Creato da Allure.Sensuelle il 12/01/2010

VerdeOro al Tramonto

curiosity killed the cat

 

Il peso della farfalla (parte seconda)

Post n°57 pubblicato il 15 Aprile 2014 da Allure.Sensuelle

 

     Una campana suonò tra i suoi passi pesanti, quella di mezzogiorno, ma si persero in aria dei rintocchi. Si fermò, affannava. Restò in piedi per vedere se riusciva a prendere fiato o se doveva posare la bestia per riavere forza.
...
Rimase in piedi con la bestia addosso a sentire se il corpo ce la faceva. Una farfalla bianca gli volò incontro e intorno. Ballò davanti agli occhi dell'uomo e le palpebre gli vennero pesanti.  ... il carico degli anni selvatici gli portò il conto sopra le ali di una farfalla bianca. Guardò il volo spezzato che gli girava intorno. .. Il volo andò a posarsi sopra il corno sinistro. Stavolta non potè scacciarla. Fu la piuma aggiunta al carico degli anni, quella che lo sfascia. S'incupì il respiro, le gambe si indurirono, il battito di ali e il battito del sangue si fermarono insieme. Il peso della farfalla gli era finito sopra il cuore, vuoto come un pugno chiuso..

(Erri de Luca)

 
 
 

Glicini..

Post n°56 pubblicato il 11 Aprile 2014 da Allure.Sensuelle

 
 
 

Passeggiata del Giappone

Post n°55 pubblicato il 11 Aprile 2014 da Allure.Sensuelle

Sabato pomeriggio ...

E mi tornano in mente dei versi di Neruda

 

"Vorrei fare con te quello che la Primavera fa con i ciliegi"

 
 
 

a caccia di sogni

Post n°54 pubblicato il 31 Marzo 2014 da Allure.Sensuelle

"Se sei soltanto mio" domandò Itamar "che cosa succede se non ti sogno più?"
"In questo caso non esisterò più" rispose mestamente il folletto.
"Proprio più da nessuna parte?"
"Da nessuna parte. Solo quando tu sei così gentile da sognarmi posso esistere un po'. Ma soltanto finchè il tuo sogno non svanisce. Grazie davvero" ..

"Allora è per questo che mi segui ovunque, in sogno?"

"Perchè ho paura che mi dimentichi, ecco" disse sottovoce il folletto...

Da qualche tempo divoro libri, come se cercassi consolazione nelle parole scritte, nei silenzi che parlano per immagini ai sentimenti. Un guscio nel quale mi rinchiudo per non lasciare briglia sciolta ad altri pensieri che si impennano gravi e grevi.. che posso riempire con quello che voglio, con quello che leggo e sentirmi così al sicuro.

"perchè ho paura che mi dimentichi, ecco.." 

(a volte quel sottovoce resta attaccato alle labbra, sovrastato dal rumore del fiato. E' così difficile parlare delle nostre paure, denudarsi mostrando quell'indesiderata fragilità che ci fa compiere passi falsi o arroccare su rigide cautele. A volte  è difficile anche solo parlare ...

 e non so perchè mi torna in mente la volpe del piccolo principe che voleva essere addomesticata ..)

Ho smesso di leggere e i pensieri rimbalzano secondo traiettorie caotiche e irrituali.

 
 
 

Il peso della farfalla (parte prima)

Post n°53 pubblicato il 30 Marzo 2014 da Allure.Sensuelle

  

 

    

"Occhi di falce", aveva sentito rivolgere a  una donna questo complimento. Era l'acciaio tirato a lucido dall'affilatura, di quella materia erano gli occhi della donna. Lei sapeva l'attrazione innescata in un uomo dal suo corpo. Chissà quanti si erano messi in fila per ottenere di essere guardati, quanti si erano inorgogliti per il traguardo dei suoi occhi. Della sua gioventù scossa, l'uomo ricordava il goffo degli uomini quando cercano di farsi notare da una donna. L'azzardo in una mischia poteva servire ad una reputazione, la voce forte, la battuta dura potevano risaltare in una tavolata. Davanti alle donne usciva ai maschi il gonfiore di petto del piccione. Gli uomini sbandavano davanti alle donne tra elemosina e sbruffoneria.

