Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! (Divina Commedia - Inferno, Canto I)
Sono pensieri di Kendo questi, di conseguenza anche pensieri di vita. Sono anche pensieri intimi che vorrei rendere pubblici per poterli rileggere con i vostri occhi ed i vostri commenti nel tentativo di comprenderli meglio. Eppure non sono domande e nemmeno risposte, sono quella esperienza illogica prodotto della meditazione che vi presento come si porge un fiore. Dall’ultima lezione riporto l’esortazione insistente del mio maestro verso la ricerca continua di una linearità assoluta. Per me, che vengo da una scuola di Aikido fatta di spirali; di vela e di volo, fatta di rotte lossodromie mai rettilinee, è una visione mentale diversa e quindi più impegnativa. Quando non riesco a capire una cosa in modo diretto cerco un approccio laterale, ho scoperto che a sbattere la testa contro un muro frontalmente si ottiene solo il massimo della sofferenza, quasi mai il minimo della fatica: meglio passare dal fianco. Ieri così mi sono perso a cercare altro, per non ostinare il cervello a risolvere questa matrice dove una variabile sostanziale dipende dalla mia cocciutaggine ed è una condizione al contorno che rende più difficile estrarre il determinante. Mi capita che smettendo di cercare quello che si desidera poi lo si trovi; convinto che il giorno in cui la carcassa non reggerà più la fatica della spada praticata, la mia vocazione si rivolgerà all’Ikebana, mi sono soffermato su di una esposizione avvenuta recentemente presso i grandi magazzini di Takashimaya, di Tokyo. L’incanto, prima di tutto, è il risultato di quest’arte rigorosissima, che come dice il nome stesso utilizza solo fiori vivi, dove solo ciò che è vegetale è permesso come strumento di applicazione di regole severe, figlie di profonde concezioni filosofiche. Diverse sono le scuole di Ikebana, questa che vado a mostrare è la Sogetsu, che permette uno spazio notevole alla creatività, con slanci più moderni e meno ancorati alla tradizione Rikku. Restano comunque di base alcune regole fondamentali nella composizione da realizzare: la forma perfetta del triangolo si esalta nell’Ikebana derivando dalla speculazione estetica di concetti metafisici presenti sia nello Zen che nelle altre religioni importate dall’Asia, religioni che nella cultura giapponese convivono pacificamente alimentandosi in modo reciproco con soddisfazione. Il triangolo si esplicita con tre elementi caratteristici Ten (il ramo lungo che simboleggia il cielo e l’eterno), Chi il ramo corto che rappresenta la terra e la materialità e tra questi Jin (l’uomo protagonista dell’avventura della vita e della creazione artistica). Dalle originali intuizioni del Taoismo si prende viceversa coscienza di concetti come lo Yang e lo Yin le forze contrapposte evidenti in tutti i fenomeni naturali (giorno e notte, uomo e donna, caldo e freddo) che verranno riprodotti nell’ikebana, il simbolo del Tai Chi, che utilizzo anche io come logo, si traduce nella nota figura del quadrato inscritto nel cerchio. Immaginando la diagonale che taglia in due il quadrato si ottengono appunto due triangoli: lo Yin inferiore e lo Yang superiore. Questo triangolo rappresenta per gli artisti floreali dell’Ikebana la perfetta completezza. Nel triangolo cosmico si rappresentano i due attori dell’Ikebana: la pianta Yin (natura) che si confronta con il cielo Yang (eternità), generando movimenti che trasformano la figura geometrica piana in figura dinamica: come nei due simboli contrapposti, c’è un perenne inseguirsi di staticità e dinamismo, incessanti e per questo eterni, eppure delimitati da confini invalicabili. Il prototipo del modello da replicare diventa un fenomeno che filtrato dalla interpretazione