Creato da ciapessoni.sandro il 21/02/2010

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P o e s i a - L e t t e r a t u r a - S t o r i a - M u s i c a

 

 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°236 pubblicato il 27 Luglio 2013 da ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

 

Ultima puntata

 

Capitolo XVII – (seguito del post 235)

 

Fu una lieta primavera, quella del 1894 a Venezia. Una falange sterminata di stranieri calò da tutte le parti del mondo, le donne e gli uomini già ebbri di delizie e di desiderio, con l'anima vibrante di quel romanticismo sensuale che Venezia, la torpida, ispira.

Nuove passioni e nuovi drammi pullularono tra quell'affoltata di gente, e la Piazza San Marco divenne in certe serate un prodigioso salotto pel quale s'aggiravano le eleganti di New-York e di Parigi, di Londra e di Vienna, di Berlino e di Pietroburgo, lasciando sui loro passi un solco di profumi esotici. Esse vedevano Venezia con gli occhi della leggenda e della storia e la loro anima si trasformava, effondendosi e pervertendosi fra i tesori d'arte e il silenzio mortale della città voluttuosa. La gondola, lenta e carezzevole, agile e muta, faceva loro sognare i sogni erotici e le rapide tragedie dei romanzi; la notte, o rischiarata dal raggio lunare sui rii e sui canali, o tenebrosa o velata, sembrava loro così enigmatica e stravagante quale in nessun'altra città del mondo.

Le più belle donne avevano una falange d'ammiratori, quasi tutti veneziani, che ne aspettavano ogni anno il passaggio, non diversamente dal cacciatore che aspetta lo stormo della ghiotta selvaggina. Esse s'imbevevano il giorno della luce e dei salsi umori di Lido, felici di quella piena vita animale che ingagliardisce il sangue e stende sulle carni una delicata patina di bronzo; la sera, tornavano alle consuete eleganze o nelle grandi sale dei grandi alberghi o in Piazza San Marco.

Si sussurrava di passioni e di capricci, di gelosie e di tradimenti.

Il suicidio d'una giovane inglese, un duello tra due russi, avevano messo in tumulto la città; poi rapidamente le grandi feste offerte da un patrizio alla colonia straniera e uno straripare di lusso portentoso, una vera orgia di colori e di bellezze e di dovizie, avevano cancellato la memoria di quelle drammatiche vicende. E l'eco del tripudio non era spenta, ché la fuga d'una giovinetta con un uomo attempato aveva riaperto i fiumi dei discorsi scandalosi; poi una nuova festa, la colonia straniera che ringraziava il patrizio dell'ospitalità ricevuta, profondendo altri tesori, sfoggiando nuovo fasto, e l'arrivo del Re, e la caduta d'un ministero, e un accavallarsi di fatti piccoli e grandi, avevano dato materia alle chiacchiere e non avevano saziato la curiosità instancabile degli uomini.

La vita correva la sua corsa senza freno, superba, indifferente, inconsapevole, travolgendo ed esaltando, premiando e punendo; e il nome di questo o di quello roteava come un palèo. Un giorno sulla terrazza di Lido, un pugno di gentiluomini faceva corona ad alcune dame, la contessa Lombardi, la contessa Fausta di Montegalda, la duchessa di Torrecusa. Erano gli uomini il conte Alvise Priùli, il conte Mercatelli, parecchi giovani, tra i quali il conte Paolino Berlendi. Paolino aveva enunziato anche in quei giorni che la donna americana si riconosce a occhio; aveva tenuto una scommessa, e aveva scambiato un'austriaca per un'americana. Se ne rideva ancora. Paolino imperturbabile aveva osservato che nelle vene dell'austriaca, per qualche dimenticato incrocio, doveva scorrere sangue americano; e conosciuta personalmente la giovane, se ne era innamorato. Anche questo episodio aveva fatto ridere; ma Paolino Berlendi, senza badare ai frizzi dei compagni, dava intanto una caccia accanita alla straniera e sperava impigliarla nelle sue reti.

- Che cosa guardate? - gli domandò Fausta d'un tratto.

La bellezza della contessa pareva scintillare sotto il sole; i capelli neri avevano riflessi azzurrini e gli occhi cilestri esprimevano una dolce ingenuità qualche poco in contrasto con l'anima sensuale ed egoista della donna.

- Guardo tutte queste forestiere, - disse Paolino. - Non vi pare che giungano a Venezia già ubriache d'amore e di Ruskin?

- Voi parlate del Ruskin come d'un liquore, - osservò la contessa Lombardi sorridendo.

- È vero; ma io preferisco il cognac, - rispose Paolino. - Il fatto è che le straniere sono innamorate.

- E di chi? - domandò Fausta.

- Di me, contessa! - affermò Paolino trionfante.

Gli uomini risero.

- Ma sai tu chi è il Ruskin? - domandò il conte Priùli.

- No; non l' ho mai letto....

- È naturale, - disse il Priùli. - Tu devi darti all'agricoltura, e sappiamo che studi accanitamente per distinguere una patata da una barbabietola.

- Un'austriaca da un'americana, - corresse Fausta di Montegalda.

Già Paolino stava per rispondere, quando un silenzio improvviso si fece.

Era comparso sulla terrazza il conte Filippo Vagli, colui che per lunghi mesi la società elegante capitanata da Fausta di Montegalda aveva chiamato «il povero Flopi».

Molti fili argentei intessuti ai capelli un giorno tutti neri, il cerchio grigiastro intorno agli occhi, le spalle un poco appesantite davano l'impressione che Filippo fosse invecchiato repentinamente. Egli era sempre ilare e sereno, ma chi l'avesse fissato con attenzione si sarebbe accorto che la tranquillità e l'allegria di cui dava prova erano dovute a un continuo sforzo, a una instancabile vigilanza sopra sé medesimo.

Quando egli si credeva non osservato, la sua fisionomia mutava d'un tratto, quasi ché la maschera gli fosse caduta, e allora si vedeva l'uomo ferito mortalmente da un'angoscia insanabile, torturato da qualche desiderio, malcontento di sé e degli altri, disperato di poter mai più trovare un bene nella vita. Poi l'orgoglio lo riafferrava, si guardava intorno nel timore che qualcuno gli avesse letto dentro l'anima, e riprendeva la sua maschera di gaiezza e di contento.

Queste alternative, così notevoli che si sarebbe detto che due caratteri albergassero nello stesso corpo, non erano sfuggite all'occhio degli amici; e specialmente tra i più giovani, una simpatia silenziosa s'era formata per Filippo Vagli.

Colui che aveva sentito fare strazio del proprio nome da una folla avida di scandalo, aveva visto la stessa folla ammutolire innanzi a un dolore alto e sincero, a guisa del molosso che s'accovaccia ai piedi del padrone. Filippo avrebbe dato metà del suo sangue per vivere ancora tra i sibili e i cachinni della maldicenza piuttosto che tra le nuove manifestazioni di rispetto, nelle quali egli sospettava una mal celata pietà. Ma tutto era finito, ogni cosa era miserabile, e mai come in quel tempo s'era sentito tanto lontano da ciò che faceva, dall'esistenza frivola, alla quale s'era dovuto acconciare, e che sembrava non lasciargli un'ora libera.

Egli gettò un'occhiata al gruppo, e salutò da lontano. Aveva visto tra gli uomini Paolino Berlendi, che con quel suo carattere scapato, sventato, impertinente e, nel fondo, generoso e sentimentale, gli rammentava un altro; Filippo si studiava di non mostrare a Paolino l'antipatia che quella somiglianza morale gli aveva ispirato.

Entrò, e volse a sinistra.

- Va a fare la sua corte alla Fioresi, - disse Fausta, che lo seguiva con l'occhio.

In fondo alla terrazza, a sinistra di chi entrava, Giselda Fioresi era seduta con la madre.

La fanciulla dalla chioma fulva indossava un abito leggero color turchino con le maniche di prezioso merletto. S'era fatta più bella, il suo corpo s'era invigorito e sul volto le si diffondeva un'espressione che non aveva mai avuta, quell'espressione di riposo che è propria di chi giunge a una meta dopo lunga guerra. Quando vide Filippo avvicinarsi, le sue labbra si schiusero a un placido sorriso.

- Si sposano? - domandò il Berlendi che guardava la scena.

- Si sposano, - confermò Fausta con voce secca.

- Flopi invecchia; è all'ultima tappa.

Dovevano sposarsi il mese appresso, e del matrimonio si parlava con incessante curiosità.

Due casate come quelle dei Fioresi e dei Vagli non avrebbero potuto non dare alla cerimonia tutta la solennità, tutta la magnificenza che le convenivano, e le donnette già parlavano del corredo di Giselda come d'una meraviglia mai vista.

- Lo zio Roberto avrà finalmente i «flopini»! - osservò il conte Priùli.

- E Flopi i milioncini, - aggiunse il Berlendi.

- Non lo fa per questo! - rispose freddamente il Priùli. - Tu non lo conosci; Filippo si sposa per obbedire a sua madre.

- La sola cosa poco aristocratica di questo matrimonio, - osservò Fausta, - è la gioia straripante di Giselda.

E storse la bocca, quasi avesse visto qualche spettacolo repulsivo.

Le dame s'alzarono per avviarsi, ma in quel punto sopraggiunse Nino d'Este, che parve cercar qualcuno con gli occhi; ravvisò la contessa Lombardi e le corse incontro.

- Lei mi aveva chiesto notizie di Berto Candriani? - egli disse.

- Oh bravo! Parliamo di Berto Candriani! - esclamò Paolino. - «Il a jeté son bonnet par dessus le moulin»!

Alvise Priùli gli diede una gomitata, perchè abbassasse la voce.

- Le porto le notizie, - continuò Nino d'Este, ed estrasse dalla tasca un giornale romano che consegnò a Paolino Berlendi.

- Ti ringrazio di quest'atto di fiducia, - disse Paolino. - Poco fa, Priùli sosteneva che io non so leggere.

- Ma fate presto! - interruppe Fausta di Montegalda.

- Ecco qua: «Un'automobile sfasciata»...

- Mio Dio! - esclamò la contessa Lombardi.

- «Un'automobile sfasciata», - seguitò a leggere Paolino. - «Jeri, verso le quattro, l'automobile del conte Berto Candriani, notissimo patrizio veneziano ospite della nostra città»...-

Come sa farsi la réclame questo briccone!

- Volete finirla? Vi tolgo il giornale! - minacciò Fausta.

Paolino Berlendi si fece serio e lesso tutto di seguito:

- ....«percorrendo la Via Appia, presso la tomba di Cecilia Metella, urtò un baroccio da vino, e cadde sul fianco. Lo chauffeur rimase ferito. Il conte Candriani e la contessina Loredana De Carolis, sbalzati a parecchi metri di distanza si sollevarono incolumi».

- Contessina! - esclamò Fausta con un sorriso beffardo. - I giornali romani non sono bene informati.

- E quel benedetto nome di Loredana che li trae in inganno! - osservò il conte Priùli.

La comitiva si avviò.

- Io vorrei sapere che cosa andavano a fare sulla Via Appia! - disse a un tratto Paolino Berlendi.

- Io sono contenta che Berto non si sia fatto male, - dichiarò la contessa Lombardi. - Ma chi ci avrebbe detto che sarebbe scappato con quella ragazza?

- È la fine di tutti gli uomini di spirito, - osservò Nino d'Este. - Anche Paolino un giorno sposerà la sua balia...

- Voi avete torto, - ribatté Paolino. - Mi dicono che Loredana sia una ragazza bella e intelligente... E io propongo una cosa: mandiamo il giornale a Filippo!...

- Siete matto? - esclamò la contessa Lombardi.

- Non credete che gli farà piacere d'apprendere che la sua amica si diverte e ruzzola a gambe in aria con Berto Candriani?

- Suvvia, siete sconveniente! - disse Fausta, mordendosi le labbra per non ridere.

Ma Paolino Berlendi mandò un grido.

- Guardate! - egli esclamò. - Guardate quella signora che ci viene incontro: è un'americana.

Lo si vede a occhio; guardate come cammina, come sorride, come gestisce... È un'americana...

Gli altri guardarono. La signora che si avvicinava, elegantissima, ora alta e bionda; un giovanotto bruno l'accompagnava. Ma tutti diedero in una risata.

- Caro mio, - disse poscia Alvise Priùli. - Quella è una russa: la contessa Tatiana Semenow, di Pietroburgo!...

Paolino Berlendi accese una sigaretta.

- E io me ne infischio! - egli concluse tra i denti.

Ma cinque minuti appresso nessuno più pensava alla russa, a Filippo, a Loredana, a Berto, a Giselda.

La vita dominava inesorabile tra un profluvio di luce calda e dorata.

 

FINE DEL ROMANZO.

Buona lettura e GRAZIE per la gradita vostra partecipazione.

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°235 pubblicato il 22 Luglio 2013 da ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

Penultima puntata.

 

… seguito Capitolo XVI (da post 234)

Berto la vide subito impallidire spaventosamente; avvicinatale una poltrona, la fece sedere, le si mise a ginocchi innanzi, e Loredana rimase un istante così, bianca in volto, gli occhi chiusi, mentre Berto andava baciandole le mani guantate. Poi ella s'accorse che lievemente, lievemente, con perizia consumata, le toglieva il cappello e il veletto, e di nuovo inginocchiandosi le posava le labbra sulle mani.

Riaprì gli occhi, e guardandolo ai suoi piedi, notò la cicatrice lucida e ardente che gli traversava la faccia come un formidabile colpo di scudiscio.

- Sono da lei, - disse. - Sono fuggita. Ho abbandonato Filippo. Lo amo ancora, lo amo sempre, non amo che lui; ma sua madre muore, e io devo fuggirlo.... Sono venuta a ricoverarmi da lei... Che caldo è in questa camera; mi sento soffocare! Senza levarsi in piedi, slacciò la pelliccia e la lasciò cadere intorno, cosicché parve che il busto snello sbucasse da quel nido candido e morbido maculato di nero. Guardandosi in giro, ella si vide in uno specchio; non aveva più il cappello, non più la pelliccia; era svestita, quasi fosse tornata nella propria casa; e quell'uomo le stava ai piedi, muto, umile, e già padrone di lei... Lo spettacolo la rivelò a sé medesima. Si drizzò di scatto, esclamando:

- No; che cosa faccio? Sono pazza....