     Lui si rattrappiva per opporsi all'esibizione. Gli erano capitate allora donne che l'avevano voluto, preso come un sasso da terra. Sì, qualche volta era stato raccolto.     ( ... )
     A quella che arrivava a lui per ultima aveva visto fare la mossa di sbattere i capelli lisci in fuori, oltre le spalle. Somigliava alla scossa di fastidio che allontana e somigliava pure al richiamo di essere toccata sui capelli. Le donne fanno mosse di conchiglia, che si apre sia per buttare fuori che per risucchiare all'interno.

     Nell'incontro al villaggio lui aveva evitato gli occhi, la faccia. Era restato a tenersi le mani in treccia e a guardarci sopra. La donna vedeva che lui si negava l'attrazione. Non sapeva se gli veniva facile o pesante.    ( ... )

     Tirò via gli occhi dalle mani e guardò la finestra dietro le spalle della donna. Una cannuccia d'acqua si buttava giù da una roccia lontana, una riga bianca su una pagina nera, il suo rumore non arrivava a loro.
     La donna si voltò a guardare anche lei il punto fissato da lui. Così gli offrì la nuca, il panno di capelli sciolti caduti lisci sulla schiena saltando la curva del collo. Come il volo dell'acqua sulla roccia venivano giù senza rumore.    ( ... )

     Ci sono carezze che aggiunte sopra un carico lo fanno vacillare. Bevve un sorso e lasciò la mano intorno al bicchiere. Se a quel punto la donna gliela sfiorava, la sua tenuta, il carico e la gerla, sarebbe crollata. Non ci fu. Il fiato ritornò al suo passo, finì il bicchiere, ritirò la mano e si alzò.

(..un plaid rosso, un prato smeraldino e sodo, il cielo limpido, il sole fermo, un libro fra le mani.. mentre il tempo scivola via... via, pagina dopo pagina...)

 

 
 
 

Ora Legale

Post n°52 pubblicato il 30 Marzo 2014 da Allure.Sensuelle

 

E' tornata l'ora legale, portando lo scompiglio in un ordine mai ordinato. Si è mangiata, senza chiedere permesso, un'ora del mio sonno, rubandola ad una dispensa da sempre sguarnita.
Ma inebriata, come sono, dal bagno di sole di questi ultimi giorni, accetto con gratitudine questa piccola privazione pensando alla Luce che verrà. Ogni giorno un po' di più, all'inizio e alla fine della giornata.

Di solito sono lenta ad adattarmi, soprattutto nel percorso inverso.. ma stavolta sono impaziente. Come se avessi fame di Luce per sentirmi viva, come se avessi bisogno della Luce per far retrocedere le Ombre a puro elemento decorativo e liberarmi delle fredde inquietudini che mi gettano addosso...

   

E voi, vi siete ricordati di mettere avanti l'orologio?

 http://www.youtube.com/watch?v=LWTLUmUjo8A

 

 
 
 

Tornando a casa..

Post n°51 pubblicato il 28 Marzo 2014 da Allure.Sensuelle

Tornando a casa.

Quando la luce rimbalza fra il rosseggiare del tramonto e la notte, in quel limbo quieto che non è più colore e non ancora buio, lo sguardo si àncora a quel grumo rosso che ondeggia flessuoso e lento. Un'aiuola piena di papaveri. Il primo l'ho visto sbocciare alla fine di gennaio, figlio di un inverno clemente ed innaturale.

Invece ora folate di un vento inaspettatamente freddo mi schiaffeggiano capelli e pensieri, portando lontano ugge e nuvole. Conquisto metodica la meta mentre respiro quel vortice guizzante e mi sento più pulita e nuova. Unica, sulla faccia della terra,  a sentirsi smarrita  e viva fra opposti di luce e corolle tinte.

 
 
 

...

Post n°50 pubblicato il 25 Marzo 2014 da Allure.Sensuelle

Ci sono giorni nella vita in cui non succede niente, giorni che passano senza nulla da ricordare, senza lasciare una traccia, quasi non si fossero vissuti.

A pensarci bene, i più sono giorni così, e solo quando il numero di quelli che ci restano si fa chiaramente più limitato, capita di chiedersi come sia stato possibile lasciarne passare, distrattamente, tantissimi.
Ma siamo fatti così: solo dopo si apprezza il prima e solo quando qualcosa è nel passato ci si rende meglio conto di come sarebbe averlo nel presente. Ma non c'è più.
                                            

                                    Tiziano Terzani

 
 
 

come si dice addio?

