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OGNI UOMO E' UN'ISOLA. NESSUN UOMO E' UN'ISOLA. (Mouscardin)

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ABBASSO I GIACOBINI ! 

Post n°380 pubblicato il 14 Luglio 2008 da sampiero_p

Per la contiguità culturale e gl'indubbi influssi del grande Napoleone, siamo abituati a festeggiare un po', anche noi fratelli d'oltralpe, l'anniversario della presa della Bastiglia, apoteosi della Rivoluzione francese,
che pose fine alla monarchia degenerata e sancì l'avvento della
borghesia al potere, ma soprattutto simbolo di autonomia dallo Stato,
nel nome del cittadino singolo.

Non
tutto rifulse nella sanguinosa storia della sostituzione di una classe
sociale ad un'altra, perdente per aver abusato del propria funzione di
governo.

Le stragi ed il soffocamento crudele delle opposizioni per stigmatizzare il trionfo illuministico della dea ragione, che di lì a poco avrebbe soppiantato il dio
tradizionale, con un'altra forma di religione laica e fanatizzante,
fecero percepire che un'era dell'intolleranza si faceva strada tra i
popoli e che inevitabilmente questo avrebbe comportanto l'irrompere in
Europa di totalitarismi e dittature protrattisi fino a pochi decenni fa.

Lo spirito giacobino contrapposto a quello della libertà
rettamente intesa, come il raffronto con la rivoluzione inglese prima,
e quella americana dopo, ha reso evidenti agli storici imparziali, che
un confine sottilissimo separa la lotta per l'indipendenza e la libertà
del popolo da chi - pretendendo di essere il depositario della verità -
si autoproclama unico interprete dell'interesse generale e dispensa il 
terrore accompagnandolo con  l'uso indiscriminato della ghigliottina contro gli avversari.

Allora, in questo giorno di tripudio per la sempre affascinante Marianna,
ricordiamoci  che l'anima della conquista della libertà non sono i
giacobini e i fondamentalisti, i quali, oggi come ieri, attentano ai
diritti del singolo e delle comunità intermedie.

Vive la France e la liberté pour tout le monde.

 
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ALE', ILVA BELLA!

Post n°379 pubblicato il 10 Luglio 2008 da sampiero_p
 
Foto di sampiero_p

Pare che l'antico nome dell'isola de La Maddalena fosse Ilva.


Non si sa che credito attribuire a questa ipotesi, che si perde nella notte dei tempi. E' certo però che la Polisportiva Ilva (o Ilvarsenal) vide la luce agl'inizi del 1900 e acquisì grande fama in breve tempo, trattandosi di uno dei pochi sodalizi attivi, in campo regionale ed interregionale, forse alla pari con la squadra del Cagliari, la capitale.


Lo sport è un sintomo di vitalità, un'espressione di civiltà consolidata, di buona consapevolezza comunitaria e non si può negare che la Città di La Maddalena, pur nella sua breve storia, essendo ufficialmente nata intorno 1798 come presidio della Regia Marina Sarda, ai tempi della Rivoluzione francese, di meriti mondani ne acquistò a sufficienza, grazie alla sua posizione geo-politica, al centro del Mediterraneo.


Oggetto di attenzioni da parte della stessa Convenzione e del giovane Napoleone, prima, dei Savoia dopo e di Nelson nella drammatica lotta per il predominio sui mari della magnifica Inghilterra, e via via, fino a Garibaldi e al Duce del fascismo.
Una serie di personaggi che, in un modo o nell'altro, hanno dato l'imprinting ad un arcipelago fra i più belli e conosciuti al mondo, sempre a contatto con gente di diversa provenienza, sia come piazzaforte militare fin dalla prima guerra mondiale, sia in quanto sede prestigiosa (e proficua per il benessere economico locale) della Marina militare ( la quale - in occasione della sconfitta del luogotenente Bonaparte da parte del nocchiero indigeno Domenico Millelire, si appuntò la prima medaglia d'oro al valore) ed infine quale meta, a ragione, decantata di una delle migliori località del turismo internazionale, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, tanto per le bellezze naturalistiche, quanto per una una delle più prestiose scuole di vela d'Europa, il Centro Velico di Caprera.


Dopo la lunga parentesi americana, inaugurata, quasi alla chetichella, dal Presidente Andreotti e chiusa clamorosamente circa un paio d'anni orsono, senza valide alternative alla dismissione di un'economia garantita dallo Stato ed integrata moderatamente da flussi estivi di turisti pendolari o d'élites, la speranza della ripresa economica e del progresso socialmente utile, a detta del Governatore della Sardegna, doveva proprio consistere nella prossima riunione del G8, con il quale, realizzando alcune rimarchevoli opere al servizio della manifestazione, si sarebbe creato un nuovo volano per il suo rilancio turistico internazionale sevendosi altresì di una gestione oculata e produttiva deil grande patrimonio di beni del demanio pubblico.


Dalla cantieristica al servizio dei maxi yacht ad efficienti infrastrutture per il diporto nautico compatibili con la presenza del Parco Nazionale dell'Arcipelago, ora ridotto ai minimi termini di credibilità, grazie al clientelismo dei politici di tutti i colori (e buon da ultimo dal verde Pecoraro-Scanio), da trasformare finalmente in un Ente managerale di effettiva tutela ambientale.

Ora è arrivata la doccia fredda da parte del Cav. Berlusconi, il quale mette in dubbio la celerità dei lavori per il meeting dei grandi della terra, da realizzarsi entro il luglio 2009.


Dal Giappone, ha avvertito, infatti, il Premier che, se l'attuazione dei progetti continuerà ad andare a rilento, c'è un'alternativa pronta nel cassetto del Governo, per assicurare un'altra sede degna e funzionale al prossimo G8.


Come la prenderanno i cittadini del Comune sardo-corso non è facile dirlo.


Un mix di supponenza e d'innato scetticismo, il senso britannico del distacco, dell'autosufficienza nel proprio splendido isolamento, fanno ritenere che la popolazione reagirà, probabilmente, con la solita indifferenza (o apatia?), che ha contrassegnato, per un paio di secoli, il suo carattere, fatti salvi gli avvenimenti eccezionali in grado di muovere all'entusiamo la folla.


Se ne ricordano alcuni in particolare: Il decesso di Giuseppe Garibaldi, la visita ufficiale del principe Umberto di Savoia, prima della dichiarazione di guerra agli Stati Uniti d'America, quella del Ministro Ferrari-Aggradi (discendente da una delle famiglie anticamente dimoranti nell'isola), nel periodo antecedente il boom economico dell'Italia, l'elezione di Mario Segni , prima, e di Giuseppe Cossiga (diuturno amico dell'arcipelago maddalenino), a Presidente della Repubblica, la visita ufficiale del Capo dello Stato del tempo, Giuseppe Saragat.


Ma forse nessun altro evento ebbe a scuotere la tipica flemma degl'isolani, se non la promozione nella serie più alta del girone regionale della grande Ilva, la squadra di calcio più antica e benemerita (è bene ricordare che il secondo dopoguerra vide nascere la nuova compagine de "La Maddalena", a riscossa dei ceti proletari, che avevano il loro punto di forza nei nuclei operai dell' Arsenale militare e dei lavoratori del prezioso granito delle cave presenti nel lato sud-occidentale del territorio comunale).


