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Post n°84 pubblicato il 24 Aprile 2010 da 1carinodolce
Post n°83 pubblicato il 19 Gennaio 2010 da Antologia2
Nelle ideologie che dominano il mondo moderno e che riducono l’uomo a puro fenomeno, a macchina produttrice e consumatrice, a cultore del corpo, a idolatra dell’eros, l’essere umano viene frustrato e tradito nelle sue aspirazioni più profonde.
Per fortuna l’uomo è più grande delle sue miserie e riesce a ritrovare la sua grandezza dopo le varie ubriacature.
Ma con quanta pena per il tempo perduto, le umiliazioni subite e per il fango di cui si è appesantito. Al traguardo di ogni sentiero sbagliato c’è lui, Cristo, col suo dono di verità e di vita.
Il Natale è la festa dell’incontro dell’uomo smarrito col Dio incarnato che non può permettere che la sua creatura, con la quale si è fatto solidale, resti smarrita, umiliata, sporca.
Neanche la Chiesa - che pure tra molte contraddizioni e infedeltà dei suoi uomini, prolunga Cristo nel tempo - può permetterlo.
Da ciò le deriva l’obbligo sia di annunciare la buona notizia di Gesù, sia di ripetere a tutti coloro che hanno nelle loro mani il destino dei popoli e delle nazioni che l’esclusione di Cristo dalla storia è un atto contro l’uomo. Cristo è necessario all’uomo come l’acqua al pesce: per vivere e per conoscersi.
"Non si può comprendere l’uomo fino in fondo senza Cristo. O piuttosto l’uomo non è capace di comprendere se stesso fino in fondo senza Cristo.
Non può capire né chi è, né qual è la sua vera dignità, né quale sia la sua vocazione, né il destino finale. Non può capire tutto ciò senza il Cristo.
E perciò non si può escludere Cristo dalla storia dell’uomo in qualsiasi parte del globo, e su qualsiasi latitudine o longitudine geografica.
L’esclusione di Cristo dalla storia dell’uomo è un atto contro l’uomo... La storia di ogni uomo si svolge in Gesù Cristo. In lui diventa storia della salvezza" (Giovanni Paolo II, Omelia a Varsavia, 2 giugno 1979).
Post n°82 pubblicato il 06 Settembre 2009 da citazioni_bellisssss
CONT. ...
Post n°81 pubblicato il 28 Agosto 2009 da LICURSI.110
Musica e poesia nella Laus Mari: Michele Placido, Kim Rossi Stuart, Katia Ricciarelli e il fisarmonicista Davide Cavuti hanno coinvolto gli oltre mille spettatori venerdì 27 agosto, nello spettacolo "Laus Mari" promosso da Stefano Leone. Sul palco montato sulla sabbia, al lido "Buena Vista social club", gli illustri ospiti si sono alternati, regalando momenti di poesia, bel canto e musica, tutti dedicati al mare e alla riscoperta del senso di appartenenza. Termoli. Lo sciabordio delle onde in lontananza, la voce di Michele Placido, Kim Rossi Stuart, Katia Ricciarelli, le rime e le note di celebri autori della letteratura e della canzone italiana. (Pubblicato il 28/08/2009)
Post n°80 pubblicato il 18 Maggio 2009 da Antologia2
AMERICAN BEAUTY (American Beauty)
U.S.A. 2000 Regia: Sam Mendes Sceneggiatura: Alan Ball Tutta la vicenda si svolge all’interno del quartiere residenziale di una non meglio individuata città americana, con i suoi bei viali alberati su cui si affacciano lindi e curati giardini di villette monofamiliari; vediamo i suoi abitanti che li percorrono facendo lo jogging o si scambiano saluti di cortesia attraverso le siepi di recinzione, fra il taglio dell’erba e la potatura delle rose della specie "american beauty". Il protagonista, Lester, che accompagnerà tutta la storia con il suo commento fuori campo, si qualifica subito come un perdente rassegnato. Fin dal suo risveglio egli prevede che non ci sarà nulla che potrà entusiasmarlo, giornalista mediocre di un giornale di provincia. Facciamo la conoscenza anche con sua moglie Carolyn perfezionista dell’ordine e della pulizia di casa, che svolge il suo lavoro di mediatore immobiliare con tenacia ed ambizione, desiderosa di sfondare nel suo ramo. Questa sua ossessione per il successo la porterà ad ammirare e poi ad avere incontri amorosi con il leader degli immobiliari della zona, un personaggio che recita dal vivo l’immagine che si è costruita attraverso abili campagne pubblicitarie. Marito e moglie svolgono le loro vite parallele senza affetti e con frequenti bisticci su cose di poco conto. Tutto questo non fa che allontanare ancor di più da loro la figlia adolescente Jane, che trova invece interesse, ricambiata, per Ricky, ragazzo della casa accanto e suo compagno di scuola, che ha da poco traslocato con la sua famiglia. Apparentemente bravo ragazzo che cerca di guadagnare qualcosa con lavoretto serale, rispettoso dell’autorità paterna (suo padre è un rigido ufficiale dei Marines), in realtà egli arrotonda la sua condizione economica di studente spacciando (e consumando) erba. Nessuna sorpresa quando, indifferente alla famiglia lei, soffocato dal padre dittatore lui, meditino entrambi una romantica fuga a New York dove lui "conosce altri spacciatori che potrebbero aiutarlo". Jane ha una amica Angela, che si compiace, novella Lolita, di innescare il desiderio di maschi più grandi di lei, vedendo in questo una riprova della sua capacità di seduzione, essenziale per la sua aspirazione a diventare top model. In effetti è proprio Lester ad avere i sensi risvegliati dalle sue attenzioni e, indifferente