Anche Berto s'era alzato, e mettendosele innanzi, le disse prestamente:

- Non fugga: è in casa d'un gentiluomo. Si calmi. Ho bisogno di sapere e di parlarle. Se vorrà partire di qui, io non la tratterrò... Mi dia l'amara soddisfazione di chiederle perdono. Ho scontato il mio errore. Sono stato veramente colpevole, ma sono parso più colpevole ai suoi occhi, perchè lei ha creduto a un capriccio, mentre io l' ho amata e l'amo con profondo sentimento... Non fugga, la scongiuro...

Loredana tornò a sedere, raccogliendosi intorno la pelliccia bianca.

Non appena Berto la vide così, calma e attonita, uscì dal salotto e ritornò precipitosamente, tenendo in mano una bottiglia e nell'altra una coppa. Né egli né la giovane avvertirono il ridicolo di quella corsa; Berto spinse innanzi a Loredana una piccola tavola sostenuta da quattro svelti grifi, e versando, posò la coppa vicino alla sua ospite.

- Bevete, - disse, - ve ne prego: vi darà forza.

Loredana aveva visto che il liquido gorgogliante era sciampagna; ella fece un gesto per rifiutare, e rispose:

- No, non è possibile; mi farebbe male.

Il Candriani non l'ascoltava; ebbro di gioia, potendola guardare con l'intensità di un desiderio non più rattenuto, la guardava tutta, bramosamente, dalla testa ai piccoli piedi, la cui punta sbucava dal lembo estremo della gonna.

- Io vi farò dimenticare Filippo, - egli disse a un tratto. - Voi non l'amerete più; io sono libero e solo, posso dedicarvi intera la mia vita... Amatelo oggi ancora, non importa; è giusto che lo amiate; dovrò io cancellare la sua immagine dal vostro cuore.

E di repente proruppe:

- Sono felice; sono felice di vedervi presso di me; vi siete ricordata che vi ho offerta la mia amicizia in un caso estremo, e questo mi consola di molti dolori... Ah vi assicuro, Loredana, che non sono più lo sventato che avete conosciuto un giorno! Vi amo teneramente e spero di potervi rassicurare...

Ella troncò le sue parole con un gesto.

- No, - rispose. - Non vi amerò mai.

Si guardò intorno, e vedendo la coppa, la portò alle labbra che sentiva arse da un'interna febbre.

- Ascoltatemi, - proseguì imperiosamente. - Sono qui, non perchè vi ami, non perchè io creda alla vostra amicizia, ma perchè voglio e devo perdermi.

- Loredana, Loredana, per carità! - interruppe Berto.

- Devo perdermi. Egli sta per commettere un delitto. Sua madre ammalata gli ha chiesto di abbandonarmi, ed egli ha rifiutato... No, io non posso accettare questo sacrificio; è una cosa orrenda; io devo lasciarlo e in maniera ch'egli non mi cerchi più, non mi desideri più... Non voglio far male a sua madre, che per me ha già tanto sofferto... Se morisse, ah se morisse, quale rimorso, quale vergogna!... E un giorno egli si sveglierebbe da questa follia; e tra me e lui, sempre, sempre, io vedrei il cadavere di sua madre... Bisogna che io gli impedisca di disonorarsi!

Berto, ritto in piedi, ascoltava con un senso di meraviglia la giovane, che parlava velocemente agitata da violento orgasmo; alla prima pallidezza era subentrato un rossore febbrile che le imporporava le guance, le faceva brillare intensamente gli occhi, le invermigliava le labbra dando loro un color di vivo sangue.

Tanto gli piacque così stesa nella poltrona e affondata nella candida pelliccia, che Berto si chinò ancora a baciarle le mani. Loredana lo respinse.

- Io voleva uccidermi, - proseguì, - ma sarebbe stato un nuovo scandalo; avrebbero forse accusato Filippo della mia morte.... Ah come sono maligni tutti!... Mi è stato detto in faccia che io sono la vostra amante, che la mia onestà non vale nulla perchè nessuno mi crede, che un uomo è ladro quando tutti lo dicono ladro.... Quante cose ho imparato, spaventevoli! E allora ho pensato che avevano ragione. Il solo che non dubitava di me era Filippo; egli crede al mio amore e alla mia onestà, di cui tutti ridono; e bisogna dunque ch'egli pure non creda più, perchè si salvi... Ho pensato che poiché mi dicono vostra amante, ogni sforzo è inutile, e io non potrò più liberarmi da questa accusa...

- Non parlare così, - interruppe Berto. - Ti fa troppo male...

Ella lo fissò con gli occhi sbarrati; quel «tu» le parve più brutale d'un bacio che le avesse chiuso improvvisamente la bocca; ma Berto se ne avvide, e soggiunse:

- Vi chiedo scusa; non volevo offendervi. Vi amo, e non ho saputo dominarmi.

- No, - disse Loredana, alzandosi, - mi lasci andare!

Berto osò stendere una mano su di lei.

- Ve ne prego, - mormorò, - rimanete ancora...

Loredana rabbrividì; raccolta la pelliccia, cercò degli occhi il cappello. Ma mentre stava per riprenderlo, si arrestò quasi folgorata da un pensiero.

Dove andava? A casa, sua? Filippo l'avrebbe ripresa. A casa di Filippo? La madre di lui ne sarebbe morta. E Filippo a quell'ora doveva aver già letto le poche righe che Loredana gli aveva lasciato: «Non ti dimenticherò mai; ti amerò sempre; quanto più ti parrò lontana, tanto più sarò tua....» E dopo questo, ella sarebbe tornata da lui, a capo basso, a guisa d'una scolaretta pentita, e sempre troppo tardi per essere perdonata?

Vide ancora quella maledetta femmina dai piedi caprigni, seminuda, che col braccio destro levato sembrava imporle di fermarsi. Si volse, e all'altro lato vide Berto, il quale non osava muoversi per trattenerla, non osava parlare per non impaurirla, e andava guardandola, per indovinar dal gesto di lei la risoluzione che avrebbe presa. Ella tornò alla sua poltrona, vi si lasciò cadere, non disse parola.

Seguì in tal modo un silenzio angoscioso di alcuni minuti, durante i quali Loredana e Berto si fissarono acutamente, immobili, quasi scrutandosi; ma Berto non poté resistere più a lungo, le si avvicinò di nuovo, le afferrò le mani.

- Resta! - disse con voce velata dalla passione. - Resta! Te ne scongiuro! So che non mi ami, e ciò non mi spaventa...

Egli cercava di toglierle un guanto; ella se ne avvide, e lo sbottonò con un rapido gesto, offrendogli la mano e il polso nudi da baciare; ma quando sentì quelle labbra avide sulle carni, volse il capo quasi con ribrezzo.

- No! - disse. - Aspettate!

Afferrò la coppa e la vuotò avidamente, poi la tese di nuovo a Berto perchè versasse ancora, e di nuovo bevve; ma scorgendosi nello specchio, gettò la coppa vuota a terra, dove s'infranse.

- Che cosa volete fare di me? - disse poi.

- Tutto quello che tu mi comanderai, - rispose Berto. - Io sono libero; posso partire oggi stesso, stanotte, domani, quando tu me lo chieda.

- Sì, - dichiarò Loredana. - Partiremo subito. Andremo a Roma.

Ella diede in una risata così cruda e sardonica, che Berto la guardò impaurito.

- A Roma, - ripeté Loredana. - Dovevo andarvi con Flopi; andrò con voi. Non è lo stesso? Non sono la vostra amante? Non hanno voluto che io fossi la vostro amante? Un uomo o un altro, poco importa... Perché non andiamo anche a Sirmione?... Io voglio calpestare tutto il mio passato, io voglio distruggere ogni ricordo, io voglio che non rimanga più nulla, più nulla di ciò che mi è stato tanto caro, e che mi farebbe arrossire!... Ah, voi non sapete l'orrore che io sento per la vita!...

Voi non pensate che a impossessarvi di me; lo vedo nei vostri occhi, e non capite che io non sono più viva, non capite che io vi odio, e più vi avvicinate a me e più vi odio!...

Berto non rispose, ma la sua mano che teneva la mano della giovane, allentò la stretta; egli si ritrasse, percosso dalla veemenza selvaggia di quelle parole.

- Perché mi volete? - seguitò Loredana, lanciandogli uno sguardo di sprezzo. - Io amo Filippo, e mi sacrifico per lui. Non è chiaro? Non è chiaro che io voglio perdermi per salvare lui? Non ve l' ho detto già! E ho scelto proprio voi, perchè egli mi disprezzi tanto che non mi cerchi più!... E voi vi prestate a questo giuoco?... Se io acconsentissi a diventar la vostra amante, sarebbe quello il momento in cui amerei di più Filippo, perchè sarebbe quello il sacrificio più grave che io potrei fargli... E non lo avete capito? Come devo dirvi che io non vi amerò mai?

Stretto dalla logica feroce, che sembrava dettata da quel bisogno di mordere e di distruggere onde Loredana si sentiva tutta vibrare, Berto non trovò dapprima risposta; poi ebbe la parola unica che spiegava qualunque follia:

- Ma io ti amo, - disse. - Io ti amo, Loredana; e non so altro...

La giovane lo guardò, sentendo ch'egli non mentiva; le parve sommesso e vinto, e ne ebbe pietà.

- Suvvia, - mormorò, alzandosi, - mi lasci andare!

- Dove, dove vuoi andare? - chiese Berto, movendo un passo verso di lei. - Dove vuoi andare, così?

Ella s'era avviata alla porta, senza cappello, come una pazza.

Berto la guardò elegante e sottile nell'abito tutto liscio color d'ametista, leggiadramente ornato con una lista di pelliccia scura, che le correva intorno al petto e per l'estremo lembo della gonna a guisa d'un serpentello.

Usciva, partiva, fuggiva; d'improvviso aveva sentito che il sacrificio era troppo ripugnante, che meglio era morire, riposare, non pensare più ad alcuno, e aveva ricordato il canale nero e fondo che scorreva innanzi alla casa di Berto.

L'ora, era tarda, la luce fievole, la gente rada in quella serata d'inverno. Loredana avrebbe potuto gettarsi all'acqua e affogarvi, senza che alcuno accorresse.

- Dove vuoi andare? – ripeté Berto.

S'incontrarono sul limitare e si fissarono, l'uno con gli occhi fiammeggianti di desiderio, l'altra con lo sguardo smarrito della disperazione; ma perchè essa voleva procedere, egli l'afferrò per le braccia e la rattenne. Loredana ruppe di nuovo in una risata.

Aveva in bocca il sapore di quel fango al quale s'abbeverano gli umani, di quel fango che è tutta la vita, e un'arsura insaziata le bruciava le vene, come avesse ingoiato un fuoco liquido... Qualcuno alle spalle di Berto - forse la femmina seminuda dai piedi caprigni - gli suggerì un pensiero: la giovane non si sarebbe mai decisa né a partire, né a rimanere, né a vivere, né a morire; bisognava forzarla.

Egli l'attrasse bruscamente al petto, le suggellò la bocca con la bocca dandole un bacio così lungo, che pareva, volesse beverne la vita, l'anima, il sangue; sentì che Loredana s'inclinava a poco a poco, si rovesciava indietro, e assecondò il movimento senza staccar la bocca dalla bocca agognata, e l'adagiò sul divano ampio.

 

Fine capitolo XVI (penultima puntata)

Buona lettura

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°234 pubblicato il 16 Luglio 2013 da ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

… seguito PARTE SECONDA

 

***

 

… seguito capitolo XV (seguito post 234)

 

Alcuni giovanotti alle spalle di Paolino approvarono ridendo.

- La colpa è della tua inesattezza! - rispose il Martelieri. - Tu hai detto che puoi riconoscere a occhio un'americana; e io ti ho detto che anche le donne della Patagonia sono americane. Le riconosceresti a occhio?

Il Berlendi si strinse nelle spalle.

- Allora, - egli disse. - anche tu sei stato inesatto. Tu hai detto che un'italiana si riconosce tra mille: io ti dirò che a Parigi, proprio il mese scorso, ho incontrato una ragazza che parlava il gergo come tu parli il dialetto veneziano. Ho avuto per lei «un béguin assez sérieux»; anzi, ho imparato da lei molte frasi energiche...

- Ce ne siamo accorti! - interruppe Nino d'Este.

- Ebbene, quando io la lasciai, ella mi confessò che era nata a Napoli, era sempre vissuta, a Napoli e solo da un anno si trovava a Parigi!... L'avresti riconosciuta per italiana, tu?

- Alla prima occhiata! - dichiarò il Martellieri.

- «Non, mais, faudrait pas me mener en bateau, tu sais»? - disse il Berlendi, mentre gli altri ridevano alla bizzarra espressione.

- Questa è una frase energica della parigina di Napoli, - osservò Nino d'Este, versandosi due dita di cognac. - E rimane dunque dimostrato che l'americana non si riconosce a occhio...

- Non rimane dimostrato niente, caro mio! - protestò Paolino Berlendi. - È venuto il Martellieri a imbrogliarmi con l'Orenoco e il Mississipì; ma io ripeto che l'americana elegante, non quella della Patagonia, si riconosce a un chilometro di distanza. «Si vous rigolez» è un conto, ma se parliamo da senno è un altro...

Freddo, scuro in faccia, laconico nelle parole, Berto Candriani all'angolo opposto della sala giocava alle carte con altri amici; dal loro gruppo non venivano risate né schiamazzi; ciascuno badava alle mosse dell'avversario, e le poste raggiungevano ormai una cifra di rilievo. Berto Candriani aveva il viso traversato dalla cicatrice lucida e ardente come da un formidabile colpo di scudiscio; il segno indelebile fiammeggiava dall'orecchia al labbro nel pallore stanco del viso, un pallore che sembrava più manifesto perchè dietro il Candriani si stendeva la stoffa granata che ricopriva le pareti della sala: e poco più su, era appeso un gran quadro rappresentante il ratto delle Sabine; e quei nudi vivaci, le carni ambrate delle donne, i torsi poderosi e sanguigni dei guerrieri, creavano un rude contrasto con la figura agile e la pallidezza diffusa del Candriani.

Dal giorno del duello, qualche mutazione era seguita nel suo animo; egli s'era fatto cupo e inquieto, il suo sguardo pungente era diventato più acuto, la chiassosa allegria, la sventatezza e l'impertinenza che l'avevano fatto celebre, erano scomparse. Si sarebbe detto che un pensiero molesto e pertinace andasse rodendolo; e infatti non tanto gli importava della cicatrice che gli deturpava la faccia quanto di aver perduta Loredana per la sua incredibile fatuità.