Post n°49 pubblicato il 19 Marzo 2014 da Allure.Sensuelle

 

Aveva un nome importante. Per noi era Giangi. Il Napoletano, l’Esuberante Giangi.

Doveva essere una banale esercitazione, una delle tante. Una formalità per lui che fin troppo spesso si era trovato in zone di guerra ed aveva attraversato il Pericolo.

Un volo da fare ad occhi  chiusi. E su quel volo li ha chiusi. Per sempre.  

La televisione accesa  che quasi nemmeno ascoltavo. L’annuncio di un incidente (un barlume di attenzione). Poi i nomi delle vittime. L’associazione improvvisa.

Un senso di gelo, la vertigine di un abisso..

Ripetevo il nome dicendomi “non può essere lui.. “. Ho cercato conferme. “Pilota Charlie non c’è più!” Nella mente avevo tatuati il suo sguardo penetrante, le fossette ai lati delle labbra quando sorrideva. Quel sorriso da “simpatica canaglia” che faceva inesorabilmente colpo sulle donne. La sua mente vivace e implacabile, la sua ironia non potevano essersi spente così, con un clic.

 Amava piacere, amava il suo lavoro. Amava la sua famiglia. Amava la velocità fisica e di pensiero, l’azione, il rischio, il potere. Una persona carismatica che potevi amare o odiare ma alla quale mai si sarebbe restati indifferenti.   Mi chiedo se una sola persona possa occupare tanto spazio nella vita di chi lo ha conosciuto.

E non consola, no… non consola, come qualcuno ha ripetuto spesso in quei giorni, pensare che sia morto facendo una delle cose che amava di più al mondo: Volare. Conosceva i rischi del mestiere, ripeteva che un errore o un incidente raramente lasciava scampo su quel fragile velivolo. E credo che abbia avuto tutto il tempo per comprendere, con tragica lucidità, che quel volo sarebbe stato l’ultimo.

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 Una pagina bianca..

Ed in quella pagina, scritta in righe minute e fittissime, la vita di Caterina..

L’ho conosciuta molti anni fa. Era impossibile non notarla. Alta, mora, un fisico di prepotente femminilità, colorata come gli abiti che indossava. Bella. E sorridente.

Dopo poco, mi accorsi che il suo passaggio era accompagnato da brusii. Pensavo fosse invidia femminile, sarebbe stata il bersaglio ideale sebbene non si vantasse mai della sua avvenenza, ma non riuscivo a comprendere quella sfumatura compassionevole nello sguardo altrui.

Poi seppi. A Caterina era stato asportato un seno per un carcinoma…          E Lei sorrideva.

Non ha mai smesso di farlo per tutto il tempo che ci siamo frequentate. Poi un cambiamento di sede e, come spesso accade, ci siamo perse di vista.

L’ho incontrata due anni fa in un centro commerciale. Poco prima avevo visto il marito, una specie di gigante con lo sguardo da orsetto felice di essere nella sua “ombra”, seduto in attesa – come molti mariti arresi al loro destino nel girone dello shopping. Mi sono voltata a cercarla.

Quando ho incrociato  i Suoi occhi, una voce proveniente da un istinto “remoto”  mi ha suggerito il saluto; mente e vista  invece stentavano a riconoscerla. Facevo davvero fatica ad accoppiare quella figura provata con lo spirito ed il corpo della Caterina che conoscevo. Temevo, più di ogni altra cosa, di non essere capace di mascherare lo stupore … Forse ci sono riuscita o forse ha solo voluto trarmi d’impaccio. Ci siamo abbracciate con gioia.

Eravamo in fila per una prova in camerino  e appena se ne liberò uno le  chiesi se volesse condividere lo spazio invece di attendere ulteriormente. Con naturalezza ci siamo cambiate. Anche senza guardare, ero consapevole di quella terribile cicatrice che le attraversava il petto. Senza che chiedessi e senza che ce ne fosse bisogno, mi spiegò che il "male" era tornato. Quando ormai sembrava debellato per sempre. Quando credeva di avercela fatta, la scoperta, l’incredulità e l’angoscia. Era tornato e pieno di rancore per essere stato nell’angolo così tanto tempo, digiuno. Aggressivo, maligno come solo il cancro può essere. Ma Lei avrebbe combattuto, come sempre.