anzi soddisfatto per aver perso quel lavoro che costituiva per lui una continua fonte di frustrazione, si dedica ora a seguire miti narcisistici, quali quello della prestanza fisica indispensabile per riuscire a conquistare le attenzioni di una giovane come Angela. Il finale tragico del film porta alla ribalta il tema della morte preannunciato già all’inizio del film (il protagonista racconta infatti il suo ultimo anno di vita). Come suggerisce lo stesso Lester, è l’unica cosa certa che avverrà e se è successo a lui, succederà anche a noi (la reazione degli spettatori a quest’ultima battuta del film è facilmente prevedibile). Questo film è americano; l’osservazione è ovvia ma la nostra appartenenza al vecchio continente ci fa percepire qualcosa nel film che ci è estraneo, che non ci è proprio, anche se forse per poco tempo ancora. Qualcosa di diverso nella misura in cui la percentuale di divorzi in U.S.A. è quasi il triplo di quella italiana e nella misura in cui da sempre la ricerca del successo e del benessere economico, unica unità di misura per le persone, pervade non solo le classi più elevate, quelle che effettivamente detengono il potere della ricchezza, ma anche la sconfinata vallata della media borghesia, dove la ricerca dei posti più in vista assume il tono di un campionato provinciale fra persone mediocri. Ecco che Carolyn si ripete incessantemente che "per avere successo è importante apparire di successo" mentre Angela ribadisce più volte che "non c’è nulla di peggio che essere banale". Il più cinicamente integrato in tale logica e il giovane Ricky che costruisce intorno a se, un’immagine di tranquillo e bravo ragazzo ma poi è il primo a perseguire la regola che l’importante è avere denaro, indipendentemente da come lo si ottiene. Nessuna molla interna di ribellione scatta in questo ragazzo, egli non sente nessun impegno per un comportamento coerente o quantomeno integro, troppo spento nel suo quieto vivere, nel suo piccolo benessere truffaldino conquistato. Lester è un più deciso contestatore di questo mondo di arrivisti (forse perché riconosce obbiettivamente di non averne le capacità) tanto che volutamente cerca un semplice impiego in una tavola calda proprio "per non avere responsabilità". Rinfaccia alla moglie di esser più attaccata alle "cose", ai begli oggetti di casa che non alle persone. Ma anche lui risolve i suoi problemi in modo assolutamente privato, sognando, a 42 anni, di essere ancora sufficientemente prestante da riuscire conquistare una ragazza adolescente. Solo alla fine, dopo un lungo colloquio con Angela, capisce quanto sia stato immaturo e ridicolo il suo atteggiamento e contemplando una foto che gli richiama un momento di serenità familiare con sua moglie e sua figlia, torna a rivolgersi verso gli unici veri valori umani sui quali, nonostante tutto, può contare.
In questo film ognuno agisce per se stesso ed ha rapporti con gli altri nella misura in cui gli è conveniente nella ricerca della propria soddisfazione. In questo contesto le due famiglie che ci vengono presentate, quella di Jane e quella di Ricky (a dire il vero ve ne è una terza formata da due gay, assolutamente felici), si ritrovano insieme solo per alcuni appuntamenti obbligati della giornata (a cena la sera nel primo caso o davanti alla televisione per vedere un film scelto dal padre nel secondo). Sono incontri che in realtà disgregano, perché avvelenati da futili litigi o da pesanti silenzi. Non ci troviamo di fronte ad un film satirico sulla middle class americana, anche se l’ironia e la comicità di certe situazioni sembrerebbe farlo pensare; fare satira vuol dire distruggere per costruire, per valorizzare un comportamento di riferimento anche se esplicitamente non dichiarato. In questo caso non traspare nessun messaggio: il film ci presenta i personaggi così come sono, ben tratteggiati nel disagio della loro desolante umanità: tutti disadattati per cercar di essere quello che non sono, tranne Lester che riesce ad essere ribelle perché si fa forte della sua rinuncia e Ricky che non si pone problemi perché perfettamente allineato alle regole dominanti. L’atteggiamento nichilista che pervade il film è attenuato da due soli riferimenti assoluti: la contemplazione (da parte di Ricky) della bellezza di tante piccole realtà che ci circondano (una busta di plastica sospinta dal vento , un uccello morente) che fanno intravedere la bellezza più grande ma misteriosa dell’universo; il senso della morte, che preannunciata all’inizio e poi manifestata alla fine del film, lo racchiude come una parentesi condizionante, attimo misterioso della nostra esistenza che ci fa cogliere, quando ormai è troppo tardi, la percezione dell’eterno. Il film ha lo stesso un merito: dal momento che la sceneggiatura è ottima ed è molto ben recitato, tanto che lo spettatore si sente perfettamente coinvolto nella vicenda, proprio per questo si esce da film con un forte desiderio che una società siffatta non riesca ad attecchire Franco Olearo
Post n°79 pubblicato il 18 Maggio 2009 da Antologia2