S'era svegliato come da un sogno, dopo il duello, avvertendo quasi con paura che per la giovane gli si era annidato in cuore un sentimento assai più alto e più temibile che la concupiscenza; non avrebbe voluto confessarlo nemmeno a se stesso, ma l'ingenuità mista ad orgoglio, l'appassionatezza e insieme il riserbo, l'intelligenza e l'audacia che formavano l'indole originale di Loredana l'avevano interessato e vinto. Non ignorava quel che si andava cantando dappertutto, ch'egli era stato l'amante della giovane e che perciò Filippo l'aveva provocato; e anche questo gli cuoceva insoffribilmente, non potendo parlarne troppo, perchè le sue negazioni non avevano alcun valore, e non potendo tacere, perchè il silenzio sarebbe stato una conferma. In tal modo, dentro un cerchio di tortura si dibatteva incapace a prendere una risoluzione; ora pensando a un viaggio, che lo allontanasse da uomini e da cose venutigli in uggia, ora meditando di rimanere, di riavvicinare Loredana, d'impossessarsene davvero a qualunque costo.

- Gioca, gioca! - gli disse il marchese di Spinea, guardando in faccia.

Berto giocò: era distratto e andava con la sinistra arricciandosi i baffi; di tanto in tanto gli tornava il ricordo di Loredana, che gli faceva subito smarrire il filo del giuoco; anche questa volta la partita finì con la sua sconfitta.

- Ah, ah! - disse il marchese di Spinea, mescolando le carte. - Chi è fortunato in amore...

Ma si morse le labbra; la vecchia frase, sfuggitagli per abitudine, s'attagliava così bene al caso di Berto e alle dicerie di quei giorni, che lo Spinea tossì più volte, quasi volesse far dimenticare le sue parole. Il volto di Berto s'era rabbuiato. Egli riprese a giocare scuotendo la testa fastidiosamente, ma ancora non poté raccogliere intorno al gioco tutta l'attenzione che gli era necessaria. Dal crocchio nel quale si trovavano Nino d'Este, il Martellieri, Paolino Berlendi e altri giovanotti, gli veniva di tratto in tratto all'orecchio qualche frase che lo distraeva. Gli amici parlavano a voce bassa, ma non così che Berto, avvertito dal ripetersi di alcuni nomi, non potesse afferrare il senso di ciò che si diceva intorno a lui.

La conversazione era mutata; Paolino aveva rinunziato a dimostrare che le americane si possono distinguere a occhio, il Martellieri aveva finito la sua disquisizione etnografica; si parlava di pettegolezzi, dal solito pettegolezzo che occupava tuttavia la città.

- Filippo, secondo me, - diceva Paolino Berlendi, - ha avuto il torto dei vecchi, il torto di mescolare molto sentimento alla sua avventura. Questa famosa Loredana lo ha stregato; dicono che sia molto giovane, ma dev'essere esperta negli intrighi amorosi.

- Che, che! - esclamò Nino d'Este, il quale non andava mai d'accordo con Paolino, pure essendogli amico. - Ha trovato un cucco, mi dispiace dirlo; e al posto di lei, qualunque altra, giovane o vecchia, avrebbe insaccato il povero Flopi... Le donne sono ciò che l'uomo le fa. Ti piace, Paolino, questa massima?

Paolino scosse la testa.

- Non mi piace, - rispose. - Io vorrei vedere questa famosa Loredana, per poter giudicare.

- Io l' ho vista, - annunziò il Martellieri. - L' ho vista più volte a teatro, con una certa megera tinta e ritinta, che mi pareva quella che si brucia a mezza quaresima. Ebbene, la ragazza non vale né più né meno di tante altre; è giovanissima e graziosa, ma a Venezia ne abbiamo una a ogni svolta di strada.

- Che ne dici, Paolino? - esclamò Nino d'Este trionfalmente.

- Dico che il Martellieri di donne non se ne intende, - dichiarò il Berlendi. - Egli non si intende che delle donne della Patagonia... Vorrei vederla io... E tu poi, Nino, sei in queste cose troppo secco...

- Troppo secco! – ripeté Nino d'Este. - Che cosa vuoi dire?

Paolino Berlendi esitò un istante, guardandosi intorno; ma vedendo tutte facce amiche e familiari, seguitò:

- «Ben voilà! Y a pas de ma faute»!... Certe cose si possono dire perchè son vecchie.... Per impadronirti d'una ragazza, non hai tu comprato il fondo sul quale la ragazza viveva? E poi per liberartene, non hai venduto il fondo con la ragazza dentro?

Gli amici in giro scoppiarono in una risata fragorosa, che fece alzar la testa a Berto Candriani. Egli aveva commesso parecchi spropositi e aveva nuovamente perduto; gettò le carte sul tavoliere, dicendo ai compagni:

- Vi chiedo scusa; oggi non va. Troveremo qualcuno che possa sostituirmi.

- No, no, - interruppe il marchese di Spinea. - Anche noi siamo stanchi, non è vero?

Gli altri due confermarono con un cenno del capo, e i giocatori s'alzarono.

- Questo è un po' secco, - dichiarava intanto Paolino Berlendi. - «C'est du citron à la rigolade». Io sono del tuo parere: non troppo sentimentalismo con la donna; ma dal sentimentalismo di Flopi alla tua maniera spiccia, v'è un abisso. Dico bene? «Ça te botte»?

Nino d'Este non rispose; si allungò meglio nella poltrona soffice, epicureamente, e rinunziò a difendersi; ma Berto Candriani, che era sopraggiunto, rispose per lui.

- Tu hai torto, Paolino, - egli disse. - Questa maniera secca di Nino d'Este, questo, come tu dici, «citron à la rigolade», è ciò che occorre per le donne.

Da quando erano corse le voci dei suoi amori con Loredana, Berto ostentava uno scetticismo che doveva, nel suo concetto, far comprendere com'egli non si dilettasse che di avventure fugaci e volgari, e allontanare il dubbio d'una passione per la giovane compagna di Filippo. Gli amici, i quali non avevano mai udito dalla sua bocca dichiarazioni e aforismi di tal natura, lo ascoltavano sempre un po' incerti e sorpresi, temendo ch'egli si beffasse di loro.

Ma Berto proseguì imperterrito, la sigaretta tra l'indice e il medio della destra, la sinistra affondata nella tasca della giacca:

- Non solo il sentimentalismo è ridicolo, ma è ridicolo anche il sentimento per queste specie d'animale incomprensibile...

- ....«cette espèce de cruche», - abbellì Paolino.

- ....che è la donna, - concluse Berto Candriani. - Per conto mio, senza essere un conquistatore come te, Paolino, né un dominatore come Nino d'Este, ho sempre cercato donne che si potessero mettere alla porta entro le ventiquattr'ore, e non ho avuto il minimo sentimento per alcuna, mai, in tutta la mia vita...

La dichiarazione era troppo netta ed esplicita, perchè gli amici intorno non ne afferrassero il significato; ma Paolino strizzò l'occhio, e disse ridendo:

- Come parla bene!... Io, intanto, ho trovato il Martellieri che mi ha dato torto sulla questione delle americane; trovo Berto che mi dà torto sulla questione del sentimento. Se continua così, rinunzio alla parola!...

- Ma no; tu non hai torto, - interruppe Berto. - Se ti ho dato torto, mi sono spiegato male. Io voleva dire...

Alzando gli occhi in quel punto, vide che un servo era sopraggiunto e dal suo contegno capì che aspettava di potergli parlare.

- Io voleva dire che dei due modi, il modo secco e il modo sentimentale, - proseguì rapidamente, - preferisco il primo, lo trovo più logico, più giusto, o almeno più adatto alla nostra indole. A te, Paolino, non mancano argomentazioni per difendere il tuo pensiero; specialmente se parli francese!

E mentre gli altri ridevano e la discussione si faceva più vivace, egli si avvicinò al servo e gli chiese:

- Che cosa c'è?

- Una signora desidera parlarle, - rispose il servo a bassa voce.

- Non ricevo! - disse Berto recisamente.

Ma quando il servo era già per allontanarsi, egli lo richiamò, senza ben comprendere a quale dubbio rispondesse.

- La signora è qui? - riprese.

- Sì, Eccellenza....

- Non sarà una delle solite mendicanti?

- Non mi pare.

- Che tipo è?

- E giovanissima, molto elegante, e....

- E...? - incalzò Berto.

Il servo esitò.

- E mi pare molto spaventata, - disse infine.

- Che stupidaggini ti passano pel capo? - esclamò Berto. - La farai accomodare nel salotto grigio, e le dirai che abbia la bontà di attendere un istante.

- Sì, Eccellenza.

Berto ritornò verso i suoi amici.

- Vi chiedo scusa se vi lascio, - egli disse. - Mi è stata annunziata una visita d'affari; rimanete qui, ve ne prego.

Nino d'Este s'alzò finalmente dalla poltrona.

- No, no, caro, - egli rispose. - In casa tua si sta troppo bene, e noi abbiamo fatto tardi. Ce ne andiamo.

Berto Candriani strinse la mano agli amici, e mentre questi, ancora discutendo e ridendo, uscivano in tumulto, egli si avviò verso il salotto grigio.

 

Capitolo XVI.

 

Ritta sulla soglia, appoggiato il braccio sinistro allo stipite e il viso al braccio, Loredana aspettava, tremando. Aveva avvertito un clamore di voci e di risate, poi un silenzio improvviso; guardava il salotto grigio, brillantemente illuminato dalle lampadine elettriche, e le pareva che i divani, le poltrone, le portiere molli, i cortinaggi pesanti, e una certa atmosfera tepida e profumata dessero al luogo un senso d'intimità quasi carnale. Alla sua destra ella vide un piccolo quadro di Félicien Rops, un quadro strano intitolato: «Le vol et la prostitution dominent le monde»; una femmina seminuda e un uomo a mezza maschera, stretti insieme da una fascia, posavano i piedi caprigni sul globo; ed era nel viso dell'una l'artiglio della crapula e sotto la mezza maschera dell'altro si delineava il ghigno cinico del delitto...

A poco a poco, fissando la terribile femmina, Loredana ne sentì paura; le sembrò un simbolo e un monito, e che ridesse di lei, e si movesse a lei incontro, quasi per serrarla tra le braccia.... Si volse per fuggire; ma in quell'istante la portiera che le stava di faccia fu sollevata, e Berto Candriani comparve.

Egli si lasciò sfuggire un grido.

Loredana sentì che la sua personalità l'abbandonava; aveva tanto pensato a quell'ora, a quel colloquio, che le parve di agire e di parlare come un automa, come se qualcuno alle sue spalle suggerisse parole e gesti; pensò alla femmina dai piedi caprigni, e le corse un fremito dalla nuca alle reni. Pure, mosse ella per prima, verso Berto, e gli disse con voce soffocata:

- Chi c'è di là?

- Nessuno, - rispose Berto, parlando istintivamente sottovoce. - Erano amici; sono partiti. Ma come devo interpretare questa vostra visita? Che cosa devo pensare?

Ella chiuse gli occhi e mormorò:

- Come vorrete...

 

Fine prima parte Capitolo XVI

Buona lettura.

 

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°233 pubblicato il 12 Luglio 2013 da ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

… seguito: SECONDA PARTE

 

***

 

… seguito Capitolo XIV (dal post 232)

Adolfo aveva un suo pensiero e non riusciva a esprimerlo; si fregò la fronte, si passò la mano sul cranio, si guardò intorno senza vedere; finalmente si provò a ribattere:

- Anche se è falso, importa poco, perchè quando tutti la pensano a un modo, è come se fosse vero. Mi capisci? Se uno è accusato d'essere un ladro, per andare a spasso con lui e per tenergli l'amicizia non basta credere e anche sapere che è onesto; occorre un coraggio, che io non ho, perché gli altri credono ch'egli è un ladro e io non posso essere l'amico d'un ladro.... Tu hai tutte le apparenze contro di te, e Venezia intera parla di te come d'una ragazzaccia pericolosa; e che ci posso far io?... Del resto, qualche cosa ci sarà, non può essere inventato tutto... Ma se anche non c'è nulla, proprio nulla di vero, io ho la famiglia che mi rimprovera d'amarti e di seguirti, ho gli amici che ridono, ho il direttore della Banca il quale non vuole che gli impiegati frequentino donne cattive; e come faccio io a persuadere tutta questa gente che tu non sei una donna cattiva, dopo uno scandalo di cui si parla da tanti giorni e con tanti particolari in ogni angolo della città?... Non sarà colpa tua, ammettiamolo, ma sei disonorata, ecco; e le tue proteste si perdono nel fracasso, e oramai, qualunque buona e bella cosa tu faccia, non ti potrà giovare...

Afferrò la tazza di birra, l'accostò alle labbra e non la rimise sul piattello che quando l'ebbe vuotata.

- Ma allora, - disse Loredana con un brivido di terrore, - essere innocente significa nulla?

- Significa...., significa.... So io che cosa significa? - rispose Adolfo, il quale non s'accorgeva della sua crudeltà, sbalordito egli stesso per la bontà delle facili argomentazioni. – Ciò che importa nel mondo, è di essere creduto, a torto od a ragione; anche i miracoli non servono, se nessuno vi crede.... E nessuno crede alla tua onestà... Sarebbe meglio per te essere disonesta, veramente disonesta, e che tutti lodassero la tua virtù...

Un bel fondo color d'ocra, robustamente tracciato alla brava, incorniciò nell'albo la testolina della giovane dai capelli a riflessi dorati; effetto di chiaroscuri che l'artista confrontò con l'originale, movendo il capo a destra e a sinistra, e tenendo a distanza il disegno.

- Se quell'idiota non finisce di tormentarla, - borbottò a fior di labbra, - a lui gli faccio la caricatura!

Ma Adolfo non la finiva, esaltato dalla voluttà di torturare quella ch'era stata sempre in suo confronto vittoriosa, assillato dal bisogno di calpestare e di distruggere il suo amore, cupamente soddisfatto di veder la fidanzata d'un giorno ridotta senza difesa, ebbro di ferocia contro di lei e contro se stesso...