Portando i segni impietosi e devastanti delle ripetute e ravvicinate terapie cui si era sottoposta era lì a cercare un abito per il matrimonio della figlia, che per amor suo, aveva anticipato la data delle nozze. Era lì, con le sue piaghe, e sorrideva ancora.. “che tipo di abito hai in mente?” le chiesi, aiutandola nella ricerca .. “Coloratissimo, come sempre. Ai colori, lo sai, non rinuncio. Nemmeno adesso!”

E’ andata a quel matrimonio e so che sarà stata comunque bellissima  e felice.

Ha lottato ancora due anni mentre il male la divorava a poco a poco. La voce flebile sorrideva ancora ma adesso era stanca.

 Il 19 febbraio l’abbiamo accompagnata nel suo ultimo viaggio.

(mi manca terribilmente il vostro sorriso..)

 
 
 

Letterina di Natale

Post n°48 pubblicato il 20 Dicembre 2013 da Allure.Sensuelle

 

Vedo all'improvviso tante testoline di bimbe, chine sui fiocchi blu, intente  a scrivere la letterina di Natale. La matermagistra, nel suo camice bianco, si aggirava fra i banchi seguendo con sollecitudine i nostri sforzi creativi e suggerendo qua e là una frase, un pensierino affettuoso, a chi annaspava in attesa di ispirazione. Poi ritirava i quaderni, correggeva i testi e finalmente noi tiravamo fuori le nostre letterine “sbrilluccicose” e  copiavamo “in bella”, cercando di evitare erori  errori e cancellazioni, con la scrittura più tonda e chiara di cui fossimo capaci.

 Fiere ed orgogliose. 

Ripensandoci, il primo confessionale della nostra vita. Perché iniziavamo tutte dichiarando il nostro amore incondizionato ai nostri genitori passando a mostrarci pentite di non essere state sempre bambine modello (ma solo monello) e  di non aver fatto il nostro “dovere” per terminare, in un crescendo catartico, promettendo di essere più buone.

Ho il sospetto che tutte le letterine, almeno quelle della mia epoca, fossero stilate secondo quest’unico principio ispiratore.  Mi sembra una vita fa, a volte anche due, ed in fondo lo è. E’ passato davvero tanto tempo e quei ricordi sembrano appartenere ad un’altra era, non solo per gli anni trascorsi quanto (e soprattutto) per i cambiamenti che si sono succeduti da allora nella nostra società, nel modo di vivere in famiglia. Nella famiglia stessa.  Non era ancora diffusa  l’autonomia di pensiero, i canoni di comportamento erano strettamente codificati.  Ed il maestro  D’Orta (recentemente scomparso) non aveva ancora dato alle stampe le coloratissime espressioni dei suoi alunni.

Tornando a noi, la letterina veniva imbustata e tenuta nascosta fino al pranzo di Natale quando, con movenze da cospiratori carbonari, riuscivamo ad infilarla sotto il piatto di papà che, finito di mangiare il primo,  si accorgeva (finalmente! Evviva!!) - con stupore - di un lembo bianco che sbucava da sotto la fondina. Ancora mi chiedo come facesse a mangiare tutto il piatto di tortellini in brodo in equilibrio precario, mantenendo asciutta la busta che fingeva di non vedere.  Dopo la lettura  scattavano i lucciconi d’ordinanza negli occhi della mamma (che si asciugava furtiva una  lacrima. Forse di più) e la deglutizione forzata, virile e asciutta, nel papà (all’epoca i papà non piangevano. MAI!!) e lì i bimbi più attenti e smaliziati,  iniziavano a capire il potere coercitivo della commozione.

A qualcuno poi  è toccato cavalcare il momento di gloria fino in fondo, salendo sulla sedia per recitare la poesiola di Natale, mentre la mamma apprensiva si avvicinava da dietro, pronta a raccogliere al volo il pargolo oratore, evitando che si schiantasse a terra per mancanza di ali. Ciondolando in tutte le direzioni spaziali praticabili col la parte alta del busto e cantilenando con voce argentina, si arrivava più o meno fino alla fine di un testo, ormai quasi privo di senso, virgole e punti, a volte inventando le parole che venivano meno o attendendo pazienti i suggerimenti che, puntuali, ci arrivavano con voce bassa e sicura da dietro la sedia.