Per giorni interi si festeggio' la vittoria dei calciatori bianco-celesti (i colori dell'associazione sportiva), sempre sostenuti con passione dall'intera popolazione.


Non si sa se l'ostinato Soru (giovanile campeggiatore di Caprera), ed il pur dinamico Bertolaso riusciranno a pungolare a tal punto Sindaco, Giunta e comunità locale, suscitando lo stesso tifo del tempo andato, per giungere con puntualità al traguardo dei lavori finiti.


Ce lo auguriamo per la Città del Leone di Caprera, che non merita di decadere.


Alè, Alè, Ilva Bella!

 
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IL PREMIER E MATRIX

Post n°378 pubblicato il 03 Luglio 2008 da sampiero_p
 

Il Premier non va a Matrix.

 

Meglio così.

L'ora tarda impedisce, di per sé, di assistere ad una trasmissione delle solite.

Argomenti in primo piano nella cronaca vengono sviscerati per la gioia degli amanti del gossip e per approfondire poco, sul piano delle riflessioni e della maturazione dei giudizi.

 

In questo caso poi, il Cavaliere avrebbe potuto rischiare di fare la figura del suo cameriere, il quale, dal buco della serratura, guarda ciò che non va guardato ed ascolta, alla porta della camera da letto, ciò che non va ascoltato.

 

In una casa che si rispetti, infine, i fatti privati si discutono a parte,  evitando di mettere in piazza i famosi panni sporchi.

 

Vizi privati e pubbliche virtù.

Questa regola dell'ipocrisia sociale, vale ancora di più per un capo di governo, che di gaffes ne ha commesse troppe e deve,  ora, dimostrare ai cittadini la correttezza delle proprie scelte, in vista di un cambiamento significativo di rotta, soprattutto in economia.

 

La gente comune vuole vedere scendere i prezzi dei generi alimentari, vuole arrivare alla fine del mese. Non sa cosa farsene dei discorsi hard, costituenti  il piatto forte, condito in tutte le salse, sui giornali, in televisone, al cinema ed al teatro e via dicendo.

 

Certo, un po' di senso della misura in più non guasterebbe in tutta la classe dirigente.

 Un po' di stile, ragazzi. Datevi un contegno.

Almeno provateci in pubblico ed i vostri affari privati di donne ed affini, blindateli nel boudoir.

 

L'Italia ha bisogno di decoro.

 

Un grande sociologo ed economista come Vilfredo Pareto criticava il cosiddetto virtuismo, la caricatura delle virtù civiche, quelle che fanno grande e degno di rispetto un paese, le sole richieste dai cittadini ai propri governanti, nel vecchio continente non puritano.

 

 Le piccole virtù, legate alle cose private e di piccolo spessore non vanno considerate molto importanti nella vita sociale. Peccatucci non gravi da assolvere nel confessionale, perchè non riguardano il bene pubblico, ma la natura imperfetta dell'uomo.

 Il brillante pensatore aveva ragione, con un avvertimento in più per i mass media, cui è necessario, se è possibile un salto di qualità a favore della privacy di ognuno di noi celebre od oscuro personaggio di questa società a brandelli.

Tolgano la bava dalla bocca dei propri cronisti e fotoreporter, evitino le morbosità, fin troppo dentro il dna degl'italiani.

Intanto, a lungo andare dei pettegolezzi di Signorini e company anche il popolino più coatto alla fine si stuferà se non altro, per una sorta di rigetto naturale. E allora che comincino subito ad eliminare il trash più maleodorante, come si spera si stia facendo a Napoli.

 
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PICASSO AD AVIGNONE

Post n°377 pubblicato il 03 Luglio 2008 da Mouscardin
 

E' passato tantissimo tempo, ma ricordo benissimo quel pomeriggio assolato di fine gennaio. Non sembrava inverno, ma un anticipo della primavera. Era stata allestita una mostra di quadri e disegni di Picasso in una residenza storica della cittadina, che  fu sede  pontificia, per un certo periodo, durante le lotte intestine del papato.



 



Ero in compagnia di un amico, che tuttora si diletta a scrivere: lì per lì, in una pausa della preparazione degli esami, decidemmo di fare una scorrazzata in costa azzurra, bella tutto l'anno per i turisti, ma già trasformata dall'architettura d'assalto per contornare spiagge e coste di residence e porticcioli per la nautica da diporto: prefigurava, con un decennio di anticipo, quella che sarebbe divenuta la rapallizzazione della vicina riviera ligure.



 



Colpa della burocrazia nostrana, ma almeno un po' di spazio naturale, per qualche anno ancora, sarebbe rimasto intatto.



 



Non erano molte le opere esposte, ma si notavano per la loro robusta identità.



 



Il pittore aveva una prepotente personalità, un gusto forte per la vita, l'amore, la passione, tutti i lati più avvincenti dell'esistenza.Si diceva che, trascorresse la mattinata, nella dimora della notorietà acquisita, in boxer,  a bere caffè e fumare gauloise, mentre maneggiava i pennelli o raccoglieva l'ispirazione per creare.



Chissà se era vero. Ma intanto la leggenda galoppava. 



Il grande artista, impegnato in tutti i campi della vita civile culturale, era citato dappertutto, osannato e corteggiato come un Adone, anche se in realtà ricordava un fauno dell'antichità.



Si può dire fosse ancora all'apice della fama, quando raggiungemmo Avignone: eppure nonostante la giornata domenicale non incontrammo molti visitatori. Singoli o coppie che si avvicendavano, ma senza eccessivo entusiamo o manifestazioni evidenti di apprezzamento. Forse come accade per quanti sono troppo osannati, si stava creando un circuito di autodifesa critica da parte del pubblico, una reazione ad un surplus d'informazioni e di elogi.



 



Capita a chi viene incoronato genio in vita.



L'alloro in testa comincia a traballare finché rischia di cadere tra lo scetticismo o l'indifferenza.



 



Oggi non so se possa rappresentare un idolo.



Né conosco in quale posto di rilievo, nella pittura di tutti i tempi, le sue creazioni possano essere collocate. 



 



Nonostante tutto, però, in quell'occasione, rimasi colpito anch'io, come appuntava diligentemente nel suo taccuino il mio compagno di viaggio, " dai colori, dalle linee forti, marcate, che sembravano tagliare la tela e proiettarsi fuori delle sale del museo: per le strade, le piazze, i mercati, sul mare non molto lontano. Il mediterraneo era lì Picasso_gertrudesteinpronto ad accogliere un caleidoscopio d'immagini e forme variopinte,  incancellabili dalla memoria. Dietro di loro s'intravvedeva  un uomo, piccolo e vitalissimo, dagli occhi fiammeggianti, che danzava instancabilmente sulle onde.



Anzi,  roteava come un matador, pronto a colpire inesorabilmente il toro dell'imaginazione.



Picasso incarna l'anima universale della Spagna, quasi come Goya o Velasquez, certamente cercava di rappresentare il volto moderno ed enigmatico del suo paese, privo ormai di precisi punti di riferimento ed avvolto in mille contraddizioni."



Quella della cittadina francese fu un'ottima scelta.

 
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LA PRESUNZIONE NON E' MAI TROPPA !

Post n°376 pubblicato il 30 Giugno 2008 da sampiero_p
 
Foto di sampiero_p

Un breve saggio dello storico Franco Cardini pubblicato su "Europa Oggi", dedicato all'islam ed ai mussulmani, nel quale, fra l'altro, mette in rilievo la tendenza degli occidentali alla superficialità, nel valutare uomini ed avvenimenti di quella vasta area culturale e religiosa, fondata sul culto di Allah e del Corano.