dell’artista non si rivela mai uguale, ma sempre impermanente, nonostante la necessità dei creatori di rispettare le innumerevoli regole codificate in modo inflessibile. La continua ricerca di variazioni sullo stesso tema conduce ancora ad una diversa conquista del pensiero estetico: la valorizzazione degli spazi vuoti, che descrivono un movimento di linee visibili anche se non presenti, intensificano il senso poetico della mancanza e del rimpianto, capisaldi di altre forme artistiche come gli Haiku che io apprezzo tanto. Gli spazi vuoti diventano il vero completamento fisico dell’opera, secondo concetti che sono propri della filosofia Zen), ed è proprio questo vuoto colmabile dall’interpretazione dello spettatore che permette un dialogo ed una emozione più forte verso l’opera realizzata, quasi fosse stata creata in modo personale e diverso per ogni ammiratore. Il concetto di paradosso risulta evidente in un prodotto immobile eppure tanto dinamico, ferreo nel rispetto di regole che ciascuno spettatore interpreta con la propria singolare sensibilità. Il richiamo al paradosso è quello stesso del Koan dello Zen, unica via per l’ illuminazione o Satori). Così nelle infinite possibilità di una singola ed unica creazione io leggo a modo mio il rispetto dei concetti canonici delle arti marziali, alle quali l’Ikebana appartiene di diritto, non come antitesi, ma come realtà indivise dello stesso fenomeno. Rivedo allora nei pieni e nei vuoti delle composizioni floreali, i movimenti e il dinamismo delle discipline che ho praticato, e come negli esempi che seguono, attribuisco loro un nome tutto mio (e solo mio) comprendendo che la linea retta e la linea curva sono alla fine la medesima cosa: l’espressione di una energia senza fine. A chi mi ha seguito fin qui un ringraziamento particolare e una galleria delle composizioni che più hanno colpito la mia fantasia, la quale ha letto nei fiori le arti che ho praticato e cercato di fare, almeno in parte, anche mie. Credo davvero che l’Ikebana potrà essere un pezzo della mia strada nel futuro, spero ancora un poco lontano.
CIao M. E' sempr eun piacere leggere i tuoi post, peccato che ultimamente non riesca a passare tanto spesso. Cmq devo dire che le tue parole hanno risvegliato in me tanti concetti e portato alla memoria tante frasi lette o sentite. Concordo con ciò che scrivi e ti auguro presto di poter affinacare questa nuova "via" alle altre. Molto belle le tue foto. PS due piccole riflessioni: 1) nelle tue prime righe mi sono ritrovato particolarmente, anche il mio maestro dice sempre che pur lavorando con le spirali dobbiamo cercare la "linearità" nelle tecniche soprattutto nella visualizzazione e nell'intenzione. 2) mi è piaciuta molto la definizione di Ikebana come "arte marziale" troppo spesso e troppo facilmente si ci dimentica dell' "arte" e si associa il "marziale" alla gratuita violenza. Sempre felice di averti incontrato lungo la mia "via". RK
Io credo che per quanti numerose possano essere le strade verso quel punto all’orizzonte, per una evidente legge prospettica sono destinate ad incontrarsi e trovare con il progredire del cammino sempre maggiori vicinanze. Delle cose che non riesco a capire, la colpa è quasi sempre delle mie palpebre che si abbassano proprio nel momento in cui invece dovrei guardare con particolare attenzione. Arte marziale sì, sottolineo anche che non si tratta di marzialità artistica, l’arte viene per prima. Arte: con la sua esigenza di creare il bello e di comporre gesti che suscitino emozioni, che permettano un dialogo oltre le lingue, le culture e le opinioni diverse, trasformando un gesto di offesa in un dono di pace.
È sempre un grande piacere anche per me dividere il passo con te su questo "nostro" sentiero.