 Ricordo come se fosse oggi il primo acquisto della letterina di natale, ne  ricordo ogni dettaglio. Era bellissima. La prima. Eravamo andate con la mamma nella cartoleria all’angolo della strada. Ce ne avevano mostrate molte ma io scelsi “quella”. Probabilmente la più costosa ma era bellissima. Sulla prima pagina c’era il disegno di una natività, con angioletti deliziosi, annidati negli angoli, che cantavano, suonavano strumenti (mai visti prima e forse nemmeno dopo) e srotolavano pergamene di "alleluja!". Su tutto, una pioggia di porporina sapientemente distribuita. Le porte della stalla erano ritagliate e si aprivano rivelando  Maria e Giuseppe illuminati dal fulgore proveniente da un pargolo sorridente e benedicente nella mangiatoia. In basso agnellini teneri e pastorelli si facevano compagnia nella neve. Aprendo la  letterina, in una cornice dai colori tenui con sbuffi dorati  c’era un riquadro di scrittura, con le righe ben distanziate, non troppo grande. Giusto per non suscitare l’ansia da prestazione in noi, giovani scrivani alla prima esperienza di penna.

Qualche settimana fa, mentre mia madre infilava una cosa in un cassetto, m’è parso di vederLa occhieggiare (la mia letterina) in mezzo ad un mucchio di carte che vi erano conservate. Ho il sospetto che ci siano tutte quelle che abbiamo scritto in quegli anni. Forse, in occasione di questo Natale, inviterò mia madre ad una eroica esplorazione, sperando che nessuna delle due si commuova troppo.

Ancora pochi giorni.

Intanto il pensiero approda naturalmente al ricordo delle consuetudini che hanno scandito i primi natali e che si sono cementate indelebilmente nella memoria di lunga durata. Forse ho perso qualcosa per strada ma  le feste natalizie non toccano più le corde giuste del mio animo infatti non provo una gioia particolare. Credo che il Natale sia una festa per bimbi  o anime adulte che non hanno smarrito la loro tenera innocenza. Gli altri, in qualche modo, il Natale lo subiscono..  ne soffrono. Esacerba la solitudine, fosse anche solo quella interiore.

Caro Bambino Gesù …

Nelle scorse settimane captavo continuamente stralci di conversazioni che declinavano insofferenza e patimento...  “oddio siamo già  a Natale. Che stress..  mangiare,  regali, facce finte e interminabili riunioni di famiglia”. Già perché a Natale ci si DEVE riunire (vox populi: Natale con i tuoi..), si deve stare  TUTTI insieme e non ci si può sottrarre a contatti prolungati con "parenti" coi quali ti sentirai di nuovo soltanto l’anno prossimo, nell’indifferenza reciproca (nel migliore dei casi).

Per troppi il Natale diventa una serie di prescrizioni obbligatorie cui ottemperare ed il maggior sollievo risiede nella speranza che il periodo termini in fretta. E anche la corsa ai regali, sulla quale non mi spenderò, perché sono certa che sia circostanza nota a tutti, con i suoi effetti e le sue conseguenze, non è portatrice di gaiezza...

E nell’angolino infantile, quello al quale manca la letterina con gli angioletti, vorrei che ci si incontrasse senza formalità, senza obblighi sociali. Senza menù elaborati da organizzare. Unico vero regalo, il piacere di  stare insieme e scambiarsi non solo un augurio sincero di buone feste ma il desiderio di vedersi ancora, col il sorriso negli occhi. Oppure essere in pace con se stessi e con la vita, senza pesi sul cuore..

Non vorrei vedere attorno adolescenti annoiati che sopportano a malapena l'obbligo di essere a tavola tutti riuniti ed approfittano di ogni occasione per messaggiare al telefonino, che non partecipano alle conversazioni e attendono solo il momento dell’apertura dei regali sperando che nel pacco ci sia l’ultimo gingillo di moda o la bustina coi soldi. Poi, dopo il grazie di circostanza, tornano al loro mondo di sempre mentre i genitori tacciono complici..

Non vorrei  sentire "ma a capodanno ci stai tu con mamma? sai io avevo organizzato con gli amici"

Vorrei che i "parenti" non scomparissero nei momenti di difficoltà nascondendosi dietro rimpalli di impegni che li mettono fuorigioco  confidando, coalizzati all'unisono, che quello/a che non sa dire di no, non impari a farlo in questa circostanza. Perchè non basta farsi vivi e "timbrare il cartellino" solo a Natale.

