Creato da: contastorie1961 il 11/03/2015
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« Galdino (storia di un ma...La Reliquia 1 »

Galdino (storia di un matto) Fine

Post n°12 pubblicato il 31 Marzo 2015 da contastorie1961

Varcando la soglia di casa, Giuseppe si guardò attorno -Dov’è Galdino?- La moglie lo fissò in modo strano -Come, dov’è. E’ andato al lavoro no? Piuttosto, che ci fai a casa. Non dovevi andare direttamente al cantiere dopo l’incontro coi fornitori?- Giuseppe non rispose -Ma cos’hai?- lo incalzò la donna -Sei sudato, pallido come un fantasma e respiri a fatica. Non ti senti bene? Parla, maledizione!- Senza darle retta, le voltò le spalle e uscì nuovamente. Girovagando a lungo per le vie della città, decise finalmente di recarsi al cantiere. Dinanzi all’ingresso, due gazzelle dei carabinieri bloccavano l’entrata. Un militare, in piedi a fianco della portiera, stava parlando al radiotelefono. Nascondendosi dietro un furgone, rimase in attesa, l’ansia sempre più crescente. Sino a una decina di minuti più tardi quando, scortato da almeno cinque agenti, vide suo figlio venir trascinato verso le automobili.

Una paio di settimane più tardi, stroncata e prostrata dal dolore, la madre di Galdino esalò l’ultimo respiro in un letto d’ospedale. Il suo cuore, già malato, non resse allo stress e all’enormità della cosa.

Da quel momento, Giuseppe si isolò dal mondo. Nonostante le rimostranze dei clienti, perse interesse per il cantiere sino a quando, per forza di cose, dovette chiudere bottega.

 

————-

 

-Perché mi guardi così papà. Io sono felice di rivederti, tu no?- Nonostante il caldo atroce, Giuseppe rabbrividì -Miriam, inutile che te lo presenti vero? Sei la nostra vicina, lo conoscerai di certo!- La donna, pallida da far paura, esibì un sorriso forzato -Io…si…certo…come sta signor Giuseppe?- Il vecchio cercò di mettersi a sedere, inutilmente -Non sforzarti papà. Ci sono io adesso, te lo devo ripetere ancora?- Avvicinandosi al letto, Galdino lo prese per le ascelle e lo sollevò bruscamente. Gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. -Bene. Adesso sei comodo. Così potrai ascoltare quello che voglio raccontare a Miriam. Sei d’accordo vero?- Giuseppe si accasciò sul cuscino.

———-

 

-Ha un quarto d’ora a sua disposizione, lo tenga bene a mente- lo istruì la guardia. Giuseppe varcò la soglia della cella col cuore in gola. La stanza, grigia e fredda, conteneva solo un tavolo e due sedie, entrambe ben fissate al suolo. Dopo averne occupato una delle due, rimase in attesa. Trascorse circa un quarto d’ora, quindi la porta si aprì nuovamente. Galdino, ammanettato mani e piedi, si trascinò con difficoltà verso la sedia libera. L’agente che lo scortava, dopo averlo aiutato a sedersi, fece per andarsene -Non può liberarlo?- chiese timidamente Giuseppe. L’uomo non rispose nemmeno, limitandosi a richiudersi la porta alle spalle -Ciao papà- Giuseppe deglutì -La mamma non ha sofferto vero? Dimmi che non ha sofferto- chiese con un fil di voce. Quindi iniziò a tremare -No, non si è nemmeno accorta, stai tranquillo- mentì il padre. Galdino sembrò rilassarsi, sorrise.Trascorsero quindi diversi minuti, durante i quali nessuno dei due proferì parola. Fu Galdino a interrompere quel silenzio.

-Perché l’hai fatto papà? Io…io adesso ho paura a dire quello che ho visto, cosa devo fare?- Giuseppe avvertì una fitta allo stomaco, lo fissò Infermità mentale” Due parole che, improvvisamente, lo risollevarono. Se la sarebbero cavata, entrambi. Alzandosi, mise una mano sulla spalla del figlio -Ce la faremo, fidati di me figliolo- Detto questo, si avviò verso la porta -Aprite, ho finito- picchiando i pugni sul freddo metallo.

———-

 

-Io non volevo crederci sai Miriam?- La donna lo guardò senza capire -Ho tenuto questa cosa per tanto tempo, non me ne sono mai separato, neppure per un minuto- Il braccialetto, di semplice cuoio, appariva logoro e sbeccato in diversi punti. I nodi, intrecciati, terminavano formando due lettere: G e F -Gliel’aveva regalato la mia mamma- proseguì Galdino tra le lacrime -Solo che l’ho trovato vicino a tua figlia, Miriam. E non doveva essere la, vero papà?-Sempre più sofferente, Giuseppe chiuse gli occhi -Perché l’hai fatto papà? Io…io non l’avrei mai rivelato a nessuno. Ma anche tu non hai mai detto nulla e…e mi hai lasciato solo in quel posto…perché?- Miriam s’irrigidì. Quelle semplici parole, la colpirono con la forza di un maglio. Come una furia, si avvicinò al letto afferrando Giuseppe per la giacca del pigiama -Tu…sei stato tu, maledetto!- Scosso da violenti singhiozzi, Galdino non ebbe alcuna reazione -Perché…perché…- continuò a ripetere dondolandosi sui talloni. Nemmeno si accorse di Miriam che, svelta, gli tolse l’arma di mano.

Lo sparo, rimbombò assordante nella piccola stanza, tanto da coprire i rumori provenienti dall’esterno. Fissando la testa del padre ridotta a brandelli, Galdino si zittì di colpo mentre Miriam, le braccia lungo i fianchi, lasciò cadere la rivoltella sul pavimento. Dopo un tempo che parve interminabile, si voltò verso Galdino. Prendendolo per mano, si diresse verso la porta.

-Andiamo. Adesso è finita. Ora sei finalmente libero-

 
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