AMERICAN BEAUTY (American Beauty) Tutta la vicenda si svolge all’interno del quartiere residenziale di una non meglio individuata città americana, con i suoi bei viali alberati su cui si affacciano lindi e curati giardini di villette monofamiliari; vediamo i suoi abitanti che li percorrono facendo lo jogging o si scambiano saluti di cortesia attraverso le siepi di recinzione, fra il taglio dell’erba e la potatura delle rose della specie "american beauty". Il protagonista, Lester, che accompagnerà tutta la storia con il suo commento fuori campo, si qualifica subito come un perdente rassegnato. Fin dal suo risveglio egli prevede che non ci sarà nulla che potrà entusiasmarlo, giornalista mediocre di un giornale di provincia. Facciamo la conoscenza anche con sua moglie Carolyn perfezionista dell’ordine e della pulizia di casa, che svolge il suo lavoro di mediatore immobiliare con tenacia ed ambizione, desiderosa di sfondare nel suo ramo. Questa sua ossessione per il successo la porterà ad ammirare e poi ad avere incontri amorosi con il leader degli immobiliari della zona, un personaggio che recita dal vivo l’immagine che si è costruita attraverso abili campagne pubblicitarie. Marito e moglie svolgono le loro vite parallele senza affetti e con frequenti bisticci su cose di poco conto. Tutto questo non fa che allontanare ancor di più da loro la figlia adolescente Jane, che trova invece interesse, ricambiata, per Ricky, ragazzo della casa accanto e suo compagno di scuola, che ha da poco traslocato con la sua famiglia. Apparentemente bravo ragazzo che cerca di guadagnare qualcosa con lavoretto serale, rispettoso dell’autorità paterna (suo padre è un rigido ufficiale dei Marines), in realtà egli arrotonda la sua condizione economica di studente spacciando (e consumando) erba. Nessuna sorpresa quando, indifferente alla famiglia lei, soffocato dal padre dittatore lui, meditino entrambi una romantica fuga a New York dove lui "conosce altri spacciatori che potrebbero aiutarlo". Jane ha una amica Angela, che si compiace, novella Lolita, di innescare il desiderio di maschi più grandi di lei, vedendo in questo una riprova della sua capacità di seduzione, essenziale per la sua aspirazione a diventare top model. In effetti è proprio Lester ad avere i sensi risvegliati dalle sue attenzioni e, indifferente anzi soddisfatto per aver perso quel lavoro che costituiva per lui una continua fonte di frustrazione, si dedica ora a seguire miti narcisistici, quali quello della prestanza fisica indispensabile per riuscire a conquistare le attenzioni di una giovane come Angela. Il finale tragico del film porta alla ribalta il tema della morte preannunciato già all’inizio del film (il protagonista racconta infatti il suo ultimo anno di vita). Come suggerisce lo stesso Lester, è l’unica cosa certa che avverrà e se è successo a lui, succederà anche a noi (la reazione degli spettatori a quest’ultima battuta del film è facilmente prevedibile). Questo film è americano; l’osservazione è ovvia ma la nostra appartenenza al vecchio continente ci fa percepire qualcosa nel film che ci è estraneo, che non ci è proprio, anche se forse per poco tempo ancora. Qualcosa di diverso nella misura in cui la percentuale di divorzi in U.S.A. è quasi il triplo di quella italiana e nella misura in cui da sempre la ricerca del successo e del benessere economico, unica unità di misura per le persone, pervade non solo le classi più elevate, quelle che effettivamente detengono il potere della ricchezza, ma anche la sconfinata vallata della media borghesia, dove la ricerca dei posti più in vista assume il tono di un campionato provinciale fra persone mediocri. Ecco che Carolyn si ripete incessantemente che "per avere successo è importante apparire di successo" mentre Angela ribadisce più volte che "non c’è nulla di peggio che essere banale". Il più cinicamente integrato in tale logica e il giovane Ricky che costruisce intorno a se, un’immagine di tranquillo e bravo ragazzo ma poi è il primo a perseguire la regola che l’importante è avere denaro, indipendentemente da come lo si ottiene. Nessuna molla interna di ribellione scatta in questo ragazzo, egli non sente nessun impegno per un comportamento coerente o quantomeno integro, troppo spento nel suo quieto vivere, nel suo piccolo benessere truffaldino conquistato. Lester è un più deciso contestatore di questo mondo di arrivisti (forse perché riconosce obbiettivamente di non averne le capacità) tanto che volutamente cerca un semplice impiego in una tavola calda proprio "per non avere responsabilità". Rinfaccia alla moglie di esser più attaccata alle "cose", ai begli oggetti di casa che non alle persone. Ma anche lui risolve i suoi problemi in modo assolutamente privato, sognando, a 42 anni, di essere ancora sufficientemente prestante da riuscire conquistare una ragazza adolescente. Solo alla fine, dopo un lungo colloquio con Angela, capisce quanto sia stato immaturo e ridicolo il suo atteggiamento e contemplando una foto che gli richiama un momento di serenità familiare con sua moglie e sua figlia, torna a rivolgersi verso gli unici veri valori umani sui quali, nonostante tutto, può contare. In questo film ognuno agisce per se stesso ed ha rapporti con gli altri nella misura in cui gli è conveniente nella ricerca della propria soddisfazione. In questo contesto le due famiglie che ci vengono presentate, quella di Jane e quella di Ricky (a dire