Non sempre le tesi dell'illustre studioso sono condivisibili, ma, in questo caso, egli metteva correttamente in luce un grave difetto del nostro approccio intellettuale con una delle tradizioni spirituali più importanti, e degne di rispetto, nella vita religiosa d'oriente, sfatando alcuni miti e demolendo certi pregiudizi, difficili da eliminare dal bagaglio d'incomprensione ed ingiustificata sufficienza di molti commentatori nostrani.

Specialmente in occidente ed ai giorni nostri, essere presuntuosi è normale.

Non ce ne accorgiamo ed, ogni volta che possiamo, aumentiamo le nostre pretese di superiorità.

Che ne direste se un giornalista mussulmano, di fronte ad una violenza sessuale, dicesse che la regola da noi è lo stupro?
Risponderemmo che ha sbagliato e che in realtà non siamo tutti violentatori da queste parti.

Ma se un padre mussulmano vende una fanciulla di 16 anni al promesso futuro marito sessantenne, è la fine del mondo!

Eppure i matrimoni d'interesse ci sono tuttora anche da noi.
In molte regioni d'Italia non è sparita la prassi di far coniugare i rampolli di famiglie ricche e potenti ed in tanti casi ancora, più o meno mascherato, sussiste il vincolo dell'inalienabilità del patrimonio ereditario, da lasciare intatto di generazione in generazione.
E quante belle fanciulline del nostro paese hanno fatto e continuerebbero a fare la coda per farsi impalmare da qualche sceicco avanti con gli anni.

Un esempio negativo è un esempio negativo, sia in oriente che in occidente, ma non si può generalizzare.

E' quindi poco convincente muovere all'attacco di una religione, senza conoscerne bene i contenuti, la prassi, l'interpretazione derivante da studi profondi e rigorosi.

Purtroppo capita che personaggi reputati intelligenti, per il gusto della boutade o della polemica fine a se stessa, non rinuncino a cavalcare la tigre dell'ovvietà e del pregiudizio, pur di dare addosso a chi pratica usanze religiose, e no, diverse dalle nostre, piccandosi di conoscere ed emendare testi dottrinari millenari con la solita mentalità neo-illuminista e perfidamente semplificatrice.

E' accaduto così che la nota giornalista Maria Giovanna Maglie, transfuga, se ben ricordiamo, della televisione d'assalto progressista e positivista degli anni settanta, ora ritenga di fare le pulci ai costumi mussulmani e alla religione che li ispira, per portare un po' di modernità in paesi ancora sottratti alla luce dei Mac-Donald's e della globalizzazione.

Lo ha fatto sulle pagine del "Giornale", ricordando, nell'epilogo dell'articolo, come a Roma si sia abituati a criticare, in piazza, il Papa e a rivendicare il relativismo in tutti i campi, compreso quello il Trascendente.

L'abitudine a parlare a ruota libera, a credere di essere i migliori del mondo, ci fa superare ogni limite.

Dalla vendita della bambina per arrivare a Maometto, il passo è breve. Questo profeta è nato intorno al 600, ma i suoi seguaci, che continuano a seguire insegnamenti non aggiornati ai tempi, non si sono mai adeguati all'evoluzione dei costumi, sostiene la chiara articolista.

Se si è coerentemente relativisti, si accettano altre fedi e convinzioni, diciamo noi ragionevolmente.

E' un po' come la democrazia: c'è chi l'accetta e chi no.
E, dopo la guerra in Irak, si sente spesso ripetere che non abbiamo il diritto di esportare il nostro regime politico.

Ma allora perché dovremmo esportare l'aborto ed altre convinzioni di libertà come se fossero il Corano, ovvero una verità rivelata?
Gli altri popoli sono stupidi e noi no.

Noi sappiamo qual è il bene e il male e critichiamo anche la dottrina della Chiesa cattolica se non è progressista a sufficienza.
Ma questo non è relativismo, è il fondamentalismo del relativismo. Ed è soprattutto eccessiva presunzione!

L'agguerrita signora Maglie farebbe volentieri una crociata libertaria nei paesi mussulmani per imporre un aggiornamento della religione coranica.

Perché anche loro non fanno le loro proteste in piazza contro i capi religiosi?

Andiamo ad insegnargli come si fa.

In fondo il relativismo non è altro che un livellamento, imposto agli altri, sulla scorta dei nostri luoghi comuni.

Che orrore la diversità, se è rappresentata da consuetudini e costumi di popoli non occidentali e non occidentalizzati.

E' possibile che non venga il dubbio a nessuno che, forse. la maggior parte dei mussulmani si trova bene nel proprio assetto sociale e che, magari, la presunta vendita di una sedicenne non è, probabilmente, il parametro giusto per esprimere giudizi tranchant su altre culture ed altri sistemi politici?

"I sette pilastri della saggezza" dell'esimio colonnello T.E.Lawrence non ci hanno, evidentemente, insegnato nulla.




 
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Incantesimo da film

Post n°374 pubblicato il 24 Giugno 2008 da sampiero_p
 

Non è facile innamorarsi.

Si sa che occorre del tempo per stabilire se si tratta di vero amore o di semplice infatuazione.

 Le distinzioni in quest'impervia materia sono d'obbligo.

La realtà è un conto, il virtuale un altro.

Sebbene anche nell'universo telematico non possano escludersi possibilità variegate, che danno luogo  ad incontri veri, che confermano le impressioni tratte dallo schermo, non mancano le delusioni e le provvisorie frequentazioni, che si risolvono in una bolla di sapone.

A me è capitato di stringere, tramite il web, vere amicizie.

 Ma per innamorarsi anche virtualmente ci vuole ben altro.

 Almeno un film, non dico tanto.

La storia interpretata da una bella donna, seducente e persuasiva nell'interpretazione.

 Gli sguardi e le movenze giuste. L'atteggiarsi delle labbra.

Sono elementi indispensabili perché l'immaginario venga colpito dal dardo dell'angioletto.

 

Era dai tempi di Audrey Hepburn, che non provavo qualcosa di simile a quello che ho sentito (sentito, sì) sgorgare dentro di me alla vista del film "Un cuore d'inverno".

Si trattava di un replay televisivo, e di una donna veramente bella in una delle vesti principali, di un'attrice intravista prima di sfuggita, che, nell'occasione, ho potuto ammirare in tutto il suo splendore.

C'è da tener conto che Adreuy la conobbi nell'infanzia, in pellicole in bianco e nero.

Emmanuelle Béart, quella a cui mi riferisco nella fattispecie, è molto più giovane ed ha mille colori che incantano.

 E' figlia d'arte, ma soprattutto una meravigliosa creatura.

 

In questa storia improbabile del regista francese Patrice Laconte, viene conquistata da un uomo arido ed algido, incapace di reazioni normalissime in chi avesse gli ormoni, oltre che il cervello ed il cuore, al proprio posto.

Costui si muove come un robot, senz'apprezzare nulla al di fuori del proprio lavoro d'antiquario e di realizzatore di violini di pregevole fattura.

Egli è reificato. S'inserisce nell'oggetto prodotto, fino a farne un involucro per la propria anima.

Ma come si fa a vivere così? Eppure capita.