- E poi, perchè discutere la tua innocenza? Io non ci credo, via!... È possibile che tutta una città si rivolti, così per capriccio, contro una donna, una ragazza?... Mi dirai che guadagno ci fanno quelli che parlano male di te!... Perché non parlano male di tante altre?... Io, vedi, quando mi avvertono che bisogna diffidare dei pettegolezzi, mi metto a ridere; i pettegolezzi si fanno contro quelli che se li meritano; di me non si è mai detto nulla, per esempio?... Sarà meglio non parlare della tua innocenza, la quale, del resto, se anche fosse, non varrebbe una saetta, ormai... Che cosa hai opposto alle accuse determinate e precise? Che tutto è falso! Ma questo me l'aspettavo; non verrai mica a raccontarmi i tuoi amori, a me, che ti ho amata davvero, onestamente... E avevi tanta paura del mio giudizio, che mi hai fermato per istrada e mi hai chiesto se sapevo... Ecco un'altra prova... E poi, devo aggiungere...

Loredana si alzò lentamente.

- Ti ringrazio, - interruppe con voce malsicura. - Mi hai detto cose molto utili...

Fece per avviarsi, e barcollò...

- Non ti muovere, - soggiunse, appoggiandosi a un angolo della tavola. - Voglio uscire sola...

Dopo alcuni passi incerti, mentre Adolfo la guardava con occhio spento, Loredana riacquistò forza, mosse francamente, passò vicino all'artista, il quale rimirando il pastello e la giovane, sentì d'amarli ambedue.... Adolfo rimase immobile accasciato sulla sua panca; d'un tratto, il rimorso gl'invadeva l'animo, lasciandolo con la bocca aperta, in un'espressione di smarrimento ebete.

Venne voglia a Loredana di strappar dalle mani del disegnatore l'albo in cui sapeva d'essere stata ritratta, e di batterglielo in faccia. Dovette chiudere gli occhi per vincersi.

Uscì, tra la nebbia; la nebbia era calata repentinamente, con un lieve odore di bruciato, rotta qua e là dall'alone rossastro delle fiamme a gas. E la giovane si rimise in cammino verso le Zattere, verso Flopi, che parevano le une e l'altro perduti in quella infinita distesa, densa e acre.

- Che cosa gli porto? - si domandò Loredana.

Gli portava il suo corpo, che la folla diceva mantrugiato da altri, e il disonore.

Certo egli s'illudeva, Filippo; non gli avevano cantato in faccia tutte le accuse e ignorava in qual dispregio fosse tenuta la sua amante; ella gli portava in casa il ridicolo come un fluido avvelenato. Le parole d'Adolfo Gianella erano l'eco di quella saggezza che si trova per terra, fra gli sputi e le carte unte, e si chiama pubblica opinione. Egli diceva bene: non importa essere, ma parere; quando una calunnia è ripetuta da tutti, vale una verità: il male è quel che si vede, non quello che si commette. Aforismi che uccidono; bestialità caparbia; tirannia, inappellabile della maggioranza... Ma la vita procede su questo carro della morte, e ogni giorno qualcuno cade sotto le sue ruote per un gesto sbagliato.

Loredana arrossiva di se stessa; abbeveratasi lunghe ore al torrente di fango, le pareva d'averne la bocca piena, il corpo inzaccherato, le mani macere. Come lasciarsi abbracciare e baciare da Filippo, che avrebbe notato sul volto di lei le tracce delle sofferenze patite, un solco nella fronte, un livido sotto gli occhi? Baciarsi ed amarsi tra i ghigni della platea? Tremare agli sguardi sardonici? Vivere a fianco d'un uomo che, se non si staccava presto e decisamente da lei, diventava ridicolo?

La folla s'era gettata sul suo amore e l'aveva, fatto a pezzi.

Protezione sicura e forte, confidenze gentili e fuggenti attimi di letizia, tenerezze segrete e impetuosi scoppi di passione, lunghi oblii d'ogni cosa mortale, viaggi sognati, casetta della Zattere, bel sole di Sirmione, tutto affogato nella nebbia per sempre! Voleva correre a casa e dire a Filippo:

- Tu m ' hai avuta ancora bambina, e pel tuo amore tu m' hai fatta donna. Prendimi; amami un'ultima volta; spegni fra le braccia questa vita che è tua, e non lasciar che altri uccida lentamente, per odio, colei che vuol morire per te.

E palpitava alla speranza di morire veramente in uno spasimo di voluttà che fermasse in eterno i battiti del suo cuore; delicata parvenza femminile, che camminava tra la nebbia, sorridendo all'ultimo sogno. V'era nebbia dovunque, nebbia senza forma e senza fine, dentro la quale gli uomini, a guisa di fantasmi, scivolavano e si dissolvevano; nebbia che mozzava il respiro, copriva l'insidia, guidava all'abisso. E un silenzio tragico pesava, grave come lo sterminato drappo di bambagia da cui Venezia era tutta avvolta. Loredana giunse a casa, affranta, coi capelli e il veletto bagnati dalla caligine. Domandò subito di Filippo.

Clarice le disse che il conte, un'ora prima, era accorso a palazzo Vagli perchè la contessa Bianca stava male.

E non osando aggiungere particolari, la signora Teobaldi mormorò con enfasi:

- E un «tradimento proditorio» del destino!

 

Capitolo XV

 

In quel crocchio di gentiluomini vecchi e giovani che s'erano recati da Berto Candriani a chiacchierare, a bere, a giocare, abitudine presa durante i primi giorni dopo il duello e seguitata poi per tacito consenso di tutti, il conte Nino d'Este parlava di donne. Egli stava quasi sdraiato in una larga poltrona di cuoio scuro e morbido, le lunghe gambe distese sotto la tavola, su cui disseminati piccoli bicchieri, svelte fiale di liquore, scatole di sigari e di sigarette, portacenere di bronzo e d'argento. Nel mezzo era un tripode alto, che avrebbe dovuto vaporare essenze e che Berto invece aveva coronato con una larga ciotola di Murano dal bel colore turchino, dalla quale traboccavano fiori pallidamente rosei.

Nuvole e nuvolette di fumo ondulavano nell'aria, dandole una lieve trasparenza azzurrognola entro la quale come velati apparivano i volti degli amici.

- Ho visto ieri il capitano De Sirti con una brutta signora, - disse Nino d'Este. - Ma brutta assai....

- «Faute de grives», - osservò Paolino Berlendi. - Mancanza, di tordi; e quando non ci sono i tordi, si pigliano i passeri...

Egli era tornato recentemente da Parigi e non aveva ancora smessa l'abitudine d'intercalar frasi galliche al suo discorso. Asciutto di forme, col mento breve, i mustacchi biondi, i capelli scuri, il colorito acceso, Paolino Berlendi dava impressione d'un giovane energico e attivo; possedeva infatti un'anima risoluta, ma stava sfogando l'esuberanza giovanile in occupazioni tutte intime, alla caccia di donne; più tardi, secondo ciò che andava raccontando, si sarebbe dato all'agricoltura.

- È un'americana, - egli aggiunse.

- La conosci? - domandò Nino d'Este.

- No; ma l' ho veduta, e ho capito che è americana.

Nino d'Este non poté frenare una risata.

- Non c'è da ridere, - osservò Paolino Berlendi. - L'occhio d'un conoscitore non s'inganna; a occhio, si possono giudicar benissimo la razza e la nazionalità d'una donna, e fra tutte, le americane son più facili a riconoscersi.

- Ma fammi il favore! - esclamò Nino. - Ci son delle americane piccole, rotondette, coi capelli neri e gli occhi brucianti, che tu diresti nate ai piedi del Vesuvio.... Ve ne sono altre, secche, rigide, biondastre, che possono essere inglesi, russe, norvegesi, tedesche.... A occhio, giudicherai ell'eleganza e della bellezza d'una donna, e non della sua nazionalità.

- Storie, storie! - dichiarò Paolino Berlendi. - Piccolette e rotondette, o rigide e secche, le americane si vedono a un chilometro di distanza; hanno qualche cosa di speciale nella toilette, nel passo, nell'atteggiamento, nei modi, nei gesti, che non ti inganna mai. Dico bene? «Ça te botte»?

- No, nient'affatto, non mi calza niente affatto! - esclamò Nino d'Este.

- L'americana è una donna come le altre, - intervenne Carlo Martellieri. - Tutt'al più potrai capire a occhio che non è italiana; ma questo suggello di esoticità è comune alle straniere, ossia la donna italiana si stacca dalle altre così bene che non è possibile scambiarla per una straniera.

- «Tu parles»! - disse Paolino. - Ma, caro Martellieri, con le tue parole vieni a darmi ragione; per te, è l'italiana che si può distinguere con un'occhiata; per me è l'americana. Vedi che sul principio siamo d'accordo.

- Sfido io! L'italiana è roba di casa, roba nostra, - interruppe il Martellieri. - Come non riconoscerla tra mille? L'affare è ben diverso allorchè si tratta d'un'americana; e innanzi tutto, di quale americana tu mi parli? Dell'americana del nord o dell'americana del sud? Paolino Berlendi, che non s'aspettava una distinzione etnografica, si sentì impacciato a rispondere; e il Martellieri, giovane e pedante, con la voce acuta che gli fischiava tra le labbra, approfittò di quell'attimo di silenzio per incalzar più da vicino l'avversario:

- Dirò meglio: intendi parlare dell'americana del nord, del centro, o del sud? Quale americana tu riconosci a occhio? Quella nata in Patagonia, nel Cile, nell'isola di Haiti, nel Guatemala, nell'Argentina, a Filadelfia, a Baltimora, ad Avana, a Buenos-Aires, a Lima, a Quito, a Cuba? Quella che vive al Capo Horn, o quella che è nata ai piedi delle Cordigliere o presso il mare dei Caraibi?

Paolino Berlendi stava, ad ascoltare a bocca aperta, sbalordito; intorno a lui altri giovani si erano radunati e ascoltavan pure, sorridendo con la sigaretta tra le labbra.

- Come si vede che ha viaggiato! - mormorò qualcuno ironicamente.

- Quella, - continuò il Martellieri quasi recitasse una lezione, - quella che la Terra del Fuoco ha visto nascere, o quella che passeggia lungo le rive dell'Orenoco, o quella che va a caccia sulle Montagne Rocciose? Quale americana, insomma? L'America si stende per circa quindici mila chilometri tra l'Oceano Atlantico ed il Pacifico... Paolino Berlendi si alzò di scatto, e calò un pugno sulla tavola...

- Quella, quella, quella! - interruppe. - «Tu ne me fais pas crême, va»! Mi par di essere a scuola! Per americana, io intendo quella che si vede in Piazza San Marco, nelle sere di concerto! Una risata clamorosa accolse la dichiarazione di Paolino Berlendi, il quale, senza badarvi, continuò:

- Certo, non nego che ci passano essere delle donne in Patagonia, ma non vengono a Venezia! E che c'entra l'Orenoco e che c'entra il mare dei Caraibi?...

 

Fine Prima parte Capitolo XV

Buona lettura

 

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°232 pubblicato il 03 Luglio 2013 da ciapessoni.sandro

L’ AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

 

… Seguito SECONDA PARTE

 

***

 

Capitolo XIII (seguito del post 231)

 

Per le calli e le callette per le quali la plebe, il popolo, la borghesia si dan di gomito e i ragazzi sgusciano da ogni parte e la gente va, accodata qualche volta a una coppia lenta e pigra, che sbarra tutta la strada, Loredana si recò da sua madre.

L'alito di quella vita intima le soffiava in volto; finestre di case spianti le case di faccia; dalla soglia d'un negozio dov'erano appesi stoccafissi secchi, le parole e le bestemmie che al suo passaggio si tramutavano in madrigali grossolani; più là, in alto, un'esposizione di panni variopinti e teste di donne che si affacciavano a guardarla; per quest'altra calle, un facchino rotolante una botte vuota e il codazzo di monelli che correvano a dar mano per arrestare d'un tratto il viavai e obbligare i passanti a farsi contro il muro o a ripararsi dentro le porte. Una baruffa di femmine armate di ciabatte, lo scialle scivolato dagli omeri raccolto sotto il gomito sinistro, e una bordata d'ingiurie metaforiche furono, presso la sua casa, gli ultimi incidenti della corsa; e Loredana salì, l'anima chiusa da una malinconia infinita. Era stanca.

Lo spettacolo della miseria morale e materiale del popolo non l'aveva mai colpita come in quel giorno in cui il suo cuore era vinto da uno sconforto immenso. Tutta la vita non le pareva se non una trama di dolori, di cose turpi e infami, di giunterie e di volgarità, un torrente di fango al quale gli uomini devono abbeverarsi. L'illusione li sorregge un poco e li guida; poi d'un tratto l'orribile sapore avvelena la bocca e i bevitori si svegliano allo sconcio inganno.

Anche in casa di sua madre, non sapendo raccapezzarsi tra le mille storie che correvano le vie, le amiche avevano filato caligine; tanto che se non fosse stata la ritrosia e quasi il pudore di varcar quella soglia, la signora Emma sarebbe andata lei da Loredana a chieder notizie. La giovane raccontò a sua madre tutto quello che era seguito: Emma impallidì, quando apprese che Filippo aveva pianto.

- Ahi, povera mia Lori! - esclamò. - Non hai avuto un'ora di bene, non un giorno di pace, dacché hai abbandonato la tua casa!... Ah, Lori, Lori, quale rovina! E doveva finire così; il conte non può resistere più a lungo, non può disconoscere sua madre per te!...

- Parole inutili! - interruppe Loredana. - Se veramente non avessi fatto altro che soffrire vicino a lui, non soffrirei tanto ora! Sono stata felice, felice, capisci?... Che dirti?... Sono felice anche oggi, che egli è con me.... Sono stata felice sempre, perchè egli era forte, e avrebbe vinto! Mi guardi? Non sapete amare, e non mi comprendete!... Flopi sapeva amare; ma l' hanno ferito, infangato, tormentato, e non può più lottare... E quel Candriani, quel maledetto!... C'è una sola buona cosa in tutto questo, vedi, mamma?... C'è che Flopi gli ha dato una sciabolata spaventosa...

- È dunque vero? - interrogò Emma.

- Una sciabolata così pesante, così piena, che lo ha sfigurato per sempre. Ne ho piacere: gli ha tagliato la faccia dall'orecchio al mento... Vada, ora, a fare il bello con le donne degli altri! Ah, di Flopi e di me non può più dimenticarsi! Ne ho piacere, ne ho proprio piacere!