il vero ve ne è una terza formata da due gay, assolutamente felici), si ritrovano insieme solo per alcuni appuntamenti obbligati della giornata (a cena la sera nel primo caso o davanti alla televisione per vedere un film scelto dal padre nel secondo). Sono incontri che in realtà disgregano, perché avvelenati da futili litigi o da pesanti silenzi. Non ci troviamo di fronte ad un film satirico sulla middle class americana, anche se l’ironia e la comicità di certe situazioni sembrerebbe farlo pensare; fare satira vuol dire distruggere per costruire, per valorizzare un comportamento di riferimento anche se esplicitamente non dichiarato. In questo caso non traspare nessun messaggio: il film ci presenta i personaggi così come sono, ben tratteggiati nel disagio della loro desolante umanità: tutti disadattati per cercar di essere quello che non sono, tranne Lester che riesce ad essere ribelle perché si fa forte della sua rinuncia e Ricky che non si pone problemi perché perfettamente allineato alle regole dominanti. L’atteggiamento nichilista che pervade il film è attenuato da due soli riferimenti assoluti: la contemplazione (da parte di Ricky) della bellezza di tante piccole realtà che ci circondano (una busta di plastica sospinta dal vento , un uccello morente) che fanno intravedere la bellezza più grande ma misteriosa dell’universo; il senso della morte, che preannunciata all’inizio e poi manifestata alla fine del film, lo racchiude come una parentesi condizionante, attimo misterioso della nostra esistenza che ci fa cogliere, quando ormai è troppo tardi, la percezione dell’eterno. Il film ha lo stesso un merito: dal momento che la sceneggiatura è ottima ed è molto ben recitato, tanto che lo spettatore si sente perfettamente coinvolto nella vicenda, proprio per questo si esce da film con un forte desiderio che una società siffatta non riesca ad attecchire Franco Olearo Regia: Sam Mendes
Post n°78 pubblicato il 09 Maggio 2009 da Antologia2
Post n°77 pubblicato il 09 Maggio 2009 da Antologia2
Attacco a Monsignor Bregantini Accusato di fare politica. La replica della Diocesi: “Il Vangelo è politica ogni volta che il cristiano deve scegliere, nella vita pubblica, tra onestà e disonestà”
La nostra solidarietà a Monsignor Bregantini Vogliamo dalle colonne di questo giornale telematico inviare la nostra profonda solidarietà a Monsignor Bregantini. Ci auguriamo di poter pubblicare altrettanti attestati da parte delle Istituzioni regionali. Diversamente verrebbe da pensare che certi attacchi siano stati ispirati da Palazzi della politica e da poteri forti dell’economia molisana. Intanto registriamo l’assordante silenzio del Presidente della Giunta Regionale.
Post n°76 pubblicato il 09 Maggio 2009 da Antologia2
La responsabilità per la giustizia sociale e per lo sviluppo delle comunità, in ogni onesta democrazia, esige e si nutre della partecipazione sincera di ogni soggetto. In modo tutto particolare coinvolge chi è mandato a rendere presente il Pastore Bello che si prende cura del proprio gregge fino a dare a propria vita. Recentemente, insieme ai Vescovi della regione ecclesiastica abruzzese e molisana, abbiamo avvertito il dovere di proporre, alle nostre comunità e a tutti gli uomini e le donne delle nostre regioni, una riflessione per un esame di coscienza che, lungi da farci sentire giudici gli uni degli altri, vuole essere la base di un rilancio e di un rinnovato impegno in ordine al Bene Comune. Abbiamo voluto farci voce del bisogno di nuova moralità che si avverte tra la nostra gente e rivolgerci alla politica che è la più alta forma della carità. Per questo ci siamo rivolti agli uomini e alle donne che intendono assumere o hanno già assunto impegni di amministratori pubblici, proponendo, con animo libero e nello spirito di servizio proprio del nostro essere pastori, un "decalogo" ispirato alla dottrina sociale della chiesa. A questo decalogo ha fatto riferimento Mons. GianCarlo Brigantini nel recente incontro con i candidati sindaci dei vari comuni della diocesi di Campobasso-Bojano. E' triste verificare come attraverso una visione "riduttiva" e "evanescente" del ministero episcopale si voglia mettere a tacere chi è mandato per essere testimone dell'amore di Dio e presidente della carità delle comunità della chiesa locale. E' proprio la "cura delle anime" che ci interpella attraverso i corpi viventi delle persone, soprattutto se segnati da sofferenza e in attesa di riscatto e dignità sia morale che materiale. Sentiamo di dover ringraziare il nostro fratello Mons. GianCarlo Bregantini, per l'onestà, la dignità e la correttezza con cui approccia i problemi e le situazioni che incrocia sulla sua strada di pastore. L'esperienza in terra di Calabria lo ha sicuramente formato e arricchito. Siamo contenti di poter condividere questa sua ricchezza e poterla mettere, tutti insieme, a servizio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Siamo sicuri che il nostro popolo che ha voce, dignità e volti, non ha bisogno di nascondersi dietro a volti e scritti anonimi, per esprimere il suo disappunto; anzi attende con speranza l'impegno e la vicinanza fattiva dei propri pastori, e sa cogliere nel modo giusto il senso di quello che essi propongono e fanno.