Lei la Béart, che incarna una dolcissima musicista, colma di sentimenti, idee, fantasie ed  ardori non ricambiati, è l'immagine stessa dell'amore: complicato, tormentato, inesauribile fonte di vita e di malinconia, dolore e passione.

Si rimane senza parole davanti ai suoi occhi grandi ed espressivi, al  corpo elegante e perfetto nelle sue forme armoniche e sensuali.

Come si fa a rimanere freddi?

Si è al cospetto di un essere pensante, palpitante, il quale  meriterebbe ben altra sorte, che non l'indifferenza e l'allontanamento ad opera di questo banalissimo artigiano-antiquario, dallo sguardo un po' ebete, mentre la osserva come se avesse di fronte non una dea, ma la corda spezzata di uno strumento mal riuscito ed inutilizzabile.

La vicenda cinematografica si conclude, com'era prevedibile, amaramente, ma il profumo femminile rimane sospeso nell'aria e soffonde l'animo.

 Se non è amore, è innamoramento allo stato puro, nascente, originario, primigenio, selvatico, istintivo. 

Forse è solo infatuazione. Probabilmente sì, ma densa di sviluppi insperati in un'epoca lubrica e volgare come quella presente.    

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Emmanuelle? Peut-etre.

 
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La puzza sotto il naso

Post n°373 pubblicato il 23 Giugno 2008 da sampiero_p
 
Foto di sampiero_p


C'è molta gente dalla puzza sotto il naso. Con il passare del tempo forse un giorno cambierà, dopo averlo sbattuto contro qualche imprevisto incidente di percorso, ma intanto va sopportata.


Tra la marea crescente di signorini soddisfatti come avrebbe detto Ortega y Gasset, i quali credono di tutto sapere e reclamano diritti inesauribili alla conquista della società, una nutrita schiera alligna tra i cosiddetti intellettuali e la loro sottospecie giornalistica.


Ma anche tra le persone comuni, presenti nelle nostre relazioni quotidiane, si è fatta strada, da qualche decennio, questa mentalità legata ad un'eccelsa presunzione, tanto più consistente, quanto più larghe sono le buche della propria ignoranza.


Noi siamo, a dispetto delle apparenze, un popolo arretrato e retrivo, colmo di superstizioni e pregiudizi mentali, insuperbiti da un benessere fasullo, quasi tutto originato da bluff finanziari, composto quindi di lustrini e specchietti, come dimostra la crisi economica in atto, dove chi è più furbo la fa quasi sempre franca ed, inorgogliendosi delle proprie bravate, si ritiene autorizzato a disprezzare il prossimo, specialmente quando si trova di fronte a soggetti ancora dotati di buon senso e, consci dei propri limiti, non avvezzi a fare, come si diceva un tempo, il passo più lungo della gamba.


Le antiche virtù sono scomparse e quelle tipiche della piccola borghesia o dei ceti popolari sono state sostituite, grazie ai mass media dominati dalla volgarità e ad una scuola ricettacolo di tutte le bassezze del consorzio sociale, dalla volontà di sopraffazione per coltivare l'arrivismo ed il facile guadagno: Il denaro è la merce di scambio più utilizzata e sul mito della ricchezza ad ogni costo ormai si misura la vita.


L'esistenza ha perso del tutto o quasi il fascino dell'avventura, il richiamo della bellezza, l'aspirazione alla realizzazione spirituale di sé, l'apertura verso il mondo, il rispetto dovuto all'altro, oltre che alla propria individualità.

Oggi si tende invece a lasciare sempre meno spazio a quanti non vogliano soggiacere alla prepotenza e all'arroganza,alla violenza morale , a volte, velata dall'ipocrisia sociale, altre volte, scoperta e brutale.




 
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ASINOCRAZIA

Post n°372 pubblicato il 21 Giugno 2008 da sampiero_p
 

"Il declino dell'insegnamento universitario"

 
Ogni tanto mi soffermo a guardare qualche sito o blog gestito da docenti dell'Università.

E devo dire che, a parte qualche lodevole eccezione, c'è un triste spettacolo  davanti agli occhi di chi mantiene il culto della conoscenza e del sapere, a causa dell'impressione assai poco gradevole, che si trae dagli argomenti trattati e dal modo di esporli.

La sensazione è quella di una sciatteria presso che uniforme e di una banalità  così grave da rimanere esterrefatti.

 

Mi ero illuso, fino a poco tempo fa, che l'ambiente universitario, nonostante le forti immissioni di personaggi ambigui e di traballante competenza, conservasse un ceto insegnante degno di rispetto.

Invece mi accorgo, ad ogni pie' sospinto, che l'asinocrazia ha fatto passi da gigante, conservando del passato solo le bardature retoriche e decadenti e le baronie, per le quali vale sempre la regola della lotta al coltello, favorita dalla lottizzazione partitocratica.

 

Non c'è nemmeno il gusto di sbeffeggiarli questi insegnanti, tanto in  basso è caduta la figura, un tempo, aureolata del sapiente per eccellenza.

 

Una volta, a tirar sberleffi contro un Ugo Papi, emblema del professore satanico e reazionario, arroccato nella torre eburnea del potere cripto-fascista, c'era almeno da cogliere, nel viso del personaggio contestato, un lampo di austera dignità, finita ormai nel nulla dell'anonimìa  imbelle, partorita dal sistema livellatore della pseudo- democrazia.

 

A parte i Piperno, i Negri e non so chi altro sia giunto in cattedra, grazie agli esami collettivi e alle autoproclamazioni dei trenta e lode, si deve però constatare come anche la classe di docenti venuta su con selezioni e concorsi, modulati dalla cooptazione e dal comparaggio, con  lo scambio di favori mafiosi, è quanto di più deprimente e narcisistico, presuntuoso e vacuo possa generare il virus della mediocrità e del pressapochismo.   

 

Già alcuni anni fa mi meravigliai della proposta fattami da un rettore di tenere alcune lezioni in una disciplina, che praticavo da tempo e per la quale avevo maturato esperienza professionale specifica.

Mi chiesi se ciò sarebbe stato possibile quando ancora i prof erano poco più di semidei pronti ad assidersi nell'olimpo di un qualsivoglia ateneo di provincia.

 Poi mi dissi che forse alcune materie mancavano d'interscambio tra pratica e dottrina, come invece sarebbe auspicabile per ogni branca dello scibile e di qui l'esigenza dell'interrelazione.

Sul momento, ne fui lusingato, ma, dopo, a ben vedere, mi accorsi che tra coloro, che approdavano al ruolo di Preside di facoltà, ve n'erano alcuni già conosciuti come puri e semplici fuoricorso.

 

Approfondendo le conoscenze e frequentando certi esemplari della fauna universitaria, mi sento deluso e disincantato.

 

In questo settore, come in tanti altri dell'apparato pubblico, c'è solo una generale clima di disarmo intellettuale, e pare un miracolo incontrare ancora, di tanto in tanto,  valide personalità, persone dalla testa lucida e pensante, che meritatamente godono di stima anche all'estero. abelardo1

 

Nonostante questo, vale sempre la pena di ricordare l'epoca orgogliosa in cui, senza mezzi né supponenze, impartivano lezioni eminenti ed incoraggiavano le più alte speculazioni pensatori della tempra di Abelardo con il  suo  scelto e spontaneo seguito di attenti e curiosi clerici vagantes.musica7

 
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IL TALENTO DI WOODY

Post n°371 pubblicato il 18 Giugno 2008 da sampiero_p
 


Il recente film del regista americano Woody Allen, dal suggestivo titolo "Match Point", rappresenta il culmine di un'evoluzione artistica, che ha visto il passaggio da tematiche intrise di drammatico pessimismo, temperato o nobilitato da un raffinato sense of humour, alla pura e semplice esaltazione del cinismo.

