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Post n°687 pubblicato il 31 Dicembre 2008 da tonny88

Di chi era quel volto? Si guardava allo specchio senza riconoscersi. Come un pagliaccio con troppo trucco in faccia. Non vedeva oltre ai suoi difetti che cercava di nascondere, mentendo, fuggendo. Fissava intensamente i suoi grandi occhi verdi. Nella speranza che gli raccontassero qualcosa. Una verità, una rivelazione. Una risposta. Quegli occhi, i suoi occhi, invece erano spenti. Come astri privi luce propria, ma capaci solo di luce riflessa. La luce fredda di due lampadine che dall’alto illuminavano lo specchio.
Oltre la barba di qualche giorno e i capelli spettinati, che gli conferivano un’aria vissuta e trasandata, si nascondeva qualcosa. Fragilità, debolezza, inquietudine. Sorrise pensando a ciò. Descriveva la figura di fronte a se come fosse un estraneo. Invece conosceva bene quell’individuo. Conosceva bene se stesso.
Provava rabbia ora. Rassegnazione adesso. Non riusciva più nemmeno  a dire di essere infelice. Non c’era più bisogno di quella parola. Gli era ormai entrata dentro da esserne diventato l’impersonificazione completa.
Si guardò ancora. Disarmato e atterrito abbassò lo sguardo. Le sue mani aprivano il rubinetto dell’acqua fredda. Si sciacquò il viso, cercando di pensare ad altro. Appoggiando i gomiti sul freddo marmo del lavandino. Verde. Screziato di nero e oro. Come le piastrelle alle sue spalle. Come il tappeto ai suoi piedi. Come le tende che coprivano la finestra alla sua sinistra. Come i suoi occhi, che tornò a guardare non appena finì di asciugarsi con un asciugamano verde anch’esso. Si sentiva più vecchio dell’età che aveva e quella macchia rossa sul naso lo faceva odiare ancora di più.

Sentiva freddo. Non gli capitava spesso, ma le dita sei suoi piedi erano indolenzite e gelide. Tremava un po’. Entrando nella sua stanza andò subito al termosifone. Un tenero tepore gli saliva dalle mani. Dopo aver scostato un poco la tenda rimase li in piedi a scaldarsi e ad osservare fuori. Il crepuscolo lasciava in cielo resti di un pallido sole invernale. Il penultimo di quell’anno. Le luci colorate del natale erano state accese da poco in alcune case, anche le sue, constatò guardando verso il basso. Di fronte al portico, un arbusto completamente spoglio, ma che in primavera regala dei bei fiori viola e foglie di un verde chiaro, era stato addobbato alla bell’è meglio da un lungo filo di piccole luci vivaci che lampeggiavano in continuazione cambiando ritmo con una logica che solo stando a controllare attentamente si sarebbe capita. Ma a lui questo non interessava. Quel paesaggio era sempre lo stesso, da anni. Solo gli alberi crescevano, quella stessa pianta era ogni anno più grande. Ogni anno ne rimaneva colpito.
Si abbandonò al calore del radiatore, fino a scivolare e a sedersi per terra. Lo voleva quasi abbracciare. Decise di sistemare dei cuscini, recuperati da una poltrona li vicino, per stare meno scomodo. Prese un libro da sopra il letto. E tornò al suo nuovo spazio cercando una posizione più comoda per dedicarsi alla lettura. Ma non era facile. Aveva sempre sognato di avere nella sua stanza quel genere di sedute che si vedono nei film anglofili. Quegli antri comodi ricreati dalle bow windows tipiche nell’architettura inglese.
Troppo distratto da fantasie e dalla seduta scomoda, tornò nel suo freddo letto con il suo libro. Sola e unica consolazione di quei giorni.

Trasportato dalla lettura, sentiva di divorare quel libro pagina dopo pagina. Ma non voleva finirlo. Avrebbe potuto farlo forse qualche giorno fa. Ma sempre con parsimonia dedicava alla lettura un certo tempo. Quasi avesse paura che tutto quel magico mondo di parole e immagini inventate nella sua testa finissero da un momento all’altro e non gli rimanesse altro che un libro chiuso nell’attesa di sceglierne un altro e ricominciare così tutto da capo. La paura della fine, la paura del ricominciare. O forse solo pigrizia. Un po’ come tutta la sua vita. Ed ora, ad un giorno alla fine di quell’anno, sapeva che le cose dovevano ricominciare. Che fuori era un uomo, e che doveva adesso diventarlo anche dentro.

Ma ormai aveva perso ogni interesse. Non aveva alcuna forza o stimolo che lo facesse andare avanti. Perfino i suoi sogni notturni, anche se sempre strani, erano chiari e coerenti nella narrazione. E non lo sorprendevano più, solo ricordarli ancora al suo risveglio lo rincuoravano. C’erano mattine, molte fino a qualche giorno fa, che sentiva il sapore amaro di un sonno nero fine a se stesso. I sogni da sveglio invece, a stento gli riuscivano. Come se avesse perso delle fantasia. Come se avesse perso delle speranze. Portava tutto all’estremo e all’assurdo per far credere a se stesso di essere ancora capace a sognare. Ma veniva poi tutto dimenticato, il sonno cancellava i pensieri inutili annidati giorno per giorno nella sua testa.

Voleva sperare e credere ancora. Ma continuava a rimandare, come sempre aveva fatto nella sua vita. Sente in realtà che è già troppo tardi. Ancora quest’ultimo giorno e poi un altro anno è pronto a cominciare. Il meccanismo non si inceppa.

Gli occhi cominciano ad irritarsi. E pian piano tra le parole di quel libro, si fa spazio il sonno, che prepotente lo trascina in un altro mondo. E con il libro ancora aperto sul suo petto, chiude gli occhi senza opporre resistenza. Ed è tutto nero, come fuori, lo è il cielo.

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Commenti al Post:
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Anonimo il 01/01/09 alle 21:54 via WEB
Vedo che ti sei descritto molto bene Andrea,e questo mi rattrista molto. Spero che il nuovo anno riesca a far breccia come una torcia nel buio,e che tu possa vedere la luce con altri occhi.Ti aspetto vale
 
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Sono nel buio un’ombra,
sono nel nulla un’orma,
sono il vuoto,
sono un malato.
Sono la foglia che cade,
Il deserto e il mare,
sono l’errore,
sono odio e amore.
Sono la tela bianca,
il libro strappato,
sono il vetro rotto,
un panno consumato.
Sono l’attesa, la speranza.

L’indecisione e la tristezza.
Sono l’infinito senza arrivo.
sono morto e vivo.
Sono un fantasma,
lo spirito errante,
sono l’animale estinto,
l’escluso, sono il vinto,
sono un uomo solo,
io sono nessuno.

 

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