Post n°75 pubblicato il 08 Aprile 2009 da citazioni_bellisssss
Da tre giorni sto frequentando un bellissimo supercorso di dignità umana. Col passare delle ore, l’Abruzzo si sta rivelando la migliore università del settore. Di sventure e di dolore, di lutto e di rabbia, insomma di creature afflitte e dolenti ormai ne abbiamo viste tante, passando da un cataclisma all'altro. Ma mai, lo dico da semplice testimone neutrale, ho ammirato un simile affresco di spontanea compostezza, di sano orgoglio, di rigoroso rispetto. L'Aquila e dintorni sono a pezzi, non c'è famiglia che non abbia un buon motivo per piangere, ma da questo girone infernale si alza solo silenzio, decoro, contegno. E voglia di ricominciare. Hanno volti stravolti dalla paura e dalle nottate allo sbando, soffrono le pene dell'inferno per la casa distrutta e per i prossimi mesi con il punto interrogativo, in molti sono schiantati dalla morte di madri e figli, eppure non si sente nell'aria un solo grido, un solo urlo, una sola scena madre. E gli insulti ai politici, e le bestemmie per il ritardo dei soccorsi, e le pretese di finanziamenti immediati: del solito quadro nazionale, che tante altre volte abbiamo contemplato, qui non c'è traccia. Nessuno qui pretende niente. Nel dopo terremoto, che in quanto a sofferenza sa essere pure peggio del terremoto, il lamento è muto. Che grande Italia sta venendo fuori dalla dignità degli abruzzesi. Credo lo si possa prevedere chiaramente, senza essere Nostradamus: con questo spirito, questa gente si rialzerà molto presto. Da secoli conosce le regole del gioco: sa godere di poco, sa soffrire e combattere molto. Combatterà anche questa volta. Già sta combattendo. Con disciplina, senza fretta, senza isterie. È la forza, l’orgoglio, la tenacia. È una saracinesca che si alza per intravedere il futuro. Bisogna tirarsi su. C'è il panettiere che riapre subito il forno e distribuisce le pagnotte gratis. Ci sono i negozianti delle zone meno distrutte che provano a riattivare la routine di quartiere. Timidi germogli, nel magma esteso delle macerie e delle rovine. Ma precisi e incontestabili segnali di vita. Se poi la vita, nel suo eterno ed eccentrico gioco del dare e dell'avere, adesso esige e toglie molto, bisogna rispondere per le rime. .....
Post n°74 pubblicato il 27 Marzo 2009 da Antologia2
INTERESSANTISSIMO ARTICOLO VECCHIO,MA ATTUALE Un articolo di Giacomo Mariani, cantante e musicista di "Progetto 03" - Hope Music Generation 18-10-2003 Bella domanda. Verrebbe voglia di rispondere subito di no. Se accendessimo la radio in questo istante troveremmo con un’altissima probabilità una canzone (cantata da un uomo o da una donna, non fa differenza) in cui qualcuno piange perché lei se né è andata o perché lui era un poco di buono e l’ha trattata male. Provate, alzatevi ed accendetela anche voi. Se trovate il Giornale Radio non vale!
I "grandi" della musica italiana come Ligabue o Vasco Rossi con le loro canzoni restano su argomenti generici alla "io vivo la vita a modo mio e voi fate un po’ come vi pare": ormai più nessuno accusa, più nessuno prende posizione, perché è scomodo, si scontenta di sicuro una parte di pubblico e non si vendono dischi (altro tasto dolente su cui si potrebbe scrivere un articolo, magari un’altra volta…). Tuttavia, trovare qualcuno che ancora dice qualcosa è difficile, ma non impossibile: andatevi ad ascoltare "Cohiba" di Daniele Silvestri o "Il mostro" di Samuele Bersani; oppure "Mario" di Jovanotti o il "Re è nudo" degli ultimi Nomadi.
Post n°73 pubblicato il 25 Marzo 2009 da Antologia2
Irresponsabile leggerezza dei governanti europei
Troppo comodo distribuire preservativi gratis invece di mettere in crisi le multinazionali del farmaco chiedendo gratis i medicinali o fare campagne più mirate su educazione e prevenzione. Comodo agitare lo slogan della libertà (vero e proprio spettro affamato come un ragazzino Somalo ormai) per lavarsi la coscienza. Comodo parlare da palazzi presidenziali e da colonne di giornali di 'realismo' del preservativo contro chi, come i cattolici, sono da decenni tra i pochi 'realmente' vicini alle popolazioni africane. La ideologia che azzanna ancora una volta rabbiosamente il tentativo di ragionare del Papa, sembra improntata a una strana idea di libertà. Gli africani siano liberi di accoppiarsi a casaccio, a rischio, e si spaccino preservativi in luoghi dove non ci sono medicine e non c’è nemmeno l’acqua corrente, senza introdurre logiche di rispetto per la donna, di stabilità nelle relazioni e di sviluppo sociale. Lasciamoli liberi (cioè derelitti ma preservativizzati). Se la prendono con il Papa come se la Chiesa fosse un poliziotto che gira tra villaggi sperduti a impedire al povero africano che probabilmente manco sa chi è il Papa di usare il preservativo (oggetto pure questo un po’ esotico per costui). Fanno finta, questi allegri lanciatori di coriandoli sulla propria irresponsabilità. Fingono di non sapere che il problema è trattare seriamente il sesso e la libertà. Fanno finta di non sapere che il problema sta in politiche di sostegno che si limitano a distribuire preservativi dove andrebbe invece distribuita istruzione e insegnato il rispetto. Fanno finta e lanciano coriandoli e offese contro chi indica di fronte ai problemi non le scorciatoie ma un metodo che ha bisogno di tempi più lunghi e di scelte più forti. Sembra che abbiano fastidio se la Chiesa dà il suo contributo a un problema generale. Addirittura, un noto intellettuale italiano, condannato dai tribunali come mandante di un assassino politico, sulle prime pagine del quotidiano che lo ospita come penna di punta dà con nonchalance del 'leggermente folle' al Papa. Il quale non è un provocatore; ma ormai dinanzi a una platea formata in parte da governanti illuministici e intellettuali di questo genere, ebbri di ideologia e di livore verso tutto ciò che mette in questione la loro presunta buona coscienza, anche dire che l’acqua bagna – se lo dice la Chiesa – suona come provocazione. Beh, allora ben vengano queste provocazioni a pensare. E anche se il tema è solo un particolare nel grande viaggio di annuncio di speranza cristiana che Benedetto sta compiendo nel posto più difficile del mondo, sia utile a guardare la realtà con l’uso della regione. Si guardi all’Africa con l’occhio meno velato da ideologie e con meno spocchia, si guardino i dati. Chi lo deve, faccia seriamente il governante e non il demagogo. E già che ci siamo, si parli finalmente, seriamente, non banalmente di sesso. E lo si faccia grazie, strano a dirsi?, al Papa.