E' il senso di una lucida disperazione quello che accompagna il cammino di questo talento della macchina da presa, nei cui sguardi si concentra tutto la pena, il sarcasmo, l'aporìa ed il dolore del popolo ebraico.

Basta vederlo mentre suona il clarinetto con aria smarrita, per capire che si tratta di un uomo, tormentato fin dalla nascita potrebbe dirsi, dal dilemma della fede, che attanaglia tutti i membri della sua comunità nell'arco millenario della propria storia.

Uomini condannati a vagare per il mondo come sappiamo, in preda ad un senso di colpa inestirpabile, lacerati tra la speranza del messia e il dubbio nichilista di un'esistenza affidata al caso e alla fortuna... (non quella machiavellica in cui c'è uno spazio riservato al valore del singolo nel determinare in parte almeno gli eventi ed il corso degli avvenimenti storici, ma quella raffigurata nell'immagine della dea bendata, che elargisce i propri doni a chiunque, perfino a chi non li merita).

Il film è dedicato alla casualità considerata ormai l'unica regolatrice della nostra vita.
Il protagonista che aspira, manco a dirlo, ad un'esistenza da ricco a qualsiasi costo, si abbandona alla passione, ma non sa controllarla e tra il sentimento d'amore e l'agiatezza di un matrimonio d'interesse, sceglie quest'ultimo, commettendo un duplice omicidio per liberarsi dell'amante scomoda perché, incinta, vorrebbe il riconoscimento di un legame autentico, a dispetto dell'ipocrisia e del compromesso.
In questa storia si capovolgono tutti i tradizionali parametri del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto e di quella che un tempo si definiva la"nemesi".
Come a dire che finalmente sappiamo tutta la verità del mondo com'è e come è sempre stato: una foresta selvaggia, dove può capitare che il "fato" arcaico sia coerente con i fini malvagi dell'uomo, fino al punto di dire che l'audacia nel commettere un delitto è premiata con l'impunità e addirittura con una vita serena, non turbata da alcuna coscienza, perché questa non esiste od è addomesticabile a proprio piacimento.
Questa l'idea cardine attorno alla quale ruota la storia cinematografica, povera di colpi di scena, ma ricca d'insegnamenti rovesciati.
Woody Allen non ride più sarcasticamente né satiricamente dei suoi protagonisti, li comprende e li esalta, alla fine, come la testimonianza del nulla che ci circonda.
Qui consiste il suo talento: svela una realtà diffusa e ineluttabile.
Basta guardarsi attorno e osservare il vicino di casa o l'interlocutore occasionale, per rendersi conto di quanto sia banale la chiave di lettura del mondo circostante: vivi qui e subito coltivando con ipocrisia il tuo arbitrio con il disprezzo o l'indifferenza per il prossimo:la vita è una roulette. Almeno per la maggior parte della società occidentale avanzata.


 
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AUGIAS E LA FARSA DEL SACRO

Post n°370 pubblicato il 09 Giugno 2008 da sampiero_p
 
Foto di sampiero_p

 
Nell'ultima trasmissione "Enigmi",andata in onda su Raitre, Corrado Augias, che pare vieppiù  assomigliare al celebre Ridolini, attor comico del secolo scorso, ha voluto affrontare il tema del satanismo, piatto forte di qualsiasi showmen, intellettuale-scrittore- presentatore, che voglia richiamare l'attenzione del pubblico di palato facile e dalle tendenze morbose, come si addice alla moderna società di massa, tanto più incolta, quanto più credula e manipolabile.
 
Che Augias, al pari dei suoi colleghi di cordata presenti, dalla preistoria, nella TV giacobina della terza rete, abbia come missione ben remunerata (dai contribuenti)quella di manipolare le folle tele-dipendenti, ormai è chiaro perfino ai bambini.
 
Negli ultimi tempi, si è acceso a comando un nuovo interesse per la pseudo-religione e, traendo spunto dai numerosi fatti di cronaca nera, in cui si mescola la criminalità comune con sette diaboliche di vario tipo, qualsiasi imbonitore televisivo si lancia a testa bassa, per cogliere furbescamente qualche risultato nella battaglia quotidiana, che i vecchi militanti della gauche di piazza e di governo, continuano a sostenere contro la Chiesa cattolica, simbolo di tutti gli oscurantismi, di ieri, di oggi e di domani.
 
Da laici non laicisti avremmo pensato ad un'inchiesta obiettiva che mettesse a fuoco il problema, certamente grave, separando i fatti dalle opinioni, come regola d'oro dell'informazione.
 
Ma siccome in Italia, la fazione deve conquistare consensi per il bene della causa, ecco che si rimescolano le carte, non tanto per rendere un servizio al pubblico, quanto per orientarlo verso il pregiudizio marx-leninista o neopositivista, atto a smantellare la "Reazione in agguato", da sempre annidata nelle schiere vaticane.
 
Sicché si è organizzata una tavola rotonda, nella quale il posto minoritario doveva necessariamente spettare al sacerdote di turno, perché potesse apparire chiaro a tutti qual è il vero errore d'impostazione ideologica, contornandolo di personaggi, ormai da rotocalco, o utili idioti, o quinte colonne, per accreditare le tesi più funzionali alla critica demolitrice dell'Istituzione religiosa.
 
Nella passerella dell'ultimo spettacolino organizzato dal volpino Augias, anch'egli misuratosi con il cristianesimo giallo o noire, come va di moda adesso, scrivendo un'Inchiesta su Gesù dall'esito quanto mai incerto, sono sfilati dunque, oltre al Don Aldo (prete benemerito nel sociale, per la lotta alle sette sataniche, con la sua meritevole organizzazione della quale non possono parlar male neppure i più accaniti anticlericali), il filo-plagiatore radical chic Umberto Galimberti ed il neo-teologo presenzialista,Vito Mancuso (unico intellettuale ammesso nei buoni salotti teleprogressisti, dopo il battesimo ottenuto con Otto e mezzo, circa un anno fa, per il best-seller, in lieve odore d' eresia, dal titolo "L'anima ed il suo destino"), oltre ad un onesto investigatore privato, collaboratore delle forze dell'ordine,ma di scarsa influenza per la formazione delle idee.Le quali, viceversa, nell'intento di Corrado "Ridolini" dovevano essere elargite a piene mani del duo Umberto-Vito, i veri maitre à penser della situazione, probabilmente   uniti nel comune disegno di realizzare un accordo secolare di stampo teo-scientista.
 
A contenere le interpretazioni passatiste del sacerdote circa il maligno, il diabolico, le possessioni ed i delitti di setta, ci ha pensato il moderatore,pronto ad interrompere qualsivoglia ragionamento politically incorrect, minacciando la scarsità di secondi a disposizione dell'interlocutore impertinente, mentre a straparlare dell'immaginifico binomio "Sacro e Follia", che la Chiesa di Roma trascura costantemente di combattere (sic!),avendo come interessi prevalenti temi minoritari e moralistici, provvedeva l'illustre semiologo  Galimberti mescolando allegramente il mito di Dioniso con il male del mondo,ricollegando, non si sa bene come e perché,  alla pazzia del nostro tempo la sacralità,non relegata, nella sfera ad essa precipua dalla classe ecclesiastica, disattendendo così i propri compiti(! ? !)sia mondani che ultramondani.
 
