come un magnete. Dai palazzi insigni, le corti spalancate illustrano pozzi, giardini, la ghiaia pettinata e file di sedie bianche in attesa dello spettacolo. In fondo alla vinaccia di via Boccaccio, dopo le gradinate monumentali, Palazzo Pretorio si alza come un tempio. Fu il simbolo dell'immenso potere di Firenze, ma anche se a ogni passo c'è la Storia, incrocio un frate con appeso al petto il cartello "Fra Cipolla". Ha il naso ritoccato di rosso come se fosse paonazzo: non è un frate ubriaco, è un figurante e si fa fotografare con due turisti anziani che ridono.

Le nove, il giorno resiste, ma c'è un trillo di archi. Sul corso avanza una fila ondeggiante di violini e violoncelli, la ragazza in fondo batte su un tamburo. È una piccola orchestra, quasi solo donne. Forse musica irlandese, o scozzese, e poi spunta una malinconia il cui padre potrebbe essere Antonio Vivaldi, dalle "Stravaganze". Sono frastornato dall'assalto della bellezza, e sono incerto su cosa sia più bello: se la musica; Certaldo dalle vie e dalle mura di un rosso vinaccia mai visto sulle pietre; se la scoperta di Certaldo nel fresco di una sera d'estate; se la musica al tramonto tra muri color vinaccia; se sia bella questa vinaccia contro l'aria cilestrina che non vuole abbuiarsi, e Certaldo irretita dalla musica. E poi vorrei sapere se siano le strade ad abbracciare la musica, o la musica a cingere teneramente i giardini e i pozzi che spuntano dalle corti e a far splendere le entrate dei bar con le pile di schiacciate sui vassoi.

Caro me stesso, ti scrivo: è inutile cercare la bellezza, bisogna farsi trovare da lei. Una piccola folla attornia le violiniste in marcia, e già la folla è attorniata dalle violiniste. Sono in piedi in mezzo alla muraglia delle macchine fotografiche, dietro gli obiettivi i fotografi scattano foto e aprono il sorriso al piacere di fotografare lo spirito del teatro. Vorrei sapere come farò domani nella vita normale, senza il teatro dappertutto. Ai bordi del muro umano che circonda i suonatori, c'è uno dai modi di ragazzo, però è attempato. La sua camicia bianca si gonfia per un colpo di vento, gesticola con la gioia spavalda di un ubriaco. Fa un cenno tagliente alla prima violinista, una zampata nell'aria. Lei, in spalla uno zaino tecnologico con l'antenna, guida gli archi nella direzione indicata dall'uomo con la camicia bianca piena di vento. Un passante pazzo, un fattucchiero, un demone euforico, un mitomane, un'apparizione irreale, un'icona dell'imprevisto. Dopodiché l'uomo con la camicia di vento si dilegua. Vado dietro ai violini e transitiamo accanto alla chiesa dove riposa Giovanni Boccaccio, con questo casino stasera è sveglio e le spoglie degli antichi certaldesi battono le ossa a tempo - clicchete e clacchete. La luce dei fari avvampa, è arrivata la notte e la folla esorbita oltre i tetti. Sulle gradinate architettate da secoli in fondo alla via, c'è l'uomo-orchestra napoletano che canta Carosone con sobria eleganza. Col tacco della scarpa scalcia su un tamburo.

Mentre la folla si abbatte sulle case come una mareggiata, di fronte al bar Chichibio c'è una donna anziana con la carriola. Un cartello annuncia che è la Venditrice di Briciole e che vende pane e sogni. Alla curva di via Rivellino, la strada più antica di Certaldo, ci sono bancarelle cosparse di cappelli di paglia, e poi due uomini vestiti di rosso, uno alto e uno basso, che cantano con la chitarra, rochi, allegri e lombardi. Uno si presenta, è Casimiro, ma non ricordo se quello alto o quello basso. Ciao Casimiro, sono uno che passava e si è addossato al muro di fronte per guardarvi. La gente applaude, quello basso ringrazia il pubblico con il pupazzo di un omino che esce dalla cima del borsalino e fa un inchino - gli artisti hanno cuori giganteschi, fanno regali a ogni passo. In un chiostro ristagnano un'arpa e un canto di donna, ma confina col Giardino delle Suore dove la platea ride furiosa. Sul palco tre donne-clown: Le Galline. Un borioso Clown Bianco tenta inutilmente di dirigere gli Augusti uno e due, cioè il tonto e il pazzoide. Il Clown Bianco tiene un salvagente dietro la schiena e spiega agli Augusti la meccanica semplicissima della scenetta: reciterà di essere la proprietaria di un negozio di articoli marinari che deve vendere loro un salvagente, e loro dovranno fare le clienti che entrano per la prima volta in un negozio di articoli marinari. O cominciamo! Ma la scenetta non parte. I tonti uno e due sono immobili: non vedono nessun negozio. La ciambella da vendere, pronta dietro la schiena, immobile perché la scena non inizia, il clown bianco gorgoglia di spicciarsi con una estemporanea serie di voci tra Tina Pica, Vittorio De Sica e uno scoppiettante Picchiarello. Dalla platea, si alzano le risate piccole, quelle grandi e la donna che non riesce a smettere di ridere. In cielo passa una mongolfiera fiammeggiante. La platea e le attrici alzano la testa, e la risata del pubblico e le battute sulla scena implodono, passando dal riso allo stupore impietrito.