Vorrei, come da bambina, esprimere un sacco di desideri belli per tutti e vedere, per una volta, che si realizzano uno dietro l'altro...

Caro Bambino Gesù,

quest’anno non voglio essere più buona. Ti prometto che ci proverò anche se non sono sicura di riuscirci..

 
 
 

la seduzione della matematica

Post n°47 pubblicato il 05 Dicembre 2013 da Allure.Sensuelle

"Hai descritto te stessa per eliminare qualsiasi dubbio, ti sei riassunta in una sola frase, oltretutto tra parentesi.

Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo rimanga fuori, che sia solo l'esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno."

 
 
 

Annamaria, Gianni e gli altri...

Post n°46 pubblicato il 03 Dicembre 2013 da Allure.Sensuelle

 

“mamma!!... M A M M A!!!!!!”

L’immagine fugace di una figura vestita di scuro, che diverse braccia tentano di afferrare e trattenere, dà la sensazione di un’ombra che sfili correndo in un incubo notturno.  In realtà..  E’.. un incubo e non basterà aprire gli occhi perché svanisca. In quell’incubo, un giorno di pioggia cambierà per sempre la vita di qualcuno, con la stessa ineluttabile certezza di una data di morte scolpita su una lapide.

Quell’urlo straziante, disumano, mi è esploso dentro strappando brandelli di cuore. Una disperazione acuta quanto il grido si è addensata strozzandomi, fino a quando non sono sgorgate le lacrime. Forse perché si è formata nella mia mente un’immagine speculare, tanto nitida da immedesimarmi di colpo, come se quella madre invocata fosse la mia. Mi sono sentita invasa da un dolore così forte da togliere il fiato di bocca. Inutile tapparsi le orecchie. Lo sento ancora risuonare in me, sollevando onde di cupa sofferenza.

Ma ho avvertito anche una rabbia selvaggia.

Verso l’operatore che ha continuato a riprendere quel momento doloroso e così intimo che andava protetto a qualsiasi costo. Verso la rete televisiva e la direzione del telegiornale che non hanno pietosamente censurato quell’urlo, restituendolo a quella dolente sfera  privata in cui andava custodito.

Rabbia di fronte a questa cannibalizzazione, a questo voyeurismo malsano e compiaciuto che fa audience, all’ignobile spettacolarizzazione del dolore. Perché quell’urlo nulla aggiungeva al contenuto di informazione del servizio, peraltro già mandato in onda da altre reti che si sono limitate ad informare del dramma con immagini discrete.

Ultimamente le ondate di maltempo si susseguono come frangenti di violenza inaudita, sommergendo con acqua e fango non solo sottopassi, terre e case ma anche i tesori di intere esistenze. E sepolte fra i detriti, strappati via durante il percorso, finiscono troppe vite umane.

Colpa del cambiamento climatico di cui si parla da decenni ma che nessuna nazione vuole ragionevolmente combattere, preferendo rimandare decisioni vitali per inseguire una personale affermazione nel campo della produzione industriale. Colpa dell’incuria: sembra che, per legge, i singoli non possano provvedere - ad esempio - alla bonifica dei corsi d’acqua. Queste attività competono ad enti e ad amministrazioni locali che se da una parte lamentano la penuria di fondi,  dall’altra non vigilano nemmeno affinchè, con  il personale e le risorse a disposizione, vengano effettuati gli interventi necessari. Colpa della bulimia edilizia e degli abusi  che portano a costruire dove non si dovrebbe e degli altrettanto vergognosi piani di condono. Ci sono responsabilità gravi. Gravissime. Inaccettabili.

Si può stare a ragionare sulle colpe, sulle omissioni, sugli scaricabarile che sempre in questi casi distraggono dai veri punti focali ma ciò non toglie che quanto viene distrutto non potrà mai essere reso.

Penso al dolore e alla fatica di tutti quelli che negli ultimi anni, e sono tanti, hanno subito la violenza di un evento atmosferico straordinario

Penso alle case o alle attività messe in piedi con sacrificio ma anche alle piccole cose di una vita, le pietre miliari dei ricordi, che - ormai irrecuperabili - devono essere abbandonate al pari di un rifiuto domestico.