Post n°72 pubblicato il 25 Marzo 2009 da Antologia2
Avvenire>Clément: Poeti e profeti per il XXI secolo «Dicono poeti e musicisti: sono in te tutte le mie sorgenti», canta un salmo. Avvertiamo che comincia a sciogliersi la neve che copre tutte le apparenze, e che allora queste apparenze diventano apparizioni. In questa prospettiva, accennerei dapprima alla situazione nuova che, sempre più, mi sembra tipica del cristianesimo. Poi, ai sentieri che bisogna delimitare. Prima di mostrare che, dato che la luce di Cristo discende nell’inferno perché l’inferno stesso diventa luogo di Pentecoste, i veri poeti sono profeti. Il cristianesimo del XXI secolo non sarà più, né si presenterà più come una «religione» allineata con le altre. Si scoprirà e si affermerà come religione dello Spirito e della libertà, nello spazio cristico che i filosofi religiosi russi – quei profeti – chiamavano, da Vladimir Solov’ev in poi, la «divino-umanità». La «divino-umanità», è lo scopo stesso della creazione. Il divenire del cosmo – come sottolineano oggi alcuni astrofisici –, e poi il movimento della storia gli fanno prendere forma e tutto si ricapitola e si apre sull’avvenire con l’incarnazione, la Croce, nuovo albero di vita, la Resurrezione e la Pentecoste. È forse ormai la sola via che possa essere insegnata agli innumerevoli eredi (anche se non sanno di esserlo) di Dostoevskij e di Nietzsche, agli impazienti sempre delusi che sprofondano nell’inferno della droga, dell’erotismo, del terrorismo, della follia. Questi uomini e queste donne, discesi nelle regioni più tenebrose dell’abisso, veri scorticati vivi, saranno raggiunti, saranno sollevati, dai gemiti dello Spirito, dalle sue grida di gioia pasquale. Lo Spirito li proietterà non nel mondo della «salvezza» e della morale, ma nel mondo della resurrezione e della trasfigurazione, una trasfigurazione totale dell’uomo e dell’universo. Così saranno chiamati non alla mistica che s’immerge nel divino come una mosca nel miele, ma a una profezia creatrice, quella del Regno che, come dice Gesù, è allo stesso tempo tra voi e in voi. Un Regno di cui la forza, la luce, la dignità possono fecondare gli autentici fondamenti della storia e della cultura dell’umanità. Che cosa importa qui il numero? Come ha detto Kazantzakis, in questa prospettiva, «un uomo può salvare l’universo intero». La tettonica a zolle ci insegna che uno spostamento di qualche millimetro negli strati profondi della crosta terrestre provoca un terremoto in superficie! Una spiritualità creatrice – in cui, più ci si sprofonda in Dio, più si diventa responsabili degli uomini – costituisce la vera infrastruttura della storia (per riprendere, rovesciandolo, il vocabolario marxista). Nella «divino-umanità» si ricongiungeranno l’Occidente e l’Oriente cristiano, il primo mettendo di più l’accento sull’amore attivo, sul servizio del prossimo, il secondo sulla «deificazione» come vero segno di «salvezza». Bisogna rifare dell’uomo una domanda, e dirgli che questa domanda non è senza risposta! Una domanda, molte domande. Perché la bellezza? Se il rosaio fosse soltanto una macchina efficiente, non ci sarebbe bisogno di tanti fiori. La bellezza è una profusione inutile, la gratuità di essere, un sentimento trascendente della gioia di essere. Il punto purpureo della rosa buca lo spazio, buca la luce talvolta grigia e piatta, verso quale altrove? Perché la morte? O piuttosto, perché sappiamo di dover morire? Non lo sanno gli animali, la più intelligente delle scimmie trascina il suo piccolo morto, cerca di nutrirlo, finché questa «cosa» s’affloscia tra le sue braccia. Solo l’uomo sa che morirà e avverte la morte come contro-natura. Se per lui la morte non è «naturale», è perché non è totalmente suo prigioniero, perché lo incalza un altro stato, una vita più forte della morte. La sua nostalgia, il suo desiderio, persino la sua frenesia di trasgressione e di parossismo cercano un altrove, quale altrove? E perché l’amor e non solo il sesso? Perché la passione tragica o l’umile e buona fedeltà e non solo, come diceva un filosofo del secolo XVIII, «lo scambio di due fantasie e il contatto di due epidermidi»? Perché la tenerezza, talvolta, al di là del