Emma non disse nulla. Si poteva perdonare alla giovane la ferocia di quel compiacimento per l'umiliazione d'un nemico insidioso.

- E oggi? - chiese dopo una pausa. - Il conte è sempre così triste?

- Stamani ha ricevuto una lettera anonima carica d'ingiurie sciocche, e ciò l' ha fatto ridere.

Ma è un altr'uomo; conta le ore che mancano alla guarigione, perchè vuol partire; gli amici lo disturbano, è nervoso e irascibile; sembra abbia paura della città, di se stesso, di qualche cosa ch'egli medesimo non sa.

- Vuole partire? – ripeté Emma. - E dove andrete?

- Io non partirò, mamma! - dichiarò Loredana con calma. - Egli s'illude che io l'accompagni, ma ho riflettuto in questi giorni, e ci son troppe cose contro di me. Per causa mia ha perduto una grossa eredità, la sua famiglia vuole che sposi una contessina, e questa contessina lo ama. Vedi quante difficoltà che già esistevano... Mi ha raccontato tutto il conte Candriani, una sera a teatro; io credeva lo avesse fatto per leggerezza, ma ora comprendo che aveva il suo scopo; non me ne ha risparmiata una, per allontanarmi da Flopi; e oggi devo aprire finalmente gli occhi.

- E che cosa farai, Lori?

La giovane chinò il capo fissando a terra le piastrelle bianche e rosse, che un raggio leggero di sole illuminava dolcemente.

- Te lo confesso: avevo pensato d'uccidermi.... No, no, non ti spaventare, mamma! – disse con rapidità, vedendo che sua madre era diventata subitamente pallida. - Non lo farò mai, te lo giuro, non lo farò per te, e anche per lui... Vi accuserebbero della mia morte; ho capito anche questo.

- Ascoltami, - interruppe Emma, che passatasi una mano sul volto andava rimettendosi dal primo impeto di paura. - Marta, la Serrantoni, mi ha detto che Adolfo Gianella ti segue ancora, e che un giorno vi hanno visti insieme, e che è sempre innamorato di te...

- È vero; quella pettegola sa tutto! - esclamò Loredana.

- Marta mi ha detto che è diventato buono, che ha perduto la sua alterigia stupida, - insistette Emma, - Ha compreso ch'egli ti trattava male, e insomma...

- E insomma ha cominciato ad ammirarmi quando sono scappata con un altro! – seguitò crudamente la giovane. - Ah, un bel marito sarebbe!...

Emma, con un sospiro, emise una sentenza suprema:

- Gli uomini sono tutti così!

Loredana alzò le spalle.

- Del resto, - disse, - è possibile che io viva a Venezia, moglie di Adolfo Gianella e a due passi da Filippo? E che egli non mi cerchi, e che io non cerchi lui? Noi ci amiamo sempre, tra di noi non è avvenuto nulla, e l'una è pronta a sacrificarsi per l'altro.... In queste condizioni, mi vedi moglie onesta e fedele di Adolfo?

- Hai ragione, - rispose Emma. - E che hai pensato dunque?

Mentre era per rispondere, Loredana scorse sulla mensoletta di legno scolpito la piccola figura di biscuit, una pastorella settecentesca con un canestro infilato sul braccio e un piccolo fiore nella destra che offriva. La giovane si alzò a prenderla e la fissò attentamente.

- «Ti ricordi, - sussurrò la pastorella, - ti ricordi che cosa egli ti diceva all'orecchio con la voce ardente, mentre tu mi guardavi come oggi? «Vieni; vieni con me; noi potremo essere felici; io ti darò tutto l'amore e tutta la vita». E tu hai preso tutto il suo amore, e oggi puoi prendergli tutta la vita».

- No! - interruppe bruscamente Loredana.

Allentò il pugno, e la figuretta, cadendo a terra, si frantumò con sordo rumore.

- Che fai, Lori? - esclamò Emma stupita.

Ma non ebbe tempo a ripetere la domanda.

Un clamore furibondo salì dal campiello; le femmine s'erano avvinghiate e volavano pettini, schiaffi e ciabatte; si battevano per un maschio, il quale stava a guardarle come giudice di campo, preparandosi a intervenire quando gli fosse parso opportuno. Le finestre delle case disposte intorno a rettangolo erano gremite di teste, e piovvero di là scherzi atroci e incitamenti, fin che la più giovane virago ebbe la peggio e si rovesciò in terra con un colpo sordo. Allora il giudice intervenne: lasciò andare alla vincitrice un ceffone formidabile in piena faccia, che le fece sprizzar dal naso uno zampillo di sangue.

- A casa! - ordinò. - Va a casa, senza voltarti indietro!

L'altra si mise a correre, urlando contumelie prodigiose, mentre la vinta si rialzava, si ripuliva, raccoglieva lo scialle, cercava in terra il suo pettine, e rideva, tutta accaldata, le fiamme negli occhi, i capelli nerissimi diventati una selva di groviglie. Dietro i vetri d'una finestra, Loredana aveva seguito le fasi dello spettacolo immondo, e tra i curiosi, in un gruppo di scialletti che spiccavano sul colore meno intenso dei pastrani maschili, vide Adolfo Gianella il quale guardava in su, verso la casa.

- Me ne vado, - annunziò Loredana. - Addio, mamma; ho fretta!

Baciò sua madre, infilò la pelliccia, corse per le scale, fu in istrada.

Faceva freddo, nonostante il sole pallido, e soffiava la bora; la folla s'era diradata, ma Loredana sentì che i passanti la guardavano, e parendole che ciascuno sapesse la sua storia, temeva in ogni sguardo una maraviglia oltraggiosa. Corse per raggiungere Adolfo Gianella, il quale s'era avviato egli pure e la precedeva di poco.

- Adolfo! - chiamò, quando fu a un passo da lui.

Egli si volse; aveva le mani affondato nelle tasche del soprabito, il bavero alzato fino alle orecchie. E vedendo che la squadrava da capo a piedi, senza salutare, Loredana si sgomentò.

- Non mi aspettavi? - chiese dolcemente.

- No, - rispose Adolfo, - non ti aspettavo; non ti aspetto più!

La giovane non osò chiedere altro; ma Adolfo repentinamente s'infuriò, l'afferrò per un braccio, la scosse.

- Per carità! - disse Loredana sbigottita, guardandosi intorno. - Sei pazzo?

Egli si ravvide subito.

- Andiamo! - riprese. - Bisogna che io ti parli!

Camminarono presto, in silenzio, portando il peso della muta ironia balenante negli occhi di quelli che li incontravano o si fermavano a guardarli. Loredana non interrogò; andavano, chiusi nel loro pensiero tempestoso, in preda a mille dubbi salirono il ponte di ferro, gettarono una occhiata al Canalazzo verdastro con chiazze gialle, oltrepassarono l'Accademia, e ad un tratto Adolfo disse:

- Entriamo qui. Non ci sarà nessuno.

 

Capitolo XIV.

 

Loredana alzò gli occhi a guardar la piccola trattoria, deserta perchè gli artisti e gli impiegati che la frequentavano avevano da tempo finita la loro colazione; e tuttavia, mettendovi piede, la giovane provò una molestia indicibile, parendole ridicolo o sospetto quel colloquio, in quel luogo, a quell'ora. In un angolo, innanzi a una tavola nuda, un giovane ricciuto disegnava a pastello nel suo albo; distratto dal fruscìo delle gonne e della seta, drizzò la testa e quando Loredana fu seduta all'angolo opposto della sala, in faccia ad Adolfo, il giovane voltò pagina, e gettando rapide occhiate si provò a ritrarne la figurina elegante, strana sul fondo tenebroso dell'osteria.

Un cameriere portò due tazze di birra, e si ritirò in una cameretta attigua, dove lo aspettava una colazione molto in ritardo.

- Che vuoi dirmi? - interrogò Loredana.

- E tu, - domandò a sua volta Adolfo, - perchè mi hai chiamato?

- Non so; ti ho visto, ho voluto chiederti se sapevi.... che cosa pensavi...

- Che cosa penso? - cominciò Adolfo rapidamente, a bassa voce. - Di questa nuova storia?

Hai la sfrontatezza di chiedermelo?... È inutile che tu mi guardi con gli occhi sbarrati; so bene che non confesserai.... Il conte ti ha trovata con un altro, e si è battuto in duello con lui.... Per la politica, no, non si sono battuti!... È dunque per gelosia.... Ma che gelosia! Quell'altro.... come si chiama?... il conte Candriani, veniva a casa tua tutti i giorni, e tu andavi anche a teatro con lui.... Si capisce che cosa è accaduto: un bel giorno siete stati sorpresi, ecco, presi in trappola.... Ma sì, ma sì, non crollar la testa con tanta furia!... Non mi sarei mai immaginato un orrore simile; sei una viziosa senza pudore.... E mi domandi che cosa penso!... Mi meraviglio che tua madre ti accolga ancora in casa sua.... L'amore per il conte si capiva; dico, si poteva anche scusare; eri inesperta e lui una vecchia volpe.... Ma il Candriani, il secondo!... Due uomini: avevi due uomini, due amanti! Come si spiega?

- Ora se la mangia! - pensò l'artista, che all'altro angolo seguitava a disegnare e a sogguardare.

Egli capiva che il biondo era invelenito, e non poteva afferrarne una parola. Gli occhi cerulei di Adolfo schizzavano lampi e da rosea la faccia era divenuta pallida; pure, si conteneva, non alzava la voce, dicendo a frasi tronche, alla rinfusa, tutto quel che gli passava pel capo.... E Loredana ascoltava, la gola arsa, il cuore in tumulto per lo spavento.

Non la calunnia la impietriva, ma lo stupore per quella calunnia così lata, così precisa, così diffusa, così verosimile, che l'avvolgeva e la teneva nelle sue spire inesorabilmente. Adolfo, l'innamorato fino alla cecità, non aveva alcun dubbio, non sognava nemmeno che l'accusa potesse essere tutta falsa.... Due uomini si battono per una donna; essa è l'amante dei due che se la disputano a prezzo del loro sangue; ciò è logico, e però è vero; la verità non si discute.

- Forse per questo mi hai detto che ora vali più di due milioni? - seguitò Adolfo. - Non ho capito, allora, ma sotto quella frase doveva nascondersi qualche brutto segreto, e tu ne ridevi.... E così, si sono battuti per te; sarai contenta!... Uno scandalo, uno scandalo!... Io mi seppellirei vivo; tutti corrono a raccontarmene una; a casa non posso aprir bocca; mia madre ti chiama con certi nomi, e se ti difendo ridono di me.... Hanno sempre avuto ragione i miei cugini, dicendomi che quando una ragazza si mette per una cattiva strada.... Insomma, io scapperò, perchè non voglio più vederti.... Ed ero ancor pronto a sposarti pochi giorni sono, perchè io, io solo ti credevo onesta, a dispetto di tutto e di tutti; l'amore del conte, un fallo giovanile, si scusava, si spiegava.... Ma ora; ora sei la favola di Venezia...

- Guarda che bel nasino e che bella bocca! - pensò l'artista, dando un'occhiata a Loredana. - E il biondo me la rovina con quelle sue prediche. È geloso, l'amico; lei gli ha giuocato un tiro; te ne giocherà degli altri, sta tranquillo.... È un tipetto capriccioso...

- Basta, basta! - interruppe Loredana sottovoce. - Ciò che ti hanno detto è falso, dalla prima all'ultima parola.

- Già è falso, - rispose Adolfo dopo un attimo d'esitazione, perchè la voce velata e lo sguardo smarrito della giovane l'avevano scosso. - È falso; si sono battuti per la politica, non è vero?... Quello che ti dico io, è quello che dicono tutti...

- E che importa? È falso! – ripeté Loredana.

 

Fine prima parte Capitolo XIV

Buona lettura

 

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°231 pubblicato il 24 Giugno 2013 da ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore Luciano Zuccoli

 

Immagine:

Tipica calle veneziana.

 

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… Seguito SECONDA PARTE

 

***

 

… seguito Capitolo XI (da post 230)

 

- Me l'aveva fatta grossa, - mormorò poi.

- Sai che è un caposcarico; potevi parlargli e persuaderlo a non molestare la tua amica. E anche la tua amica, via, confessiamolo, doveva essere più prudente, metterlo alla porta alla chetichella e non dirtene nulla.

Filippo scosse la testa.

- Loredana non ha alcuna colpa, - ribatté. - È abituata a dirmi tutto; e se l'avesse messo alla porta, io non me ne sarei avveduto e non avrei chiesto spiegazioni? Era il solo che veniva a trovarci, e ci voleva poco ad accorgermi che non c'era più!... E la mamma e lo zio, che cosa dicono?

Il conte Alvise fece un altro gesto in aria, più desolato del primo.

- Non ne parliamo, caro Flopi!... Credo che Roberto pensi a fondar col suo denaro un istituto di beneficenza...

Filippo sorrise.

- Gliel' ho consigliato io! - disse.

- Bravo! - esclamò Alvise. - Non ti conoscevo come benefattore dell'umanità. Quanto a tua madre, povera donna, questo è un colpo, è un colpo grosso... Sai le sue idee, anche in materia di duello; e qui poi si tratta d'un duello inutile, d'uno scandalo gigantesco.

- Povera mamma! - disse Filippo, meditabondo.

- Dovresti scriverle chiedendola perdono, - suggerì Alvise. - Non ti risponderà, ma la lettera la calmerà un poco, e servirà a prepararti un colloquio.

- Le scriverò; è una buona idea, - dichiarò Filippo. - Quanto a colloqui, non ne avremo: essa mi chiede ciò che io non voglio concederle, l'allontanamento di Loredana. Non voglio e non posso: tu capisci che se oggi, quando è aggredita da tutta una folla, da tutta una città, mettessi Loredana sul lastrico, sarei un farabutto...

- È giusto, - convenne Alvise.

Altri amici sopravvennero, e Filippo li interrogò, e da ciascuno ebbe la conferma che lo scandalo dilagava, che in alto e in basso, nel salotto e nell'osteria, ancora non si parlava se non del duello; qualche amico più addentro nella confidenza di Filippo ripeté, attenuando, i discorsi che correvano, e anche attenuati, specialmente per Loredana, erano oltraggiosi e provocanti...

Le visite si susseguirono fin quasi all'ora del pranzo; e Filippo ne uscì in uno stato di fredda disperazione. Piegò il capo sul braccio sinistro appoggiato alla tavola, e restò immoto a pensare.

