Creato da Airetikios il 18/06/2011
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Vendemmia

Post n°109 pubblicato il 09 Settembre 2011 da Airetikios
 

Che giorno è oggi?
Mi accorgo di dovermi soffermare a pensare, non è una cosa immediata

Venerdì, 9 settembre, il tempo fila via come un razzo, tra poco sarà autunno, le giornate sono decisamente più corte anche se continua a fare caldo ed infatti stamattina alle 4.30 si sono accesi i condizionatori della banca che c'è sotto casa, un rumore sordo e continuo che disturba il silenzio della notte.

Poco più in là ci sono i silos della cantina sociale che ad intervalli regolari rilasciano i gas provocati dalla fermentazione dei grappoli che ogni giorno da due settimane circa vengono conferiti da ogni parte della zona.

E' tempo di vendemmia e qui si vendemmia presto, fine agosto inizi di settembre, mentre su in Piemonte si andava molto oltre arrivando fino alla fine di ottobre a volte

Come tutti i lavori dei campi la vendemmia è un lavoro lento e faticoso, deve essere fatto a mano percorrendo i filari da un capo a quell'altro senza quasi senza dimenticare alcun grappolo, ma lasciandone comunque qualcuno per gli uccellini.

Almeno, questa era la spiegazione che mi era stata data quando avevo fatto notare un grappolino d'uva dimenticato ed ancora oggi non so se mi prendevano in giro oppure era vero, ma so che quella "cortesia", mi aveva deliziato.

Al rito della vendemmia ho partecipato molte volte nella mia adolescenza, degli amici dei miei genitori avevano una cascina nella piana vicino a Pinerolo, un minuscolo borgo di poche case chiamato Pascaretto.

Si arrivava presto quando iniziava a fare giorno ed il padrone di casa offriva la colazione, caffè, pane e salame, un bicchiere di vino per gli uomini, si distribuivano gli attrezzi, cestini, secchi, forbici, coltelli tutto quanto il cedessario, poi si saliva sul "tamagnon", ossia quei carri senza sospensioni che si vedono agganciati dietro ai trattori, e si andava alla vigna.

C'erano i raccoglitori, quelli che si prendevano un filare e lo percorrevano da un capo a quell'altro tagliando i grappoli e mettendoli in un contenitore che noi ragazzi provvedevamo a ritirare per andare a sversare nell'arbi. "Arbi" è una parola dialettale di cui non conosco il corrispondente in italiano, si tratat di una grossa vasca di legno, in sezione potrebbe assomigliare ad una barca perchè le due pareti si piegano fino ad un fondo molto stretto.

Quando l'arbi era pieno, nonostante il mio amico fosse coetaneo e non avesse la patente, guidavamo noi il trattore fino alla cascina dove sotto alla grande tettoia attendeva il tino.

Una cosa grandissima, a tronco di cono, alta da terra circa tre metri con una grossa bocca in cui usando pale d amuratore o da fornaio sversavamo il contenuto dell'arbi.

La prima operazione consisteva nel mettere un telo impermeabile tra la bocca del tino e l'arbi in modo da non far cadere  a terra neppure un acino d'uva e poi con un bel lavoro di ginocchia , braccia e schiena, palata dopo palata , travasavamo il tutto, quindi si tornava alla vigna dove, nel frattempo i cestini dei raccoglitori erano pieni e si ricominciava.

Non si smetteva per mezzogiorno, un bicchiere d'acqua o di vino, un the o un caffè e si proseguiva ad oltranza perchè il peso della digestione avrebbe reso difficoltoso il lavoro.

Quando iniziava ad imbrunire si smetteva, si raccoglievano tutti gli attrezzi, si risaliva sul tamagnon e si tornava a casa dove nel frattempo le donen di casa avevano preparato "marenda sinoira", ossia una merenda che faceva anche da cena.

Ci si lavava, ci si sedeva a tavola e comparivano tutti quei piatti della cultura contadina che deliziano il palato soprattutto se sono fatti in casa e quelli lo erano.
Ma allora non ero ancora un epicureo e preferivo andare a dar da mangiare ai maiali, si sa mai, meglio tenerseli buoni.

Alex

 
 
 
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