desiderio, o le metamorfosi del desiderio che si esprime in tenerezza? Quale altrove paradisiaco si lascia presentire quando l’incontro dei corpi non fa che prolungare la comunione tremante degli sguardi? «Così dunque ritorniamo ai corpi», scriveva John Donne, «così gli uomini potranno infine vedere l’Amore rivelato; i misteri d’amore crescono in fondo alle anime, eppure il corpo resta il libro dell’Amore». Ma non ci sono solo domande. Ci sono anche risposte. L’altrove viene a noi, si rivela. L’amore al di là del desiderio, la bellezza al di là dell’utile, la non-naturalità della morte ci aprono alle rivelazioni dell’altrove. Bisognerà dunque approfondire, alla luce dello Spirito Santo, il senso dell’eros, del cosmo, della morte. Dinanzi alla povera banalizzazione dell’eros, alla rabbia di mostrare tutto e tutto vedere, ricorderemo che l’eros può diventare il linguaggio di un vero incontro fra due persone. Inventeremo una poetica rinnovata per l’amore e per la donna: «Un giorno», scriveva Rilke, «sarà la donna. E questa parola «donna» non significa più solo il contrario dell’uomo, ma qualcosa di proprio, che ha il suo valore in sé. Non più un semplice complemento, ma una forma completa della vita, la donna nella sua umanità verace». Allora, aggiunge il poeta, l’amore diventerà «due solitudini che s’inchinano l’una davanti all’altra». Per ciò che riguarda il cosmo, svilupperemo le intuizioni di san Francesco d’Assisi e la «contemplazione della natura» nell’ascesi dell’Oriente cristiano, contemplazione, dice sant’Isacco di Siria, «dei segreti della gloria di Dio nascosta negli esseri e nelle cose». Infine diremo, testimonieremo la vittoria pasquale sulla morte, vittoria sempre presente, sempre rinnovata. Tra le prerogative del poeta (perciò indubbiamente egli profetizza) c’è la capacità di suscitare il risveglio. Gli antichi asceti dicevano che il più gran peccato è l’oblio: quando l’uomo diventa opaco, insensibile, talvolta indaffarato, talaltra poveramente sensuale, incapace di fermarsi un istante nel silenzio, di stupirsi, di vacillare davanti all’abisso, sia per orrore oppure per giubilo. Incapace di ribellarsi, di amare, di ammirare, di accogliere l’inconsueto degli altri e delle cose. Insensibile alle sollecitazioni segrete, pur così frequenti, di Dio. Interviene allora il poeta, e vorrei citare anzitutto il grande, il tragico Pasolini: «C’è per me un vuoto nell’universo, un vuoto nell’universo, e di là tu canti». «Perciò può urlare un profeta che non ha la forza di uccidere una mosca, e la cui forza è nella sua degradante differenza». O ancora, più tranquillamente (in apparenza), Stephane Mallarmé: «Balbetto, straziato: la Poesia è l’espressione, nel linguaggio umano ricondotto al suo ritmo essenziale, del senso misterioso dell’esistenza. Dà autenticità al nostro vivere e costituisce il solo lavoro spirituale». Così la poesia – più estesamente l’arte – ci sveglia. Ci approfondisce nell’esistenza. Fa di noi uomini e non macchine. Rende le nostre gioie solari, le nostre ferite strazianti. Ci apre all’angoscia e alla meraviglia. La poesia profetica di domani, nell’irraggiamento della Croce pasquale, non sarà più questa volontà di auto-deificazione, di auto-trasfigurazione, di conquista prometeica della Terra del desiderio che ha animato l’«alchimia del verbo» in Occidente, dal romanticismo tedesco al surrealismo: «Il vero poeta è onnisciente», diceva Novalis, «il filosofo poetico è nella condizione di creatore assoluto», «la poesia è il reale assoluto». E Rimbaud: «Sto per svelare tutti i misteri: morte, nascita, futuro, passato, cosmogonie, nulla. Io sono maestro in fantasmagorie». E Nietzsche: «Da quando l’uomo si è perfettamente identificato con l’umanità, muove la natura intera», «io stesso sono il fato e, dall’eternità, sono io che determino l’esistenza». Ma il mito della Terra del desiderio è svanito nelle camere a gas di Hitler, nelle nevi siberiane dove tanti cadaveri sono stati abbandonati, con una placca di legno attaccata alla caviglia.
Post n°71 pubblicato il 16 Marzo 2009 da Antologia2
Dovrebbero rileggersi la poesia di Martha Medeiros, quella che il ministro Mastella attribuì erroneamente a Pablo Neruda.