 

Capitolo XII

 

A pensare; ma non seppe mai quanto rimanesse in quella positura.

Lievemente, con un passo che il tappeto smorzava del tutto, Loredana entrò nello studio verso le otto, per chiamar Filippo a pranzo. Ella sorrideva, perchè da qualche giorno era certa della guarigione dell'amante, e quel viaggio a Roma, di cui s'era parlato, le piaceva molto. Intorno a Roma avevano ricamato mille fantasie l'estate innanzi, a Sirmione, poi non se n'era fatto più nulla per le vicende susseguite.

Loredana si fermò di botto sul limitare, e fu per mandare un grido.

Filippo era seduto, con la testa reclinata sul braccio, immobile.

La giovane accorse, gli toccò una spalla, ed egli alzò il capo sussultando.

- Che c'è? - disse.

Loredana vide ch'egli aveva gli occhi lucidi di lagrime, e ne rimase sbigottita.

- Hai pianto? - chiese. - Flopi, hai pianto? Che cosa è avvenuto?

L'amante scosse la testa, infastidito e confuso.

- No, no, - disse, - non ho pianto...

- Sì, hai gli occhi rossi e umidi... Che cosa è avvenuto, in nome di Dio?

Filippo si alzò, fece un giro per la camera, silenzioso, mentre Loredana lo guardava attonita, quasi non lo riconoscesse; ella avrebbe potuto immaginare nei suoi sogni qualunque cosa strana, ma non avrebbe immaginato mai di dover vedere un giorno il viso di Filippo bagnato dalle lagrime; questo spettacolo superava tutto che di più orribile e di più straordinario ella poteva sognare...

- Dimmi che cosa hai! - insistette. - Per carità, Flopi, non farmi morire di spavento; rassicurami, dimmi una parola, non esser crudele a questa maniera...

Filippo s'arrestò nel bel mezzo della camera.

- Che cosa ho? - disse. - Non ne posso più, ecco! Ho tutta la città contro di me, tutti i parenti, tutti gli amici, tutti gli sconosciuti, tutti gli sfaccendati, tutti, i ricchi e i poveri, i buoni e i cattivi, tutti sono contro di me. Questo duello ha sollevato uno scandalo senza esempio, e ha coperto di fango me e te. Io sono un vanesio che compromette le donne, un «trombone» come dicono a Venezia, e tu una sgualdrinella, e i nostri nomi sono popolari... Ah sì, popolari ormai!...

Nelle taverne ci conoscono come nei palazzi, e non abbiamo uno, un solo che ci difenda! Hai capito, Lori, che cosa ho? Un uomo non può combattere contro la folla; sono stritolato da una tempesta che ho sollevato io; non mi posso muovere, perchè la folla son tutti e non è nessuno.... Chi prendere? A chi chiedere ragione? Che cosa devo fare? Io non lo so; Priùli mi ha detto di fare un lungo viaggio, e sta bene, ma poi? Dovremo tornare, non potremo viaggiar tutta la vita, e rimettendo il piede a Venezia, io sarò il «trombone» e tu la sgualdrina... È odioso, Lori! Non mi sono mai perduto d'animo, non ho mai piegato, fin che si trattava di discutere coi parenti; ma oggi non so dove dar la testa, perchè ho di fronte una città, l'intera città, ti dico, nella quale i pettegolezzo è un'arte, la sola rimasta a questi cialtroni. Capisci, Lori, che cosa ho? Non ne posso più, non ne posso più, non ne posso più!...

Loredana, aveva capito; aveva chiaramente e interamente capito.

Dopo il primo senso di terrore e di smarrimento, la giovane stava come agghiacciata, rigida e muta. Aveva compreso; Filippo era vinto; non si poteva chiedergli di più; perduta la famiglia, aveva resistito; perduta una fortuna, aveva resistito. Ora, davanti al ridicolo, davanti ai ghigni della moltitudine, davanti alla gazzarra, allo scandalo osceno, davanti al disonore - non lo accusavano di compromettere le donne? - Filippo era vinto, e piangeva. Lei, con la sua leggerezza incredibile, lo aveva lei con le sue mani spinto in quell'abisso.

Ella rimaneva a testa china, le braccia pendenti lungo il corpo.

Filippo la vide e le si avvicinò.

- Scusami, - disse. - Scusami, Lori. È stata una debolezza imperdonabile, la mia; non dovevo affliggere anche te. Ora è passata... Faremo un lungo viaggio, ti piace? Prima a Costantinopoli, e là poi decideremo dove andare: io posso rimanere assente anche due, tre anni. Odio Venezia, ormai, non mi ci posso più vedere! Non mi rispondi, Lori?

Ella non rispondeva: aveva capito e stava pensando che cosa dovesse fare, che cosa il suo amore chiedesse da lei, e tutto le pareva orrendo. Cercava dentro il cuore l'energia per il domani, e sentiva il cuore gelido, come pervaso repentemente da un veleno mortale.

- Non mi rispondi? - chiese Filippo di nuovo. - Guardami, non sono più triste; ha ragione Priùli: un lungo viaggio ci farà dimenticare, e intanto saremo felici. Condurrò con noi anche la Teobaldi, il povero folletto, e la faremo cantare... Che ne dici, Lori?

Ella non rispondeva. Il suo amore era finito. Bisognava far qualche cosa, non si poteva accettare il sacrificio ultimo dell'uomo che aveva sacrificato già tanto; l'amore, l'amore vero, voleva da lei qualche cosa di più.

- Va bene, - disse fievolmente, per dire. - Va bene, Flopi. Ora guarisci, perchè non puoi partire così; e dopo decideremo tutto... Va bene... Sì, anche Clarice; la faremo cantare...

Tacque subito per non dare in uno scoppio di pianto, in un urlo di dolore.

- È tardi, - soggiunse. - Andiamo a pranzo...

A tavola li aspettava, come al solito, la signora Teobaldi, la quale aveva preparato un discorso intorno a certe opere che si davano alla Fenice, e voleva esprimere alcuni giudizi categorici sulla musica moderna, sulla morte del bel canto... Ma rimase esterrefatta vedendo Lori e Flopi; il conte pallido come un cadavere; la ragazza pareva intormentita. Mangiarono in silenzio, senza guardarsi; Filippo e Loredana anzi, dimenticavano spesso di mangiare e restavano con gli sguardi perduti nel vuoto. Piero cambiava le posate, senza che il conte avesse toccato cibo; anche Piero era costernato per quello spettacolo di tristezza. Certo, era avvenuta qualche sciagura; ma dove, ma quando, se proprio quel giorno nessuno era uscito di casa, se proprio quel giorno non era arrivato nemmeno un telegramma? Il conte aveva di tanto in tanto un fremito subito contenuto; ripensava alla folla che correva le strade, trascinando il suo nome e il nome di Loredana; gli pareva d'udir le sghignazzate degli oziosi maligni... La fanciulla, inerte, con un gran freddo dentro, si rivolgeva alcune domande angosciose, alle quali non trovava risposta.

Subito dopo il caffè, il conte le baciò la mano e si ritirò.

Clarice e Loredana rimasero sole, innanzi alla tavola, che Piero, interamente smarrito, aveva dimenticato di sparecchiare. Un grande silenzio, un silenzio d'angoscia invase la sala; non si udiva fuori se non la cantilena monotona della pioggia che cadeva fitta e instancabile da più ore.

- Contessa, - mormorò Clarice con voce supplichevole. - Contessa, mi dica...

Ma Loredana rabbrividì da capo a piedi, come un' aspide l'avesse morsa. Guardò la vecchia amica dalle terribili sopracciglia al nerofumo, la buona donna che le era sempre stata al fianco, i tristi giorni e i lieti. Una raffica di vento sfiorò la casa fra le tenebre e fece traballare i cristalli alle finestre. La giovane stese le braccia nel vuoto. Perdutamente, con uno scoppio di pianto, disse:

- È finita!... È finita!... È finita!...

 

Fine Capitolo XII

Buona lettura.

 

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°230 pubblicato il 12 Giugno 2013 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

 

Immagine: Duello!

Filippo e Berto:

 

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… seguito SECONDA PARTE

 

***

… seguito capitolo X (dal post 229)

 

- Loredana, - sussurrò, - io le domando perdono; io non credeva di... Ma dovette troncare. Loredana era scattata in piedi nuovamente; pareva davvero una viperetta, con la testa dritta e gli occhi sfavillanti:

- Vada via! - gridò. - Vada via; non mi tocchi! La disprezzo, gliel' ho detto. Vada via, vada via subito!...

Berto si ritrasse.

- Vada via subito! - incalzò Loredana. - Non voglio più vederla! Vada via subito, o chiamo!

Il tono perentorio, la voce squillante, il fremito visibile che agitava la fanciulla, fecero comprendere a Candriani ch'era impossibile resistere; se avesse osato una parola o un gesto, Loredana avrebbe chiamato il servo o Clarice, facendo uno scandalo. Berto camminò a ritroso fin sul limitare, s'inchinò, uscì.

La giovane stette in ascolto qualche poco, indi si abbandonò sul divano, tuffando il volto tra i cuscini. Ella rimase in tal positura, immobile e con gli occhi asciutti, sforzandosi a pensare, fin che non udì nell'anticamera i passi di Filippo che rientrava. Allora balzò in piedi, si diede una occhiata nello specchio, afferrò un libro che giaceva sulla tavola e finse di leggere.

Filippo entrò:

- Buona sera, piccola, - disse.

- Buona sera, Flopi. Ti sei divertito?

- No, per niente. E tu, che cosa hai fatto?

Un brivido passò nell'anima di Loredana; chinato il capo di nuovo sul libro, mormorò con indifferenza studiata:

- Nulla. È venuto il Candriani a trovarmi...

- Berto? - esclamò Filippo stupito. - A che ora?

- Alle cinque e un quarto, o alle cinque e mezza, non ricordo.

- E che cosa voleva?

- Era passato a prenderti per andare dalla contessa Lombardi.

- Ma è impossibile, Lori; pensa bene a ciò che dici! - esclamò Filippo.

Loredana s'impaurì; impossibile? perchè era impossibile? - Ha detto così, - ella insistette.

- Ma dalla contessa Lombardi dovevamo trovarci più tardi, - osservò Filippo. - E infatti è venuto, mi ha visto, e non mi ha detto ch'era stato qui. Tutto questo è stranissimo...

Tacque; s'avvicinò all'amante, ancora seduta sul divano, e la scrutò attentamente.

- Tu sei molto agitata, - soggiunse. - Mi nascondi qualche cosa...

Loredana si sentì morire. Che cosa poteva credere Filippo? Bisognava raccontar tutto?...

Alzò il capo, e disse, disperatamente:

- Io, il Candriani, non voglio più vederlo!

Filippo sussultò, l'attirò al petto, e baciandola rispose con calma:

- Ho capito. Non lo vedrai più!

 

Capitolo XI

 

Il conte Filippo Vagli e il conte Berto Candriani, col pretesto d'un diverbio politico, si batterono alla sciabola tre giorni dopo la visita di Berto a Loredana. Al Candriani toccò un colpo di figura interna, che partendo dall'orecchia destra, gli tagliava il naso, le labbra, il mento; Filippo, a causa dell'incontro avvenuto in quell'attimo, ebbe una sciabolata all'avambraccio destro, lunga ma non profonda.

Loredana quando vide in quel pomeriggio freddo e nebbioso tornar Filippo col braccio al collo, diventò come pazza; correva da una camera all'altra, gridando e piangendo; era stata lei la causa del duello; Flopi s'era dovuto battere per lei; ella era la sua maledizione; già tanti danni aveva avuto dal suo amore, già tanti dispiaceri, e oggi anche un duello, una ferita, oggi anche il sangue aveva dovuto dare! Il chirurgo che accompagnava Filippo le assicurò che la ferita del conte non era grave;

Filippo e Clarice furono attorno alla giovane per confortarla; ma essa era così sbigottita, coi capelli sciolti e gli occhi dilatati dallo spavento, che il medico dovette occuparsi prima di lei che del suo ferito.

A poco a poco, quasi svegliandosi da un terribile sogno, Loredana si rimise e cominciò a credere che Filippo non fosse minacciato da morte imminente. Ma non appena il chirurgo si congedò, essa volle udire il racconto della scena, e Filippo dovette raccontare, mentre Clarice Teobaldi pensava alle più belle pagine del teatro melodrammatico.

- La conclusione si è, - terminò Filippo, - che io intendo partire non appena mi sarà possibile. Questo duello farà troppo chiasso. Andremo a Roma a passar l'inverno: lasceremo qui Clarice a vigilare la casa, e torneremo a primavera... La signora Teobaldi sentì il dispiacere del futuro distacco, temperato dalla soddisfazione di quell'incarico di fiducia, e pensò che Filippo era veramente un eroe.

- Mi dispiace per Berto, - soggiunse il conte. - Gli è toccato un colpo crudele, ma non potevo misurarlo. Del resto, la lezione gli insegnerà a tener la lingua tra i denti.... e a rispettar l'amicizia.

Filippo non s'era ingannato, prevedendo che il duello avrebbe fatto chiasso. Per tutto il giorno dovette ricevere amici nel suo studio, i quali venivano ad assicurarsi che non era gravemente ferito. In città il fracasso era enorme, e quelli che ne sapevano meno erano i più esatti e più sicuri nel raccontar particolari. Non si trattava del solito pettegolezzo, qualche volta campato interamente in aria, sempre mormorato con grazia; era un'onda di ciarle e di commenti fragorosi che dilagava per tutto, nei caffè, nei teatri, nei salotti.

L'aristocrazia veneziana, la quale conta forse i nomi più classici del mondo, s'angustiò per quell'incidente di cui si sapevano anche le cause, perchè il pretesto del diverbio non aveva ingannato nessuno. Da anni a Venezia non avvenivano duelli se non tra giornalisti; una cordialità simpatica legava i signori l'uno all'altro, e la più squisita cortesia presiedeva ai loro convegni, tanto che al momento di trovare i padrini, Filippo e Berto avevano incontrato non poche difficoltà, perchè gli amici di quello erano amici di questo; Filippo aveva scelto due ufficiali di marina giunti da poco a Venezia, e Berto due ufficiali di cavalleria che stavano a Padova. Il conte Roberto e la contessa Bianca furono costernati all'annunzio; né l'uno né l'altra avrebbero immaginato che Filippo giungesse a tanto per la «monella»; e l'uno e l'altra, d'intesa, fecero comprendere la loro riprovazione ostentando di non voler parlare dell'accaduto e trascurando di chiedere notizie del nipote e del figlio.