Orbene, se la trasmissione ha sortito un effetto, non pare sia stato quello propostosi dall'ineffabile conduttore, il quale, un po' insoddisfatto in chousura, ha tentato disperatamente di ottenebrare almeno il termine "Spirito Santo" ostinatamente innalzato come un vessillo crociato da un don Aldo pervicacemente legato a doppio filo all'ortodossia della propria fede.
 
Invano l'anchormen, un po' comicamente, rimproverava al Prof. Mancuso di non aver adeguatamente difeso il neologismo teleogale,  consistente nella parola pittoresca e taumaturgica "Energia", evidentemente ritenuta, nella sua  alternatività, più consona alla tutela dell'ambiente razionalista e più promettente per i fautori della"Religione fai da te", la sola ammissibile per il pensiero unico della sinistra fondamentalista.
 
P.S.
 
Al Prof. Galimberti suggeriamo di attingere per le prossime performances, scritte o parlate, dal libro di Mircea Eliade "Il sacro ed il profano".
 
In esso troverà, forse,  la spiegazione della follia e dei crimini delle sette, frutti perversi di un mondo desacralizzato.
 

 

 
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Post N° 367

Post n°367 pubblicato il 04 Giugno 2008 da Mouscardin
 

"NURAGICI E  BALENTES"

Il Prof Carlo Maxia è un noto studioso di archeologia, dotato di appeal e sense of humour.


Potreste tranquillamente definirlo un esemplare  dell'etnia anglo-sarda-araba, una rara specie  dedita alla ricerca ed allo stesso tempo attenta al mondo concreto: personaggi che vedono il mondo con gli occhi dinsincantati degli intellettuali, ed ancor più la storia come inesauribile avvicendarsi di poco epiche costumanze.


Tant'è che nei suoi saggi acuti per interpretazione dei fatti e brillanti per il tono divertito con cui elabora le proprie teorie, il professore non esita ad andare controcorrente ed a lanciare le proprie frecce intrise di caustico pessimismo contro le teorie dominanti anche in campo scientifico.


Ora mi è capitato di leggere un  lungo articolo(*) frutto dei suoi studi sulla religiosità dei nuragici, con il quale fa piazza pulita dei luoghi comuni, che trovano tuttora largo riscontro in una certa idea del popolo sardo e della terra antica a forma di sandalo.



Non esiterò a tornare sull'argomento se sarà il caso.


Però contro la balentìa ancora imperante nell'isola, come categoria culturale ed etica, il docente non è d'accordo e si vede lontano un miglio.


protosardi non solo erano piccoli di statura, ma furono conquistati in un batter di ciglio dai cartaginesi, divenendo loro schiavi o, nella migliore delle ipotesi, loro piccoli mercenari.



Secondo lui, poi, il riso sardonico non aveva nulla di profondo, come qualcuno tentò di dire: era semplicemente dovuto all'uso di una sostanza psicotropa, che rendeva intontiti e produceva le smorfie rappresentate dalle maschere antiche ( e qui il Prof. Maxia cita un altro sardo colto e spiritoso come il Prof. Gessa).



Infine, questi nuragici non facevano bronzetti, perché troppo poveri (avevano lo stagno, ma non il rame), né s'interessavano a guerre o scorribande tali da impensierire i conquistatori che si succedettero nell'isola.


L'unico vanto che ad essi può esser concesso è che fossero religiosi e molto devoti agli antenati ed al dio Sole (!), non tanto al Sardus Pater ad altre divinità di stampo classico od ellenistico, come la fantasia di altri scrittori ha fatto propendere a credere.


Sacrificavano col sangue del toro sulle migliaia di are sacrificali sparse un po' ovunque in Sardegna, venerando l'acqua (i famosi "pozzi sacri" derivano da quest'attitudine) ed i pascoli per le greggi.



Se qualche assonanza può rintracciarsi con altrettanto antiche popolazioni, esse vanno rintracciate non con i celti e gl' indoeuropei, ma con alcune tribù africane....., peraltro non cannibaliste, ci pare di capire.



Bene.



Il testo da cui ho tratto queste asserzioni, più o meno colorite, risale agli anni settanta. In esso si criticano ancora le amministrazioni pubbliche cagliaritane per il disordine imperante in città.



Oggi mi pare che qualche progresso ci sia stato, fino a definire Cagliari, nonostante i tempi, una delle più belle, pulite ed ordinate città del mediterraneo. 


Ignoro per il momento se analoghi passi avanti nella ricerca archeologica e negli studi etnologici siano stati fatti, per non deprimere troppo i cultori di Shardana, nonché  i  balentes  di ieri e di oggi.arciere%20con%20scudo%20fisso   


--------------------------------------

(*)Carlo Maxia, Religiosità dei nuragici ed are sacrificali, Rendiconti del Seminario di Scienze dell'Università di Cagliari, fasc. 3\4 1974.

 
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L'USSARO CATTABIANI

Post n°366 pubblicato il 29 Maggio 2008 da sampiero_p

 


L'approssimarsi del solstizio d'estate mi ha fatto tornare all'Ussaro, uno dei miei blog preferiti.

A dire il vero l'occasione mi è stata data da un post letto su blogger in ricordo di Alfredo Cattabiani, sulla pagina web curata dalla moglie, Marina Cepeda Fuentes, dal titolo, intrigante e divertente, "Che cosa bolle in pentola?"


La signora, dotata di senso dell'umorismo e di brillante intelligenza, possiede anche altre due doti non comuni, che sono la semplicità e la sensibilità (non smancerosa, ma essenziale e profonda), derivanti forse dalla sua origine spagnola.


Ho letto per caso l'articolo con cui ella ricordava con malinconia l'anniversario della scomparsa di suo marito, esteta ( nel senso migliore e raffinato del termine), cultore delle tradizioni, ed irripetibile organizzatore culturale controcorrente.


Uomo esemplare per l'anticonformismo ed il coraggio intellettuale con cui nell'arco di una vita (purtroppo non lunga) ha combattutto luoghi comuni e pregiudizi, conformismi feroci e mode insulse, Cattabiani mi era noto dai tempi di una rivista ora introvabile "Pagine Libere", cui, ai tempi dell'università, ero abbonato.


Ricordo ancora come su quella pubblicazione compiva il primo passo per superare la politica spicciola e dirigersi verso riflessioni metafisiche, sulla scia degl'insegnamenti di Augusto del Noce.


E poi mi ritorna alla mente la sua partecipazione (inaudita ai tempi del postsessantottismo ) ad una trasmissione della terza rete Rai, dedicata al commento mattutino dei giornali, nella quale si era autodefinito "Il grillo parlante", dopo aver accennato al suo tardivo ingresso nel mondo giornalistico, superando gli esami, per l'iscrizione all'albo, alla bella età di quarantanni, lui che già aveva alle spalle un'importante attività di direttore editoriale presso le case editrici L'Albero e Rusconi.