Lentamente muore chi non fa domande su ciò che non sa. (443. Continua)
Post n°70 pubblicato il 16 Marzo 2009 da Antologia2
"Io, l’idraulico del corpo, Sergio Stagnaro, medico da mezzo secolo, ha visitato 100 mila malati. Usa lo stetoscopio per diagnosticare se il paziente ha il terreno oncologico: "L’intuizione m’è venuta vedendo Anthony Quinn sul set di Stradivari" Difficile comprendere uno scienziato che ha inventato la semeiotica biofisica quantistica e che si muove con disinvoltura fra perimetri euclidei e dimensioni frattaliche. Perciò dovete immaginare un idraulico che tiene l’orecchio appoggiato al muro, picchia col martello sulla parete, ascolta i rumori provenienti dalle condutture e in pochi minuti vi dice se la casa si allagherà o, peggio ancora, se è destinata a crollarvi addosso.
Post n°69 pubblicato il 05 Marzo 2009 da Antologia2
"LA VITA CHE VORREI"
La storia si sviluppa su almeno tre piani. Il mondo del cinema, ricostruito con grande dettaglio: le lunghe ore passate con la sceneggiatura in mano a provare e riprovare la parte; le gelosie, le rivalità sul set tenute a freno da un padre-regista; i ricevimenti mondani che sono un pretesto per farsi conoscere e cercare nuove opportunità di lavoro. Poi c'è il mondo privato, passato spesso in una camera d'albergo, a volte con un amante utile per la propria carriera (lei) o semplicemente per non passare la notte da solo (lui). Infine il mondo ricostruito sul set , un ottocento dove si parla e si agisce in un modo che oggi fa sorridere: una passione amorosa che tutto travolge , fino alla perdita della dignità; un altruismo fino al sacrificio di sé. Stefano e Laura si incontrano, si conoscono mentre si spostano continuamente fra realtà e finzione e si innamorano l'uno dell'altra. I presupposti ci sono tutti per lo sviluppo di un grande amore ma non siamo nell'ottocento e i sentimenti sono fragili, sono soffocati da mille ostacoli che non provengono più dall'esterno come nel caso della Signora delle Camelie, ma da dentro di sé. L'ambizione professionale viene posta dinanzi a tutto, manca la generosità per riuscire ad accettare il passato dell'altro, c'è troppo orgoglio per riuscire ad esser il primo a dichiararsi. Mentre le riprese del film vanno avanti e si sta consumando nella finzione la tragedia di un amore impossibile, sul piano della vita reale grandi slanci di affetto si alternano a momenti di incomprensione, senza che il loro amore trovi un saldo punto di appoggio. Anche se Piccioni ha scelto per la sua storia un ambiente certamente difficile come quello del cinema, possiamo riconoscere nel suo racconto molte di quegli elementi che spesso, quando un uomo ed una donna si incontrano, non ci fanno parlare di amore ma più propriamente di amicizia sessuata: senso di affinità ed attrazione reciproca dove però nessuno è disposto a mettersi in gioco, a soffrire e a darsi incondizionatamente. Anche se il finale sembra adombrare una tenue speranza, il regista, presentandoci sullo sfondo un mondo ottocentesco, ha voluto esprimere, in modo quasi pudico, la sua preferenza per un diverso tipo di amore. Piccioni gestisce con grande maestria l'architettura complessa della storia, sorretto da una solida sceneggiatura e dirige con abilità i due protagonisti anche se il personaggio della Ceccarelli raggiunge una più compiuta espressività , mentre quello di Lo Cascio appare più bloccato..
Post n°68 pubblicato il 05 Febbraio 2009 da Antologia2
La presenza di musicisti dalle alte doti tecniche, come era avvenuto nella loro precedente release, non fa altro che confermare la bellezza di un’opera che non viene minimamente scalfita neanche dall’inesorabile scorrere del tempo, resistendo alle tendenze e ai trend del momento, mantenendosi così in tutto il suo splendore ed il suo fascino, e conquistandosi meritatamente un posto di rilievo tra i classici del rock cristiano e del melodic hard in generale. Basti pensare alla presenza, oltre ai fratelli John e Dino, di Dave Amato, James Dean Longacre, Bob Carlisle o Tom Bowes al microfono, Tony Palacios, della white metal band Guardian, e Michael Thompson alle chitarre, David Raven e Phil Rowland alla batteria.
‘Taken Down Below’ è un altro strepitoso brano in cui non sarà difficile notare la bella prova della chitarra, che dopo una serie di efficaci riff si lancia in un bell’assolo, mentre la breve e strumentale ‘Stampede’ anticipa la più grintosa e graffiante ‘Living For You’, in cui le liriche esprimono l’ideale di condurre la propria vita in funzione di Dio “I’m living for You, how did I think that I could do it on my own/I’m living for You , now I’m with You I will never be alone/I’m living for You, I must be weak so I can be strong/I’m living for you, no way I can do it on my own”, un maestoso riff tastieristico introduce la più briosa ‘Thief In The Night’, song che lascia intravedere un’influenza prog-AOR in stile Asia. Difficile da reperire sul mercato, “Lofcaudio” rappresenta fuor di dubbio uno dei più alti momenti raggiunti dall’AOR di scuola americana, in grado di soddisfare anche i più esigenti amanti del rock melodico e di non sfigurare minimamente neanche di fronte ai corrispettivi capolavori di AOR secolare dei vari Survivor, Foreigner e simili. Voto: 9/10
Post n°67 pubblicato il 30 Gennaio 2009 da Antologia2
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