Era lo scandalo; lo scandalo aperto, irrimediabile, gigantesco; perchè sapendo che Filippo si era battuto per una donna, e non già per la politica come voleva dare a intendere, nessuno pensava che questa donna non l'avesse tradito, ch'egli non l'avesse sorpresa fra le braccia del Candriani, ch'egli insomma non avesse fatto una brutta figura. Il nome di Loredana correva per le strade, e la curiosità interribiliva. Loredana! Chi era? Dove l'aveva trovata? Che cosa faceva prima di darsi al conte? Era quella del bagno di latte e delle fragole? Ah era quella! Allora la medesima che una sera al teatro Goldoni civettava col Candriani; che sfrontata! Mantenuta dell'uno, andava a teatro con l'altro!

Filippo spendeva un patrimonio per coprirla di seta e di gioielli ed essa lo ricompensava a questa maniera; la colpa era di Filippo, che doveva aver perduto la testa. Chi l'avrebbe detto, lui così pronto una volta a cambiar d'amanti, così garbato e accorto, così scettico ed egoista! È proprio vero che il gatto, all'ultimo, vi lascia lo zampino; Filippo doveva essere invecchiato; questo amore aveva tutta la goffaggine d'una passione senile. Non parliamo del Candriani, tanto ben ricompensato della sua amicizia; per poco Filippo non gli aveva portato via naso, orecchia e labbra in un colpo solo; ad ogni modo il povero Berto rimaneva sfigurato per sempre; la cicatrice era spaventosa; venti punti di sutura; ma che venti?trenta, o quaranta; un macello.... E intanto Filippo s'era giuocato per quella donna l'eredità dello zio, una diecina di milioni; lo zio l'aveva avvertito più volte, l'aveva pregato e scongiurato, e finalmente aveva perduto la pazienza. Chi poteva dargli torto? Era un vecchio onesto e semplice, che non voleva pasticci in famiglia.... E quell'altra, la madre, la contessa Bianca, quale conforto aveva dal figliuolo, ch'ella voleva accasare! S'era trattato di matrimonio con la contessina Cafiero; no, con la Fioresi, una ragazza che gli avrebbe portato, anche lei, una diecina di milioni; ma Filippo aveva mandato all'aria ogni cosa; e in tal modo, dieci della fidanzata e dieci dello zio, erano ormai venti milioni sfumati.

Qualcuno osava una parola in difesa di Filippo, ma era peggio... Come difenderlo? Figurarsi: permetteva che la sua mantenuta si facesse chiamare contessa Vagli; in tutti i negozi di Venezia, per contessa Vagli s'intendeva non già la veneranda contessa Bianca, ma quella ragazza; e una volta la contessa Bianca s'era vista portare a palazzo una scatola di trine e piume, ch'erano destinate all'altra; anzi più volte i fornitori sbagliavano, e mandavano da pagare alla contessa Bianca le note della ragazza. Una commedia, una farsaccia, permessa, voluta da Filippo, che neanche rispettava più il nome della famiglia... Come si poteva difenderlo?... Tutti a questo mondo han fatto le loro; a tutti piacciono le donne; ma c'è maniera e maniera. Un avvocato diceva: «Nisi caste saltem caute»; il buon gusto, la decenza, non si devono mai offendere; e da gente, poi, che ha obblighi sociali e dovrebbe dar l'esempio.... Se così faceva un patrizio veneto, si poteva immaginare che cosa avrebbe fatto qualche povero diavolo, un facchino della Marittima, un plebeo...

E a proposito di plebei, che cosa era quella sua amante? La chiamava Loredana, lui, per rialzarla; ma veniva dal basso, era uno scialletto, né più né meno che un'infilatrice di perle a Castello; pensate che educazione poteva avere e che linguaggio; ma faceva ogni giorno un bagno nel latte. E per questo che la dicevano tanto caritatevole; distribuiva ai poveri il latte che le era servito pel bagno. Quanto alla bellezza, poi, a Venezia se ne potevano trovare mille, diecimila più belle; bastava guardarsi intorno, e giusto a Castello e a Cannaregio v'erano certi musetti, si vedevano certi occhi e certe capigliature; la Resi, per esempio, e la Nana, e quell'altra, quella bionda, la Màlgari; e nessuno si pensava di portarsele a casa, di rinunziare a venti milioni, di chiamarle contesse, e di metterle in conserva nel latte. Ci voleva proprio un patrizio, e un patrizio come Filippo, per queste minchionerie!

Filippo rimase schiacciato sotto quella valanga. Caldo per ira e per gelosia, aveva provocato Berto, senza prevedere che la responsabilità dell'avvenimento sarebbe andata a battere contro Loredana, la quale ne usciva compromessa irrimediabilmente; e compromettere una donna era per Filippo azione così vigliacca e stupida, ch'egli spasimava d'esserci involontariamente incappato. Tutto il fango della strada, l'ira degli uomini, l'invidia delle femmine, si sollevava e ricadeva sull'amante sua.

Era una cosa spaurevole. Fra gli amici venuti in quei giorni a trovar Filippo fu il conte Alvise Priùli, un vecchio d'oltre sessant'anni, dalla vita cristallina, maestro di cortesie, oracolo in materie cavalleresche, franco nel parlare.

- Ti sei cacciato in un ginepraio, - egli disse a Filippo. – Perché non consigliarti con qualcuno, prima di agire?... A provocare e a battersi v'è sempre tempo. E tu sai che quando c'è di mezzo una donna, chiunque ella sia, un gentiluomo deve evitare duelli e scenate fin che gli è possibile...

Filippo, col braccio al collo, passeggiava nervosamente per lo studio, angusto alla sua furia.

Si arrestò innanzi al vecchio che aveva candidi capelli e faccia rosea:

- Che cosa dicono? - chiese avidamente.

Il conte Alvise fece un gesto desolato.

- Un disastro, - rispose. - Tutto quello che puoi immaginare di più antipatico, di più losco, di più sciocco; è una vera orgia di contumelie...

- Contro di me?

- Contro di te, e contro la signora, voglio dire la signorina, insomma la tua amica.

- Per esempio? - incalzò Filippo.

- Che esempio! - esclamò Alvise sorridendo. - Non è il caso di darti esempi; anche tu sai che cosa è la folla quando si sbizzarrisce a inventare e a deridere.

Filippo batté i piedi a terra, riprese a camminare, e camminando disse:

- Che cosa mi consigli? Che cosa devo fare, Alvise? Bisogna ch'io ne esca....

- Io ti consiglio di cambiar aria, - disse Alvise. - Fa un viaggio, un bel viaggio lungo. Se tu rimani, finisci per batterti altre venti volte, e lo scandalo cresce. Del resto, come puoi pigliartela con gli anonimi? Tutti parlano ora che ti sanno chiuso in casa; pròvati ad uscire e non avrai che strette di mano e sorrisi...

- Ipocriti! Vigliacchi! - esclamò Filippo.

- Ma no, caro, hai torto, - osservò prontamente Alvise. - Il mondo è fatto così; non intende aggredirti di fronte, perchè gliela faresti pagare; aspetta che tu volti le spalle. E in questo, Venezia, Parigi. Londra, Pechino, sono una città sola...

- Dunque un viaggio, tu dici? - riprese Filippo, fermandosi un'altra, volta davanti al vecchio amico. - Io aveva pensato di passar l'inverno a Roma...

- No, no, un viaggio. A Roma si sa tutto, come a Venezia; figurati se la Montegalda, la Fioresi, e venti altre, se di Spinea e lo stesso Candriani non hanno scritto agli amici di laggiù! E ciascuno a modo suo.

- Come sta Berto? - domando Filippo.

- Bene, puoi immaginare. Gli hai cambiato faccia, ma non sono avvenute complicazioni, e se la caverà in un mese o poco più...

Filippo tacque, guardando a terra.

 

 

Fine prima carte capitolo XI

Buona lettura.

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°229 pubblicato il 07 Giugno 2013 da ciapessoni.sandro
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L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

 

Immagine: Nubi temporalesche…,

… per Loredana, per Berto ed anche per Filippo…

 

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… seguito SECONDA PARTE

***


… seguito Capitolo IX (… seguito del post 228)

 

- Hai ragione, - egli continuò, accarezzandole i capelli. - Tutte le donne vogliono il loro bambino.... Ma un bambino, per noi, in questo momento...

Sembrava molto intrigato, e la cosa divertiva immensamente Loredana, che non l'aveva mai visto così.

- Certo, - riprese Filippo, - un bambino ti terrebbe compagnia e tu gli vorresti bene... Ecco: l'anno venturo avrai il bambino. Te lo prometto. Sei contenta? L'anno venturo...

Ma s'interruppe. Loredana rideva, fino ad averne umidi gli occhi; poi con uno scatto gli balzò al collo, e sempre ridendo gli disse:

- Tu hai creduto davvero che io voglia un bambino? Ma no; ma non vi ho mai pensato, mai, mai, mai! È la signora Serrantoni che mi annoia coi suoi discorsi e vuole sapere perchè io non ho bambini! A me non importa nulla! La Serrantoni dice che è colpa tua se non abbiamo bambini, e poi dice che è colpa mia, e non sa nemmeno lei.... Ma io voglio ciò che tu vuoi, e non ho mai pensato a queste sciocchezze. Non è vero che sono sciocchezze?

- E la Serrantoni, - disse Filippo racconsolato, - non ti ha spiegato perchè è colpa mia se non abbiamo bambini?

- Ah no! - esclamò la giovane, ridendo ancora. - Non mi ha spiegato niente. Mi ha fatto dei discorsi stranissimi, e in ultimo ha deciso che io sono una grande oca, perchè non ho capito una parola. Io, però, le ho dichiarato che se mi secca ancora, non le porterò più i dolci.

- Hai fatto benissimo, - approvò Filippo, baciandola sulla bocca. - E le dirai che della nostra vita e del nostro amore siamo padroni noi.

Le parole di Filippo diedero un grande coraggio a Loredana, e mentre le pettegole evitavano quel solito argomento per non addolorarla, ella lo provocò a bella posta qualche giorno dopo.

- Ho parlato con Flopi del bambino, - disse.

La madre e le amiche, le quali stavano intorno, mandarono una esclamazione di stupore.

- E che cosa ha detto il conte? - domandò la Serrantoni, trepidando.

- Ha detto che il bambino lo avrò l'anno venturo, - rispose la giovane categoricamente. – Ma un bambino, per noi, in questo momento...

Ella tacque; le altre tacquero, guardandosi. Loredana era stupefatta per il successo impreveduto delle sue parole. Finalmente la signora Emma si passò una mano sulla faccia, e disse sottovoce alla Serrantoni:

- Avevo indovinato. È lui che non lo vuole!...

 

Capitolo X

 

La serata al teatro Goldoni era stata fatale per Berto Candriani. Innanzi tutto egli aveva visto Loredana sotto un aspetto nuovo; fino a quel giorno aveva considerata la giovane come una piccola borghese presa nella luce della vita mondana per un capriccio di Filippo e destinata a scomparir presto con quel capriccio; ma standole a fianco, ammirandone l'eleganza e la freschezza, vivendone alcune ore la vita, notandone l'ingenuità non priva d'orgoglio, s'era dovuto ricredere. Loredana era destinata a non scomparire presto: aveva tutte le qualità per essere un'amante di primo ordine, o una mantenuta lussuosa, o un'amica affezionata e fedele, a seconda dell'uomo che l'avesse guidata nel suo cammino.

Da quella sera in poi, Berto aveva notato che se ne parlava molto tra le dame; dal canto suo, tartassato di domande, aveva dovuto raccontare una quantità di cose vere e una quantità di cose false, per rispondere alla curiosità acuta delle amiche. Forte della sua fantasia, aveva prodigato particolari bizzarri, che raccontava dapprima ridendo; ma perchè le dame parevano credere, a poco a poco aveva ripetuto quei particolari ed altri ne aveva aggiunti con gravità; in modo che intorno alla ragazza s'era formata una leggenda.

Fausta di Montegalda, la quale ancora non poteva persuadersi che «quella stracciona» fosse una rivale, s'era involontariamente prestata a diffondere la leggenda. La ragazza si faceva chiamare Loredana e prendeva un bagno nel latte ogni mattina; mangiava fragole tutto l'anno, e il povero Flopi spendeva un patrimonio per procurargliele durante la stagione invernale. La camera dove riposava, con le pareti ricoperte di specchi, aveva un enorme specchio in luogo del soffitto, cosicché la ragazza si vedeva riflessa, in tutte le pose e per ogni lato; la vecchiaccia che l'accompagnava era vedova, ma si diceva avesse avvelenato il marito... Povero Flopi! Tra l'amante e la dama di compagnia s'era proprio encanaillé fino al collo.

Se qualcuno, in nome della verosimiglianza e della logica, osava qualche obiezione, Fausta rispondeva:

- Ma è così, ve lo assicuro. Domandatene al Candriani. Egli la conosce per benino, la ragazza...

Loredana aveva dimenticato Giselda Fioresi e i due milioni e la taccia di mantenuta; viveva spensieratamente con la cieca sicurezza di poter vivere sempre così felice. Ella fu un po' sorpresa di vedersi un giorno comparire in casa Berto Candriani, il quale non le faceva mai visita nelle ore in cui Filippo era assente. Berto indossava la redingote, aveva un garofano bianco all'occhiello, e in una mano i guanti paglierini; era addobbato per una visita di società, e anche questo meravigliava Loredana, che lo riceveva sempre come un vecchio amico, senza cerimonie.

Pareva lievemente impacciato.

- Credevo ci fosse Filippo, - disse, - ed ero passato a prenderlo.

- No, - rispose Loredana. - Flopi è andato al tè in casa Lombardi...

- Ah, sicuro! - mormorò Berto. - Sono le cinque, infatti; le cinque e un quarto, anzi.

- Se lei non ha niente di meglio a fare, - seguitò cortesemente la giovane, - può trattenersi un istante, e il tè gliel'offrirò io.

Berto batté lo mani.

- Anzi, anzi, non domando che questo!

La conversazione languì un attimo. Loredana si chiedeva mentalmente: «Che cosa vuole?».