Proprio alle Edizioni dell'Albero e ad Alfredo Cattabiani, il quale ne curò l'introduzione in Italia per la prima volta, devo la scoperta di uno dei più noti Hussards, Roger Nimier, con il suo pregevolissimo romanzo "Giovani Tristi", che rimane ancora uno dei libri migliori di quella splendida scuola di letterati e di scrittori anti- ideologici.

Ho continuato per anni a seguire le gesta di Cattabiani, anch'egli Ussaro e Moschettiere (i suoi baffi alla D'artagnan, oltre tutto, autorizzavano l'appellativo) della carta stampata, privo di preclusioni ideologiche e con una sete inesauribile di sapere e la testarda volontà di diffondere idee non convenzionali.

Gli sono rimasto legato anche non condividendone sempre i punti di vista, dettati sempre dal cuore e dalla mente e mai condizionati da opportunismi.


Il giorno in cui m'imbattei nel blog di Marina Cepeda Fuentes, cercavo di rintracciare qualche testo di Alfredo, dedicato alla centralità dell'uomo e alla coltivazione delle qualità umane più pregevoli, in quanto inscrivibili in una sorta d'impermanenza, come caratteri indelebili, nonostante il trascorrere del tempo e la caducità dell'esistenza, nella memoria individuale e collettiva.


Sarà stata una di quelle coincidenze casuali, che ci muovono inconsapevolmente verso l'alto, per nuove conquiste o per riscoperte intellettuali, da cui trarre altri frutti, favoriti dall'incipiente solstizio d'estate.

 
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Spazzatura e unità nazionale

Post n°365 pubblicato il 11 Gennaio 2008 da sampiero_p
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La Sardegna si rivolta contro la spazzatura importata dalla campania. E' un segno di egoismo, di mancanza di solidarietà, considerato che il cumulo di rifiuti rappresenta oggi l'Italia all'estero?

E' vero un assunto, al di là della tragedia ambientale ed umana che è sotto gli occhi di tutti. Non c'è unità nazionale.

Il nostro è un paese disunito, non tanto perché non c'è solidarietà per risolvere il grave problema di Napoli e della Campania, quanto perché non esite oggi in Italia né il senso dello Stato (retaggio della destra storica post risorgimentale, definitivamente eclissatosi dopo la vittoria ed il consolidamento della partitocrazia ed il contestuale rafforzamento di quella "democrazia mafiosa", ben individuata, a metà degli anni sessanta, da Panfilo Gentile), né lo spirito comunitario, che resse fin dopo il miracolo economico, come lascito della civiltà contadina, fino alle soglie dell'attuale postindustrialismo).
Siamo una nazione sfilacciata e temo che il"federalismo sociale" possa fare ben poco, senza una seria riforma delle istituzioni e la selezione di una nuova classe dirigente, cui anche la riforma della legge elettorale  potrà contribuire a formare in qualche misura.

Detto questo, mi pare di poter aggiungere che, in Campania ed in Sicilia e regioni limitrofe, la camorra, l'ndrangheta, la mafia, etc. comandino più spudoratamente  che nelle regioni del Nord, dove un maggior rispetto della legalità sussiste, ma non è proprio esemplare, grazie al degrado causato dalla politica romana.

Chi potrebbe risolvere adeguatamente la situazione, mandando in galera i responsabili e risanando gradualmente la situazione disastrosa determinatasi in 14 anni di disinteresse?

Forse Antonio Di Pietro.

Prendetela pure come una provocazione, ma forse un ministro "plenipotenziario", che affronti l'emergenza, con i metodi del Prefetto Mori, potrebbe reincarnarsi nell'ex magistrato di mani pulite, se gliene dessero la possibilità e lui volesse raccogliere la sfida, operando concretamente, anziché limitarsi ai proclami...

 
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Interessi generali o di bottega?

Post n°364 pubblicato il 09 Gennaio 2008 da sampiero_p
Foto di sampiero_p

Un esimio commentatore, Mario Sechi, dalle pagine di "Panorama" prende in esame le tesi che l'On. Fini proporrà nella convention del suo partito per la rifondazione dell'area moderata ai primi di febbraio a Milano.


Egli critica in nome di un astratto liberismo alcuni punti programmatici che fanno parte delle tesi riformatrici di allenza nazionale, ritenute dal giornalista troppo di sinistra.

Credo che nelle parole di Sechi ci sia troppo allarmismo.

Chi ha paura di discutere le tesi propositive di AN,  da lui elencate nel post?

La destra, la sinistra o entrambe?

Un grande liberale come Ortega y Gasset definiva, le ottocentesche distinzioni tra destra e sinistra, "semiparalisi mentali".

Vogliamo continuare ad arroccarci sulle accademiche torie liberiste e sulle sue realizzazioni concrete, sulle quali già Von Hayek avanzava forti dubbi alcuni decenni fa, o è il caso di affrontare la realtà drammatica di un mondo che cambia velocemente?

Ci è più caro difendere la verità dogmatica del "liberismo puro" (rivelatosi "puro utopismo" nella continua evoluzione di una società complessa) da buoni provinciali radicati nella periferia derll'impero, oppure vogliamo esaminare in che modo sia possibile in Italia ed in Europa coniugare la libertà ed il liberalismo con la giustizia sociale e le identità culturali nazionali,regionali, locali, che rischiano di essere travolte e spente dalla globalizzazione e dal mercatismo?

Il Prof. Tremonti ha già cominciato ad occuparsi del problema in maniera seria ed approfondita.
Altrettanto ha fatto il Prof.Pelanda. Una elaborazione ricca di contenuti e proposte è stata portata avanti, in tutti questi anni, dalla fondazione "liberal" e dal suo laboratorio, coordinato da Ferdinando Adornato, per non parlare del lavoro intellettuale e delle iniziative pratiche, intraprese sistematicamente  dall'onesto ed eccellente parlamentare  liberale Raffaele Costa, che ispira costantemente l'azione del suo movimento, "Il Duemila", alle lezioni di Einaudi e Don Sturzo.

E allora anziché soffermarci sulle piccole cose e sui possibili accordi tra PD e PPL, perchè non affrontiamo i nodi del nostro tempo con un po' di apertura mentale?

Non è in gioco la percentuale di voti che raccoglieranno gli ex alleati del centrodestra per arrivare ad un "governicchio" qualunque.

E' in gioco l'avvenire del paese e dell'occidente, che non si costruisce in modo positivo ed incisivo con le liti da cortile tra i vari leader, contrabbandando come questioni di principio quelli che, per i moderati autentici, in grado di pensare con la propria testa, sono evidenti e poco nobili interessi di bottega.

P.S.
Sechi legga o rilegga, da buon laico, le parole recentemente pronunziate del papa sui pericoli della globalizzazione e poi dica se non sia il caso di rifletterci anche in sede politica sul versante liberale e popolare.

 
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The rose

Post n°363 pubblicato il 01 Gennaio 2008 da sampiero_p
 
Tag: Rosa, rosae

Una musica dolce e delicata, che richiama l'armonia del creato e fa sentire ognuno di noi come parte dell'universo. Le festività propiziano quest'incontro tra il nostro microcosmo ed il macrocosmo, la sua galassia, i pianeti, il sole, la luna, la terra.

 La piccola rosa e l'infinito... 

