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« UnisexNebbia nello stomaco »

Sciolgo la paura in parole

Post n°145 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da AlexanderIceSky

 
Sono te. Ricordi? Mi senti ogni volta che pensi di tagliarti. E non lo fai. Mi senti sorridere con dolcezza ogni volta che ti odi. E smetterai. Mi senti volgere via lo sguardo con indifferenza ogni volta che chiedi aiuto. E te la caverai. Mi senti tacere ogni volta che urli una domanda disperata. E la terrai in te. Mi senti svanire ogni volta che ti accorgi di me. E non mi conoscerai ancora.

Sono la mano che scivola su quel pianoforte che ammiravi con desidero, e sognavi di suonare con poesia, estasiando mille visi ignoti con una bravura istintiva ed emozionale, sono il vento che giunge nei tuoi occhi per giustificare quelle lacrime quando hai perso la fiducia in te, sono l'ombra del tuo vestito mentre svogliatamente lo getti sulla sedia e non ti accorgi che amo l'ombra del tuo corpo nudo, mentre il tuo pensiero volge lontano alle preoccupazioni di un domani che nascerà dall'insoddisfazione di una notte volgente ad un sonno difficile. Adoro ogni tuo gesto riflesso contro il pavimento e l'armadio, senza innamorarmi mai di te. Sono quel rapido bisbiglio che ti lascia un senso di fastidio che dura per ore e che scompare prima che tu possa individuarlo. Sono il tradimento tradito, il desiderio incompiuto, il suono del tuo passo che attende nei tuoi piedi l'istante per nascere, ma tu fermi il piede, sono l'intenzione uccisa dalla lama dell'evento incompreso, sono l'azione fermata dalla paura che ti brucia dentro mentre la respingi in te. Sono la polvere sull'eterna immagine della tua verità negata. Sono la lacrima nera che racconta la forma del tuo viso, sono la perfezione della pupilla nera ed immensa, sono il suono lontano che si perde in essa e ti ipnotizza per un attimo, prima che tu fugga, e sono il silenzio così forte da far sanguinare la tua testa, affinché tu non debba sentire il rumore dei passi troppo veloci e pesanti nel loro eco, affinché tu non debba capire che stai correndo, disperatamente, più forte che puoi, sentendo il dolore dei battiti del cuore strozzarsi in gola, sentire lo stomaco strizzato in lancinante violenza per la verità che prigioniera si spezza le unghie contro le pareti della sua prigione di paure, e trema, e non ha più la forma luminosa di un angelo, ha le ali piene di buchi e bruciature, sono ingiallite e piene di polvere, deboli e piegate, il viso di pallore marmoreo incavato e nervoso, maestosità perduta, sono il buio che ti accoglie affinché tu possa odiarti al sicuro, sono il tuo riflesso nella lama del rasoio che non riesci mai ad usare con un taglio deciso, sono la risata isterica immersa nel pianto quando vedi quei patetici graffi sulle tue vene e fai cadere le lacrime nell'acqua tiepida che assorbe il tuo odore, tinta gentilmente da poche gocce di sangue, da tenui rivoli della tua debolezza, tributi insufficienti alla tua piccolezza. Sono quel momento che trattieni, ne afferri un'estremità e lo tieni così teso che il lato tagliente di un foglio di carta con le tue parole sporcate potrebbe ferirlo a morte, e tu vedresti scivolare l'attimo verso l'ignota origine che richiama a se ciò che resta dopo il tuo gesto, nel mio buio. Sono quella voglia di cercare un senso per poterlo negare, sono fatto di parole e pensieri, là dove tu risiedi veramente, piccola anima impaurita vestita di logori stracci bianchi, troppo leggeri per l'inverno che penetra dalla livida luce della minuscola finestra. Sono la carezza sui tuoi piedi sporchi, mentre accoccolata con le gambe nel petto e la testa reclina sulle braccia che ti trattengono così chiusa in te, dondoli al suono di una piangente melodia che un tempo era la dolcezza di un ricordo felice. Piccola anima dai capelli neri, ognuno un ricordo, piccola anima che dimentica la sua vera storia e comincia a credere nei racconti contaminati di favole crudeli, piccola anima prigioniera di se. Sono la tua paura, dolce e gentile, che ti protegge dalla fatica e dal coraggio, che ti protegge dal mondo fuori, dal freddo fuori, dalle persone fuori, da storie che non conoscerai. Sono la polvere del tempo sulla statua che ergeranno in tuo ricordo, sono la polvere dei ricordi che cercherà di coprire l'epitaffio, la scritta ferita nella pietra che ancora cercherà di raccontare il nome della menzogna. Morirò con te per seguirti nella morte e lascerò la mia ombra nella vita.