Penso alle vite strappate in modo assurdo, per un’ondata di piena che travolge, incosciente, cose ed esistenze, cancellando ogni traccia delle une e delle altre.

Questo mi addolora quanto invece mi indigna lo sciacallaggio mediatico. La presenza invasiva e molesta dei giornalisti televisivi che indagano sull’ovvio di un lutto senza misure, con le stesse prevedibili e insulse domande di sempre, insultando il disagio e il dolore degli intervistati e la sensibilità di tutti, nell’evidenza di fatti e devastazioni cui non servono commenti. Mi indigna la mancanza di pudore e di rispetto.

Il motociclista romano morto perché investito da un pino gigantesco (già pericolante e privo di radici) è un’altra vittima del maltempo e dell’incuria. I Romani sanno quanto sia pericolosa la Via Cristoforo Colombo, delimitata com’è da quelle file interminabili e pittoresche di grossi pini. Quando il vento spira impietoso, grossi rami vengono giù come aghi di pino scrollati dalla brezza. Molti alberi sono “assicurati” con dei cavi, gli uni agli altri.

E’ un fatto che diventa triste notizia di cronaca. Ma la cosa che mi ha fatto star male è stato l’indugiare del cameraman (accorso prontamente sul luogo dell’incidente, si vantava  compiaciuto il commentatore in studio) sul corpo riverso a terra.

Il casco posato in terra, oggetti sparsi, la moto distesa più in là.. L’albero, il killer, di traverso sulla carreggiata con un ridicolo, insignificante sbuffo di radici, decisamente insufficiente per trattenere una pianta dal fusto così alto..

Tutto quello che rimaneva di Gianni, simboleggiato da  uno scarpone ed una mano chiusa, sbucava da un telo non abbastanza pietoso per nascondere l’orrore di una morte indecente.

Come non abbastanza pietoso è stato quello che continuava ad inquadrare invece di nascondere quella vista agli occhi del mondo preservando, nel ricordo  dei familiari, l’ultima immagine di chi non c’era più. 

La morte non è mai un bello spettacolo e troppe volte mi è capitato, mio malgrado, di vedere le spoglie  che si lascia alla spalle ma penso che sempre, sempre … si debba avere Pudore. Abbassando lo sguardo in segno Rispetto.

 
 
 

d'Azzurro e d'Immenso

Post n°44 pubblicato il 29 Novembre 2013 da Allure.Sensuelle

Alto l'Azzurro mi avvolge, pungendo gli occhi di Luce.

Un battito d'ali ..

e si trasforma in una vertigine di Libertà..

 
 
 

La mia nuvola di Oggi

Post n°43 pubblicato il 27 Novembre 2013 da Allure.Sensuelle

Davanti a me il buio è diventato mattino.
Chiaro e  freddo.

Prima che l'ombra scura si diffondesse, sbiadendo infine in un cielo lattiginoso e basso.

 
 
 

inverno

Post n°42 pubblicato il 26 Novembre 2013 da Allure.Sensuelle

Ancora non riesco ad abituarmi alla brevità del giorno, rimbalzando disorientata fra le ore che leggo sul quadrante e quelle che mi pare di aver vissuto.

Perché amo la luce.

La trasparenza nitida dei giorni di tramontana o quella che decreta il sereno dopo la pioggia. Amo la luce dei contrasti, quella delle nubi incendiate al tramonto, quella che disegna arcobaleni nel temporale. Amo la luce del sole in primavera, ed è facile quanto tutto è un trionfo di vita, ma la amo soprattutto nei giorni invernali quando sembra trarre rinnovato vigore proprio dal freddo e se non scalda le ossa, viva e tagliente, almeno fa bene all’umore. Amo la luce perché non ho tempo sufficiente e mille cose da fare..

Mi piace che  il tempo della luce declini la sua durata contraendosi in un’ombra avvolgente che piano piano si fa notte.

Ma non così in fretta, non così presto.

Perché la notte immediatamente mi proietta nella sensazione di un ciclo che si chiude, di una quinta che si apre su una lettura intimista, di un momento di raccoglimento. Ed io ho ancora bisogno di luce, di tempo. E solo quando quel bisogno sarà placato potrò rifugiarmi nel buio senza provare disagio, scivolando con naturalezza dei suoi morbidi anfratti.

 
 
 

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