 
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Un felice 2008

Post n°361 pubblicato il 31 Dicembre 2007 da sampiero_p

 

" TUTTO E' GRANDE IN UNA GRANDE ANIMA" 

(PASCAL)

 
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L' AMORE ed il Rock

Post n°360 pubblicato il 29 Dicembre 2007 da sampiero_p
 

Come sarà stato l'amore nelle generazioni precedenti?
 
Qual era la concezione e la pratica di questo indistruttibile strumento di crescita ed emancipazione?
 
 A sentire chi ha vissuto al tempo del rock, quello primigenio di Elvis Presley, Little Richard, Bill Haley, all'epoca di James Dean e del primo Marlon Brando,  quando si ruppero gli schemi della società tradizionale con i figli che cominciavano la contestazione nei confronti dei padri (sia quelli appartenenti alla mitica e dorata società americana del way of life per  un nuovo Eden, nato dalle ceneri della seconda guerra mondiale, e sia quelli che in Europa  si rimboccavano le maniche, cercando d' imitare i modelli, un po' ingenui, del benessere d'oltreoceano, con la consapevolezza di dover conquistare con il  lavoro ed i sacrifici senza soste ciò che sarebbe divenuto il miracolo economico  della ricostruzione del dopoguerra,) l'amore si librava come una farfalla tra petali in fiore.
 
Il pudore abbassava i toni e si attestava sul minimo comun denominatore della libertà dei costumi moderatamente intesa.
 
Senza grandi clamori, avvolta in un'elegante discrezione, ma scevra da pregiudizi e convenzioni puritane.
 
I sentimenti avevano l'opportunità di manifestarsi più apertamente che in passato, con poche e semplici regole lontane dal perbenismo di maniera ed il sesso si conquistava con entusiasmo e gradualità, apprezzandolo come un frutto, al tempo stesso, proibito e prelibato.
 
Si svelava a poco a poco, assimilando le idee, non conformiste e liberatorie, legate alla scoperta dell'istinto vitale di uomini e donne che finalmente potevano ascoltare, senza tabù la voce della propria intima natura, così ben descritte da David Herbert Lawrence nell 'Amante di lady Chatterley.
 
L'amore al tempo del rock non aveva nulla di cinico e prevedibile. Si costruiva nella maniera più naturale ed il ritmo di quella musica, allegra, gaudente, ribelle e scatenata, era il segnale di una svolta epocale, unica nella storia del costume del novecento.
 
Nessuno poteva immaginare che avrebbe, poi, aperto le porte al sessantotto e alla demolizione degli ultimi rifugi dell'io, per fare spazio alla massificazione e alla banalizzazione, per instaurare l'omologazione e la globalizzazione del più positivo e  creativo, rivoluzionario ed individualista dei sentimenti umani.
 
Forse era, quella del rock, la misura più equilibrata che la rivolta giovanile di quella generazione potesse acquisire e lasciare in eredità per un mondo più libero.
 
Ma noi, forse, non abbiamo saputo amministrarla come meritava.
Che bello il     vecchio
 "Rock around the clock"!

 
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Bucarest e l'Europa

Post n°359 pubblicato il 29 Dicembre 2007 da sampiero_p
 

L'atmosfera di questo natale era incantevole con l'albero più grande d'Europa al centro della piazza più celebre della capitale della Romania.


 Molto deve fare, questo paese per crescere e scrollarsi il peso di un passato drammatico.


Ma le incertezze del cammino, faticoso e controverso, come capita spesso nella storia, alla fine di un'epoca e all'inizio di un'altra, non devono ricadere sulla popolazione, la quale cerca di avviare un'economia moderna, senza dimenticare le tradizioni contadine, che hanno costituito, insieme con la Chiesa, il collante dell'identità di un paese naturalmente europeo e latino, per il filo di continuità che tuttora sottilmente lo lega a Roma antica.


Ci auguriamo che le radici non vengano recise e che l'atmosfera che si comincia a respirare duri nel tempo e nel tempo si rafforzi.


Vorremmo una Romania europea e latina, un modello che nessuno degli stati, appartenenti alla vecchia comunità, ha saputo creare mentre dovrebbe costituire l'immagine più profonda e vera del continente.


Andiamo a leggere o rileggere Mircea Eliade, Eugene Jonesco ed anche Emile Cioran, i quali, con altri innumerevoli esempi d'intellettuali, scrittori, poeti ed artisti,  sono i simboli indelebili della Romania più grande.


Ricordiamo Vintila Horia, fine scrittore e profeta della decadenza europea, che visse, come tanti, esule a Parigi, per testimoniare la propria fede nel riscatto di un popolo e dell'Europa intera.






Bucarest - Atmosfera romantica

Musica, teatro e storia.
Bucarest - Atmosfera romantica

Bucarest - Atmosfera romantica

 
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Un Natale di sangue

Post n°358 pubblicato il 29 Dicembre 2007 da sampiero_p
 
Foto di sampiero_p

Uno psicopatico ha massacrato un'ancor giovane donna a Castelfranco

Veneto.

Un delitto efferato.

L'uomo, ritenuto malato di mente, lavorava come falegname ed era entrato

in contatto con la vittima tramite una chat.

Che cosa possa aver indotto la figlia di un notaio benestante a frequentare

in web un tale individuo non lo possiamo sapere con certezza.

Ma non è il solo interrogativo che rimane in testa dopo aver ascoltato le

notizie del telegiornale.

Uno fra tutti rimane inquietante.

I carabinieri affermano di aver localizzato il luogo del sequestro ed il

locale dov' era tenuta la prigioniera, ma non sono intervenuti, per timore di

peggiorare la situazione, limitandosi, quindi, a seguire il rapitore per

giorni e giorni.

Sono passate circa un paio di settimane dall'annuncio della scomparsa,

senza nessun indizio particolarmente utile per non ritenerla in pericolo di

vita.

Come si fa a ritenere che si potesse trattare di una fuga sentimentale tra

due adulti conosciutisi chattando?

Tutto può essere, ma gl'investigatori, una volta stabilita l'identità

dell'uomo ed identificata la sua abitazione, non avevano altre possibilità

per tutelare l'integrità della sequestrata?

Pare impossibile che con tutti gli strumenti che la tecnologia mette oggi a

disposizione degli apparati dello stato, la situazione sia sfuggita di mano

in modo così raccapricciante: la morte, infatti, risale a pochi giorni dopo il

rapimento.

Paradossale e tragico che, alla vigilia del Natale, un falegname, come

Giuseppe di Nazareth, possa aver imbrattato di sangue il ricordo della

nascita del Salvatore.

Assurdo constatare come, tramite la telematica, si possa irretire ed uccidere,

ma non ci si possa difendere dal male, prevenirlo e sconfiggerlo.

Eppure essa non ha, in se stessa, niente di perverso e malvagio.
O è vero il contrario?


 
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AUGURI

Post n°357 pubblicato il 24 Dicembre 2007 da sampiero_p
 

Nasciamo con un seme d'amore nei nostri cuori, che si sviluppa man mano che evolve il nostro spirito e che ci porta ad amare ciò che ci appare bello senza che ci sia mai stato detto di cosa si tratti. E dopo questo, chi può dubitare che si sia al mondo, per null'altro se non per amare? Infatti, per quanto lo si voglia nascondere a noi stessi, si ama sempre. Persino là dove sembra sia stato bandito l'amore, esso vi si trova segretamente e di nascosto, e non è possibile che l'uomo possa vivere un solo attimo senza di esso.

(Blaise Pascal)

 
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