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IL PARADISO TIBETANO DEI BONZI BERTINOTTIANI

Post n°124 pubblicato il 18 Marzo 2008 da kaoxing
 
Tag: Cina


Tibet: la retorica dei valori olimpici come la retorica dell’esportazione della democrazia


Mi permetto di pubblicare un breve riassunto sulla storia del Tibet, questo paradiso del lamaismo che ha folgorato la sinistra "radical "(chic) nostrana, capitanata dal bonzo Bertinotti.

Dal 1727 – ossia ben prima che la Padania e il regno delle due Sicilie diventassero parte integrante dello Stato italiano – il Tibet è diventato, a sua volta, parte integrante della Cina, sotto forma di dipendenza autonoma. In quanto tale è sempre stato dominato (fino alla rivoluzione) da un regime teocratico autoritario, con tutto il potere concentrato nella mani del Dalai Lama, capo spirituale e temporale.

Tutta la terra era di proprietà del Gran Lama e della gerarchia teocratica buddista-lamaista, espressione di un rapporto di produzione feudale basato sulla servitù della gleba, con larghe fasce di schiavitù. L’investitura del Lama era sottoposta e ratificata alla corte imperiale di Pechino. Questa prassi è stata mantenuta anche nel periodo del Kuomintang.

La Repubblica popolare cinese ha assunto il controllo del territorio tibetano il 23 maggio 1951. Da quel momento inizia un lungo processo di trasformazione sociale che comprende l’abolizione della servitù della gleba e della schiavitù, la distribuzione dei pascoli ai contadini senza terra (non esistono a quell’altitudine altre significative coltivazioni agricole) e la costituzione di cooperative. Inizia nel contempo il programma di alfabetizzazione di massa con partenza da quota zero.

La costituzione cinese riconosce al Tibet (e non solo al Tibet) lo status di repubblica autonoma che comprende il riconoscimento della lingua, della cultura e della religione (all’incirca quello che la Costituzione italiana riconosce alle regioni autonome della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige).

Nel 1959 un tentativo insurrezionale di bande armate addestrate dalla CIA in California (archivi resi pubblici dalla stessa CIA) viene sventato dalla popolazione di Lhasa che insorge in massa e costringe il Dalai Lama alla fuga in India. Sono totalmente false le accuse di genocidio rivolte alla Cina: la popolazione è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni e, dei 2,7 milioni di abitanti, il 90% è di origine tibetana, e solo il 10% è composto da residenti di etnie diverse. La speranza di vita è salita dai 35 anni dei primi anni cinquanta ai 69 di oggi. Credo che l’ultima persona al mondo titolata a parlare di diritti umani sia il Dalai Lama.

Tratto da Sergio Ricaldone su Contropiano

 
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luloca
luloca il 18/03/08 alle 17:21 via WEB
Il dalai lama denuncia un genocidio di tipo culturale. Una situazione che io paragono a quella degli idiani d'America. Tenzin Gyatso non vuole affatto staccare il Tibet dalla Cina, vuole semplicemente istituire una regione autonoma. Al momento attuale il governo cinese non assicura autonomia neanche al "sanga" dei monaci. Un po come avviene in Birmania, è il governo Cinese che decide le reggenze dei vari monasteri. Tra l'atro da Pechino hanno deciso che saranno loro a nominare il prossimo dalay lama, così come hanno già fatto con il panchen lama, probabilmente dopo aver ucciso quello legittimo.
 
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