Questa bellezza non la potrò ritrovare. Solo un grande teatro può inscenare il mondo in una notte per strada. Ne parlo con Alessandro Gigli, l'uomo con la camicia bianca gonfiata dal vento, è l'inventore di Mercantia, burattinaio e scrittore di fiabe. Dice che questo teatro è di strada nel senso che prevede di apparire a un tratto per via, sotto un arco, in cielo con un pallone infuocato. Non serve un direttore artistico, neanche un regista, ma un ministro del culto teatrale che faccia apparire gli avvenimenti. Ogni anno, lui veglia per un anno sulle braci di Mercantia, allora l'anno dopo nelle strade di Certaldo divampa il teatro - un'orazione da elevare, una domanda di sublime. In una recente edizione, un pubblico di sette persone scendeva in una cantina sprofondata sotto Palazzo Pretorio, nel gelo dell'umidità. Avvolta nei playd, la gente calava nel buio infame. In fondo, aspettava un cubicolo. Un tempo là sotto c'era una prigione con rinchiusa una donna, adesso un'attrice detenuta negli inferi del teatro. Il pubblico aveva piccolissime lampadine e le puntava sull'attrice che faceva la prigioniera, ma il pubblico era a sua volta prigioniero di buio e freddo. Un'altra notte la folla giocava con un grande pallone bianco, arrivato per strada in modo inspiegabile, cioè teatrale. Era una sfera leggera, ogni volta calciata in alto in una gara generale ad arrivare più in alto ancora. A un certo punto, la sfera oltrepassa i merli di un antico palazzo e scompare dall'altra parte del muro. E dall'altra parte, nella corte del palazzo, sopra un palco c'è un giocoliere che sta lanciando nell'aria tre palline bianche, le riprende e le rilancia. Poi ferma la girandola per ricevere l'applauso. Ma il pubblico non applaude, ha alzato la testa e guarda le stelle. Dal cielo scende lentamente una palla bianca, molto più grande delle tre palline di prima. La gente sospira: "Oooooooooh". La palla bianca lanciata dall'altra parte del muro che adesso arriva tra le mani del giocoliere, per il pubblico è la quarta pallina bianca, diventata grandissima.

A cena incontro Jorg, del duo di clown tedeschi, gli Shabernack. Con l'altro clown, Angelika, e la figlia Sara, Jorg abita da trentanni a Monte Laterone, sull'Amiata. Vivono "col cappello" - vivere col cappello significa tendere la mano per ricevere l'antica paga stradale degli artisti. Shabernack è un'espressione yiddish, significa scherzo benevolo. Alla lettera, alzare il cappello dalla fronte e farlo scivolare fino alla nuca: a quel punto si può affrontare tutto. Jorg, volto regolare, i capelli bianchi sulle spalle, si accoccola vicino a me come un bambino e sussurra che nella loro vita da clown non c'è mai stata la paura. 

Parto. Un fiume umano riempie Certaldo, enormi teste di drago sputano serpentine di fuoco nella notte, appese alle corde lungo un palazzo, due donne volteggiano a tempo di musica sopra il pubblico, e in un vicolo un'elegante figura sui trampoli corre tra la folla ancheggiando sulle pertiche come se fosse naturale l'esistenza di una persona alta quattro metri.

Ora ascoltami bene, Dio delle mura di Certaldo, degli acrobati, del Clown Bianco, degli Augusti Uno e Due e delle vecchie ossa certaldesi che clicchete clacchete ballano nella tomba di Boccaccio: ci faresti una cortesia? Benedici l'uomo dalla camicia bianca gonfia di vento, e conservagli l'ubriacatura.

 
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