Sono il balzo del gatto che si ripete due volte sulla strada notturna che percorri lentamente. Sono l'ombra del cielo sulle tue unghie. Sono il centro dello sguardo che vola veloce verso di te seguendo il suono dei tuoi desideri, sempre più vicino, ancora, ancora, ancora, eccomi, eccomi a te, sto per sfiorare la tua spalla, tendo la mano invisibile, sto per toccarti dentro, affamato dell'unico istante colmo dell'acuto fragore dei cristalli d'opale che si infrangeranno spezzando le loro iridescenze, come note finali di una ballata orientale. Sono il verme nella bocca del pettirosso, la ragnatela abbandonata che danza al pianto di un salice in un giorno d'estate morente e ferma, sono la tua carne che si scioglie in parole, sono l'ombra del lampione nella nebbia d'inverno, sono la risata di un bimbo nell'acqua del fiume, sono il pianto felice spezzato dalla tua immagine morente, il suono del tuo cuore nel suo ultimo battito, il silenzio perfetto del tuo sguardo immobile nella notte di una casa sconosciuta, in solitudine affacci timidamente il viso nella notte dalla veduta del secondo piano, sono il piccolo lume sulla finestra quadrata della soffitta di una casa che scruti in lontananza, credevi che fosse vuota, sono il calore del tuo respiro che si colora di azzurro nel freddo e racconta l'anima all'aria della notte, sfumando nel suono dei tuoi ricordi gelati dalla luce pungente delle stelle morte, sono quell'orma nella neve che non ha né inizio né fine, né storia o ricordo, né valore per turbare i tuoi pensieri più di quel fiocco bianco che scende nel tuo sguardo in questa notte di cielo limpido e racconta la logica dei sogni al tuo inconscio, a te che dormi dalla tua nascita e tieni nascosto l'istante del tuo primo vagito là nel basso del ventre che bruciò di dolore sorreggendo l'urlo potente dei tuoi polmoni che con l'arroganza del desiderio di vivere cercavano di rubare il mondo intero per resistere un attimo ancora. Sono il motivo per cui non ti ricordi dove sei, come sei finito in quella casa, sono l'abbraccio che ti protegge dal farti ricordare che sei lo straniero, e straniero al mondo scappasti nelle braccia della madre di ogni fuga. Sono la luce del mattino che accarezza la terra e cerca di parlare ai tuoi occhi chiusi per come puoi credere di ricordarli, sono la tua fobia di non esistere e non saperlo, sono l'ingrediente di magica forza nel tenero imbarazzo condiviso di un estatico gioco di sguardi, sono l'immagine che cerchi da una vita e che si aggrappa alle setole che intingi ogni volta nel colore sperando di farmi scivolare sulla tua tela bianca che odora di mare, sono la canzone perfetta che cantasti con semplicità quel giorno di due anni fa e la tristezza speciale di non ricordarla che ti insegnava il tempo delle cose ed il senso che tutte le connette nella loro origine, sono la musica del tuo respiro quando lo ascolti disteso nel letto fino a fonderlo col silenzio, sono lo scricchiolio dei tarli nel legno che non sai se credere frutto d'immaginazione o indefinita evidenza, sono lo spiraglio della finestra accostata che hai dimenticato di chiudere, in me passa la voce della notte e volerò sulle parole che essa racconterà ai tuoi capelli e alla tua fronte, così che tu viva in immagini il piccolo segreto che ogni notte ti porta. Sono la stanchezza dolente delle parole non trovate, l'odore del tuo sudore sul cuscino, ogni piccola cosa fuori che trattiene una nota della poesia, sono lei, sono lui, sono te ed in te con te, ricordi?

Sono gli occhi verdi che canti, le perle nere che sogni, il blu ed il grigio che vedi, nel bianco oltre le palpebre socchiuse vive la mia casa e respira con ogni dolce amara parete di polvere antica. Sono la cenere fine che un raggio di sole illumina davanti a te mentre cammini nelle tue giornate vuote di spirito, vengo da un incendio che nessuno ricorda, porto l'odore di mille carni e mille fiori, e li ho visti amarsi, confondere il piacere col dolore, urlare fondendosi, petali e vapori rossi. Sono il vestito nero abbandonato sull'ultima sedia di un funerale nuovo, sono la piccola crepa nel bracciolo sinistro di quella sedia accarezzata dalle onde morenti della risacca e posseduta storta dalla sabbia, della quale non distinguerai il colore nel tramonto di questo mare saggio, e non mi vedrai mai. Sono la bambola che vedesti spezzare e piangesti come mai ti videro piangere, ma non ero nemmeno tua e mai mi avevi avuta, morii felice, perché millenni prima ero pinna di un pesce estinto e spirale aurea di conchiglia e terra e piante. Non piangere per me, la tua poesia non sarà mai bella quanto i miei ricordi e se morirò come demone libero allora canterò il tuo pianto morendo e rinascerò nella tua lacrima cadente per morire più bello infrangendomi in piccoli figli contro il suolo.

Non scordarti di me, non lo farai. La senti questa musica? E' la mia canzone per te. Lasciami andare, muoio stanco ogni volta, e tornerò dopo aver imparato a non esistere ancora e ancora, non piangere per me, ma piangi con me per tenermi compagnia. Sei sola, piccola anima, e non sai perché d'improvviso non riesci a trattenere le lacrime, senti quel piccolo bruciore che preme nei tuoi occhi e stringe il tuo naso prima di esplodere silenzioso e sciogliersi sul tuo viso, dolcemente, come me. Non sai perché, ma ti ringrazio, di cuore, piccola anima, per questo pianto. Per una volta, mi sento meno solo con te. Chiudo gli occhi che non ho. Vivi questa piccola fine per me. Sono te. Ricordi?

 
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