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Post n°10 pubblicato il 29 Maggio 2012 da claudio.nigris
Dagli antichi Etruschi i Romani avevano appreso l'arte misteriosa per la fondazione di una città. Innanzitutto si provvedeva a conoscere gli auspicia, ovvero i messaggi divini basati sul volo e sul canto degli uccelli, la cui interpretazione comunicava le volontà degli dei; tale compito spettava ad un sacerdote, l'augure. In secondo luogo, si scavava una fossa circolare nel punto ove le due strade principali si incontravano formando un angolo retto: questo fossato era chiamato "mundus" (nota1) (trad. mondo nel senso di non contaminato, pulito). Al suo interno, in un rito dall'alto contenuto simbolico, venivano interrati simboli religiosi che avrebbero dovuto assicurare alla futura città benessere, prosperità, pace e giustizia; in particolare, il fondatore vi gettava una zolla di terra portata seco dal luogo di provenienza. Solo dopo, per mezzo d'un aratro, veniva tracciato un solco di confine che delimitava il territorio della città. Poiché non era possibile costruire subito le mura di difesa sul primo tracciato, veniva realizzato un secondo solco, parallelo al primo. La striscia di terra compresa tra il primo e il secondo era il "pomerium" vero e proprio. In questo territorio i sacerdoti confinavano gli spettri, i fantasmi, le larve, i demoni delle malattie e gli spiriti della guerra, della fame, delle pestilenze e tutto ciò che poteva essere ricondotto a situazioni negative per la città e per i suoi abitanti. Qui non si poteva costruire, non si poteva abitare, non si poteva coltivare, né si poteva passare (le porte erano infatti escluse dal pomerium. Il recinto sacro delimitava e definiva l'Urbs, che è la città intesa come entità consacrata agli dèi. Solo le città con un pomerium possono essere definite Urbes. Le altre sono, al massimo, òppida, nel senso di entità racchiuse da mura con scopi esclusivamente civili, amministrativi e difensivi. Da quella "cerimonia" di fondazione (Ab Urbe condita) sono passati 2765 anni e ancora oggi echeggiano, con grande orgoglio, le parole di Orazio nelle Carmen saeculare "Possis nihil Urbe Roma visere maius » .. (Che tu non possa vedere nulla più grande della città di Roma) .. "Tibi serviat ultima Thyle" ( Virgilio, Georgiche, libro I, 30). Con questo verso Virgilio, invocando l'ultima Tule, voleva augurare a Ottaviano di espandere il suo impero sino alle favolose terre del più remoto settentrione.
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