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***la_lettera***

Post n°365 pubblicato il 03 Marzo 2010 da fragolozza
 

Non avrei potuto escogitare un espediente più stupido.
Ho fatto finta di frugarmi nelle tasche e ne ho estratto un foglietto, l’ennesima lettera per te, scritta appena poche ore prima. Nonostante ti stessi mostrando più indifferente del solito alla mia presenza, sapevo che, per pura curiosità, me lo avresti strappato dalle mani. E così è stato.
“Cos’è?  Una lettera d’amore?” E ti sei messo a ridere.
“Ridammelo”
“Cos’è?”
“Cosa vuoi che sia? Un vecchio foglio. Non so nemmeno a quanto tempo fa risale. Era da tanto che non indossavo questa giacca. Dai, ridammelo!”
“No!” Ed hai cominciato a leggere.
A quel punto mi sono sentita davvero cretina. Ma cosa avevo sperato? Che sarebbe bastata una lettera per farti innamorare di me?
Hai finito e me l’hai restituita. Avevi l’espressione perplessa, ma non è durata molto.
Hai subito ripreso a fare commenti su ogni ragazza carina che ti capitava a tiro.
Io mi sono chiusa in un assurdo mutismo. Se non fossi stata tanto ossessionata dal desiderio di rimanere lì con te, sarei scappata a casa e, per penitenza, mi sarei infilata non sotto le coperte, ma sotto il letto. Ma le gambe mi si paralizzavano alla sola idea di dovermi separare da te. Non c’era niente da fare. Eri colla.
Luca mi si è avvicinato e mi ha chiesto come stavo.
“Bene! Come sempre!” Ed ho provato a sorridergli, ma non credo se la sia bevuta.
Forse ha intuito qualcosa. Mi dice sempre che devo trovarmi un ragazzo, un bravo ragazzo che mi renda felice, perché gli sembro perennemente triste. Sì, credo proprio che si sia reso conto che sono innamorata persa di te.
E tu? Forse anche tu e magari è per questo che, per il resto della serata, non mi hai nemmeno rivolto la parola.
Però sei stato gentile quando, andando via, mi hai chiesto se venivo con te.
“Sì, si è fatto tardi.” Ti ho risposto. E mi sono incamminata al tuo fianco senza dire nulla.
La strada da fare non era molta: dieci metri di viale, una piazza da attraversare ed eccoci sotto casa mia.
Ti ho chiesto se ti andava di fumare una sigaretta con me, una scusa che utilizzavo già da un po’ per trascorrere i residui scampoli della sera da soli. L’unico modo che avevo per tenerti tutto per me, per parlarti, per dirti anche stronzate, ma solo per te, senza orecchi estranei ad ascoltare.
Hai accettato e l’ho accesa. Una sigaretta per due, cosicché le mie labbra potessero poggiarsi sulle impronte delle tue.
“Per chi hai scritto quella lettera?”
“Un ragazzo. Non ricordo nemmeno chi. E’ passato tanto tempo.”
“Dammela.”
E non so per quale assurdo motivo l’ho ritirata fuori dalla tasca e te l’ho data.
L’hai riletta, stavolta, ad alta voce.
Vorrei trovare il coraggio di dirti ciò che non riesco a dirti, che mi manchi anche quando ci sei, ma che, nello stesso tempo, mi accontento di starti vicino; che ti sento, con ogni mia cellula e in ogni mio respiro, perché sei l’anima stessa di tutto quello che ho intorno; che ti cerco e ti trovo in qualunque pensiero, affiorante dalla mente e carezzante il cuore. I miei sensi non hanno senso, se non sei tu ad allertarli. Le mie azioni sono puro affannarsi, se non è verso di te che oriento i miei passi. Lontano e distante, eppure ti ho dentro. Io ti sono fuori, altrettanto lontana e distante, ma indifferente. Vorrei solo che tu mi volessi un po’ bene…Dai, per chi l’hai scritta?”
“Ti ho detto che non mi ricordo.”
“Almeno dimmi a quanto tempo fa risale.”
“Ma non lo so! Credimi!”
“Allora buttala!”
“Buttala tu!”
“Ok, anzi no. Ho un’idea migliore. Che ne dici se la bruciamo?”
“Bruciarla?”
“Sì, passami l’accendino.”
L’accendino che ti ho messo nelle mani poteva benissimo essere un coltello, perché il modo in cui l’hai usato ha sortito lo stesso effetto. Ti ho guardato accartocciare il foglio e appiccare la fiamma. Le mie parole sono subito diventate cenere.
“Ecco fatto. Ora vado. Buonanotte.”
Ero una statua di sale. Non ho pianto, perché mi sarei sciolta.
“Buonanotte.” Ho mormorato a stento. Ed ho aspettato che il mio sangue riprendesse a circolare e che tu fossi abbastanza lontano da non vedermi, per poter finalmente piangere.

 
Rispondi al commento:
gerns
gerns il 04/03/10 alle 08:25 via WEB
Bel raccontino ! ('_')
 
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Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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