Nel Karate, come in molte altre discipline, ci si veste tutti con la stessa divisa di colore bianco, in Giappone è il colore della spiritualità ed anche della morte, che come dice Totò è una livella. Non ci sono più distinzioni tra abiti ricchi o poveri, scompaiono le diversità in un nome di una pratica che rende tutti fratelli e sorelle. Un saluto e l’augurio di un sereno week end.
anche a me l'ultima immagine inquieta un pochino... per il resto adoro tutto ciò che sono queste arti marziali...il giappone...i suoi film...i documentari, la sua storia... dolce notte.Paola
L’esecuzione delle tecniche è spesso idealizzata da un onda, ma io preferisco la figura descrittami da un grande maestro: un fuoco d’artificio. Come per questo, succede che ci si carichi di energia con una traccia appena visibile, poi c’è l’esplosione con un fuoco policromo e un rumore tonante, ma la fase più bella, che permette di apprezzare la perfezione di quanto compiuto, è l’ultima, quando lo spirito si allarga e lentamente si consuma per scemare in modo armonioso fino alla totale serenità. Io ho creduto di vedere questo nella composizione.
Incantevole.
Il tuo districarti tra petali e piante, narra la costruzione di 'un se', piacevole e colto.
In un mondo che ha perso consistenza e spessore, ecco che il dialogo....si Magia. Riflessione piu' che mai condivisa.
ps: ...uno dei tuoi piu' bei post, Max. Grazie. :)
Le scoperte fondamentali della vita, quelle che chiedono di essere sovente rivisitate e riprese tra le mani per migliorare le certezze e fugare i dubbi, sono nascoste nelle cose semplici. Spesso crediamo che la comprensione sia abbracciare la complessità scoprendo presto che le nostre mani non possono allargarsi più di tanto. In un fiore invece, che spesso distrattamente si calpesta, è contenuto il messaggio del cerchio della vita: un fiore che non ha mai fine.
ero bambina quando la prima ciotola è arrivata in casa. nel fondo degli speroni appuntiti su una base rotonda. a cosa servono mamma? servivano per infilarci i fiori. ho provato un brivido, leggero e freddo, scendermi giù lungo la schiena. allora non sapevo che spesso la vita assomiglia ad un fiore usato per una composizione d'ikebana. alcune vite, rimangono in memoria per la loro bellezza, le altre, sfioriscono soffrendo, in silenzio. un saluto speciale al sensei.;)
Io credo, vicino al tuo pensiero, che tutte le vite che passano, come i fiori per Ikebana, possano celebrare il bello e la poesia della vita, quell’ eterno fluire destinato a trasformarsi ad ogni istante. Anche nell’Ikebana c’è l’impermanenza, cosa che spesso manca nella nostra visione dell’arte, è una favola raccontata al momento, in quel preciso istante trova il senso più bello, poi cade, come i fiori di ciliegio, resta fissata semmai nel ricordo, ma il suo istante è consumato e si attendono allora nuove meraviglie.
perfettamente coerente con il pensiero precedente a questo post ed a quello successivo. perfettamente coerente e immutato. come vedi esiste qualcosa che non muta. ;)
Dal Fudòchishinmyòroku di Takuan Soho apprendo che la saggezza è immutabile, ma questo non vuol dire che sia statica. La mente si muove così come le è proprio: nelle dieci direzioni e verso gli otto punti. La mente che non si ferma è detta “Immutabile Saggezza”. Immutabile è quindi ciò che si muove secondo legge naturale, non ciò che è fermo. Così sono io, così sei tu. Namasté
È sempre un grande piacere anche per me dividere il passo con te su questo "nostro" sentiero.
Il tuo districarti tra petali e piante, narra la costruzione di 'un se', piacevole e colto.
In un mondo che ha perso consistenza e spessore, ecco che il dialogo....si Magia. Riflessione piu' che mai condivisa.
ps: ...uno dei tuoi piu' bei post, Max. Grazie. :)
ho provato un brivido, leggero e freddo, scendermi giù lungo la schiena. allora non sapevo che spesso la vita assomiglia ad un fiore usato per una composizione d'ikebana. alcune vite, rimangono in memoria per la loro bellezza, le altre, sfioriscono soffrendo, in silenzio.
un saluto speciale al sensei.;)
grazie mille :)