Berto si distraeva a guardar la fanciulla, la quale indossava una semplice vestaglia tutta liscia colore scarlatto, serrata ai fianchi da una fascia alta di seta nera. Egli si diceva che era straordinariamente desiderabile.

- Flopi è sempre di buon umore? - domandò.

- Certo, - rispose Loredana. - È sempre di buon umore con me.

- Non ha più parlato di quegli incidenti al teatro?

- Di quali incidenti?

- Di quella sera, ricorda? quando io ebbi l'onore di riaccompagnarla, e si fece anche un brindisi...

La giovane sorrise.

- Ah mio Dio! - esclamò. - Di noi tre, se ne ricorda lei, soltanto!... Sarebbe curiosa che io e Flopi ne parlassimo ancora!...

Berto si morse le labbra.

- È vero; lei e Flopi han da dirsi qualche cosa di meglio, - -mormorò.

- Caro conte, - osservò Loredana, corrugando le sopracciglia, - sa che io detesto i sottintesi.

- Non ci sono sottintesi; dicevo una verità. Due persone che si amano, non han tempo di badare ai pettegolezzi.

Loredana si alzò per accendere la luce elettrica; la conversazione ricadde.

- Flopi le ha narrato la storia dei due milioni? - chiese Berto a un tratto.

- Mi ha narrato ogni cosa.

- Egli non li rimpiange di sicuro?

- Pare di no, - rispose Loredana sorridendo.

Entrò Piero, recando il servizio per il tè, che dispose sul tavolino. Vi fu una pausa lunga, durante la quale Loredana versò l'acqua bollente nella teiera, spense il fornelletto a spirito, avanzò il cestello dei biscotti verso il suo ospite.

- È un bel patrimonio, - riprese questi.

- Che cosa? - domandò Loredana.

Non s'era mai trovata sola col giovane, al quale sapeva di piacere, e se ne sentiva intimorita, perchè gli occhi di lui non l'abbandonavano mai.

- Dico che due milioni formino un bel patrimonio, - egli spiegò, prendendo una tazza dalle mani della fanciulla. - Un magnifico patrimonio, al quale pochi uomini rinunzierebbero per l'amore.

Loredana guardò Berto inquieta.

- Che cosa significa? - domandò.

- Non ci sono sottintesi, - dichiarò Berto sorridendo. - Volevo dire quello che ho detto; pochi uomini rinunzierebbero a due milioni per l'amore di una donna. Flopi è di questi uomini, e ciò mi fa piacere...

- No, conte, - interruppe Loredana, bruscamente. - Non è il caso di scherzare; lei sa qualche cosa?

- Non so nulla!

- Forse Filippo le ha confidato che è malcontento?

- Le do la mia parola, d'onore che Filippo non ha mai aperto bocca con me...

- E allora? - chiese la giovane freddamente. – Perché trova strano che Filippo mi ami?

- Non trovo strano; dico che tra una donna, chiunque ella sia, e due milioni, quasi tutti gli uomini sceglierebbero questi e lascerebbero quella.

Loredana non rispose; la bella faccia ridente aveva preso un'espressione dura, che gli angoli rialzati della bocca facevano più recisa; e gli occhi fissavano dritti in volto il Candriani, cercando di scrutarne il pensiero riposto.

- È quello che io ho osservato a Flopi, - ella, disse. - Ma egli mi ha risposto che io lo scambiava per un mercante.

- Doveva rispondere così, - osservò Berto.

- Doveva essere sincero, perchè io con lui sono stata sempre sincera.

- Lei non aveva nulla da nascondere; ma la sincerità qualche volta è incomoda, - ribatté il Candriani. - Non si può dire a una donna: «Io preferisco due milioni al tuo amore»...

Loredana balzò in piedi.

- Perché mi parla a questo modo? - esclamò. - Filippo le ha dato l'incarico di esprimere le sue idee?

- No, - rispose Berto, stendendo una mano verso la giovane come a tranquillarla. – Filippo non mi ha dato alcun incarico, glielo posso giurare! Sono pensieri miei, quelli che esprimo.

Fece una pausa, si alzò egli pure lentamente in piedi, e movendo un passo verso la ragazza dritta nella veste flammea, aggiunse:

- Non si spaventi, non si turbi, Loredana. È un amico che le parla. Io voleva dirle questo fin dalla sera in cui ci siamo trovati a teatro. Volevo dirle che, qualunque cosa avvenga, in qualunque momento, io sarò lieto di accorrere a una sua parola e di poter esserle utile...

- Come? - domandò Loredana smarrita. - Lei non crede sincero Filippo?

- Non so. È sincero oggi, forse. Domani potrebbe pentirsi, non tanto pur il patrimonio al quale deve rinunziare, quanto per la guerra che gli va movendo la famiglia. E se quel giorno venisse, le ripeto, ella deve ricordarsi che ha un amico devoto e pronto a tutto per lei...

La giovane squadrò da capo a piedi il suo ospite; non era più intimorita; un sorriso ironico le increspava le labbra e una luce vivida le sfolgorava dagli occhi.

- Io la disprezzo! - ella rispose pacatamente.

- Loredana! - esclamò Berto.

- Sì, sì, la disprezzo! – ripeté la giovane con calma. - -Lei ripaga a questo modo l'amicizia di Flopi? Lei viene a mettermi il sospetto nel cuore, mentre io era felice! Lei viene ad accusare Filippo, mentre egli è così buono con me, così fiducioso con lei! E tutto questo senza una ragione al mondo, solo per dirmi... Per dirmi che cosa? Che lei vorrebbe succedere a Filippo, non è vero?

Perché lei crede che se domani Filippo mi abbandonasse, io prenderei un altro amante, forse il primo che mi capitasse, con la indifferenza con cui si muta d'abito? Questa è la stima che lei ha di me?...

S'interruppe, dando in una risata sardonica; e proseguì:

- Caro conte, ha commesso un'azione cattiva, e io dovrò avvertirne Filippo, perchè si guardi da lei, che è un falso amico! Lei è stato il solo ammesso in questa casa, e ne ha compensato Flopi tentando di farmi credere che rimpiange il denaro perduto, e cercando di portar via a Flopi una donna che egli ama. Mi ha messo l'inferno nell'anima, mi ha fatto dubitare, mi ha torturata...

- Loredana, non esageri, per carità, - interruppe Berto avvicinandosi. - Lei non mi ha compreso.

- L' ho compreso, l' ho compreso! - esclamò Loredana, mentre le lagrime cominciavano a scorrerle per le guance. - Ho compreso il suo scopo! Se avesse detto quelle malignità senza uno scopo, sarebbe pazzo! Ah, che dolore mi ha dato! Ora questo pensiero non mi si leverà più dal cervello; ora io continuamente mi domanderò se Flopi è contento, se non rimpianga il denaro perduto, se mi ama davvero! Ed ero così felice, così stupidamente felice!...

Sì lasciò cadere in una poltrona, e nascondendo il volto tra le mani, scoppiò in singhiozzi che le fecero sobbalzare violentemente il seno. A piccoli passi, piano, adagio, Berto si avvicinò, si curvò sulla spalliera, osò stendere una mano quasi per carezzare la testolina dolorosa:

 

Fine prima parte Capitolo X

Buona lettura.

 

 

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°228 pubblicato il 01 Giugno 2013 da ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

 

 

 

 

Immagine: Mille Lire di… allora!

Duemila… due milioni di allora…

 

 

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… seguito SECONDA PARTE

***

 

… seguito Capitolo VIII (seguito del post 227)

 

Per più giorni andò ruminando la frase della giovane: «Ora valgo più di due milioni». Che cosa aveva voluto dire? Forse la pelliccia, i brillanti, gli abiti che portava indosso valevano più di due milioni? Era impossibile... Allora qualcuno le aveva offerto due milioni per abbandonare il conte?... Questo era più verosimile; egli, Adolfo, due milioni gli avrebbe dati per la gioia di far sua Loredana, e un ricco signore poteva pagarsi caro quel capriccio... Andava galoppando nel mondo dello fantasie e degli assurdi, senza venire a capo di nulla, divorato dal bisogno di sapere, annaspando nelle tenebre.

La frase sfuggitale aveva scosso Loredana medesima. Ella pure vi ripensò nei giorni seguenti, come le parole fossero state una rivelazione, come il fatto avesse trovato in quelle una consacrazione impreveduta e strana. Valeva ella veramente più di due milioni? Filippo non pensava mai al patrimonio che le aveva sacrificato con tanta prontezza?

Loredana si mise a studiarlo attentamente, a scrutarne il pensiero, a sorprenderne le intenzioni. Egli era imperturbabile; non più parola usciva dalla sua bocca a proposito di quella eredità, non un accenno ai parenti, allo zio, alle noie che dovevano dargli. La sua educazione e le sue abitudini di gran signore non gli permettevano di gettare uno sguardo di rammarico a quel tesoro perduto; gli sarebbe parso di commettere la più ignobile delle bassezze. Parlava all'amante di ogni cosa, fuor che di quell'incidente, al quale aveva dato minore importanza di quel ch'egli medesimo si aspettasse, forse perchè sui due milioni dello zio non aveva mai fatto grande assegnamento.

Egli possedeva circa trentamila lire di rendita e non giocava; tutto il suo lusso e tutto il suo piacere erano in Loredana, la quale gli costava poco oltre la metà del reddito; viveva così in perfetto equilibrio economico, e finiva per giudicare che le recise dichiarazioni dello zio gli avevano tolto una preoccupazione fastidiosa e gli avevano dato la libertà assoluta di vivere a proprio talento. Loredana non riusciva a penetrare il pensiero dell'amante. Lo vedeva padrone di sé , sereno, quasi spensierato, e credeva a una finzione...

Un giorno in cui egli andava ammirandola e accarezzandola, la giovane non riuscì a dominarsi. Gli chiese:

- Ti piaccio?

- Molto, - rispose Filippo ridando. - Ne dubiti forse?

- Mi ami? - incalzò Loredana.

- Molto, - ripeté Filippo.

- Ti pare che...

Sì trattenne, si sentì confusa, diventò rossa in volto.

- Che cosa? - domandò Filippo. - Che cosa deve parermi?

- Ti pare che?... Ti pare che io valga più di due milioni? - disse finalmente la ragazza.

Filippo la strinse fra le braccia ridendo.

- Più di due milioni? - esclamò. - Ma più che tutti i milioni della terra! Quali domande tu mi fai! Si direbbe che tu mi creda pentito di non avere accettato un patto vergognoso, e che io ripensi a quei denari con rincrescimento...

Corrugò la fronte e seguitò con espressione più grave:

- Questo è offensivo per me, Lori. Tu non dovresti giudicarmi così male. Io ho avuto fortunatamente un'educazione, la quale mi ha abituato a non contare mai sul denaro. Se non fossi ricco, lavorerei, e saprei guadagnarmi da vivere; in ogni modo, certo, non venderei una donna che mi ama per un patrimonio anche enorme.

Loredana si passò le mani sul volto e si mise a ridere infantilmente.

- Questo mi fa bene, - disse respirando. - Mi fa bene a udir queste parole. Io pensava sempre ai due milioni, e mi dicevo che non valgo quella somma...

Filippo le mise una mano sulla bocca.

- Tu mi hai scambiato per un mercante di donne, - interruppe, sorridendo; e aggiunse con certo orgoglio che Loredana non aveva mai rilevato prima: - Noi non ci pieghiamo per denaro...

Scivolatagli dalle braccia, ella gli stava davanti in ginocchio, ammirandolo con espressione ingenua; lo guardò, coi grandi occhi dolci e ridenti velati da ciglia lunghe, e rimase immobile, così che Filippo dovette scuoterla. L'ammirazione di lei, che aveva qualche cosa di alto e di religioso, lo commuoveva sempre; egli se ne sentiva avviluppato e preso in ogni ora, e ne era quasi sgomento, perchè sapeva ormai che la fanciulla viveva della sua vita, respirava il suo respiro. In quell'istante nel quale, caduta involontariamente a ginocchi, Loredana pareva adorarlo estatica, l'uomo pensò che se il vecchio Roberto l'avesse vista, avrebbe compreso l'affetto e la protezione ch'egli Filippo le consacrava, e si sarebbe pentito d'averla chiamata mantenuta con tanta leggerezza: Filippo si volse a guardare se lo zio non fosse in un canto, e poi sorrise della propria allucinazione.

 

Capitolo IX

 

La signora Marta Serrantoni, una giovane dalla grascia pallida, coi capelli color fiamma, avida di cibo e di denaro, aveva mosso gran guerra in principio a Loredana e a sua madre, in nome della morale. Poi vedendo la fanciulla per le vie tutta elegante, e per il Canal Grande nella gondola a due remi, la signora Marta s'era a poco a poco ravveduta. Il conte trattava bene l'amica sua, bisognava pur dirlo: non era il libertino capriccioso e volubile che si credeva, e dal contegno di lui era naturale concludere che non aveva intenzione di piantare un bel giorno l'amante nuova come tante altre.

La signora Marta diceva questo con solennità, quantunque avesse detto il contrario pochi mesi prima, con la medesima solennità; e il codazzo di giovani e vecchie pettegole che davano peso alle sue parole, andavano ripetendole, e di giorno in giorno si riavvicinavano alla madre di Loredana e riprendevano a frequentarne la casa.

Così mentre la signora Emma era malcontenta, per il lusso della figlia, che a lei pareva eccessivo, le altre se ne felicitavano; quando Loredana veniva dalla sua mamma e trovava le amiche, queste le passavano una rivista minuta, pregandola talvolta di alzare un po' la gonna per mostrar le calze di seta, osservando la biancheria, divertendosi a infilar gli anelli, a provarsi il cappellino, a indossar la pelliccia. La loro morale taceva innanzi al pregio della roba lussuosa; esse s'inchinavano all'amante ricco e liberale. Anche ne godevano, perchè più volte avevano avuto in dono gli abiti ancor freschi che Loredana smetteva, e i cappellini ch'ella mutava sovente.

La giovane aveva spesso in tasca qualche biglietto delle amiche, le quali chiedevano protezione al conte per il marito, per il fratello, pel nipote; e il conte riusciva ad allogar l'uno, a migliorar la posizione dell'altro, senza conoscerli, per far cosa grata alla sua viperetta.

I concetti morali di quelle piccole donne avevano sorpresa e disgustata Loredana, che ignorava gli avvolgimenti e le mutazioni dell'umana vigliaccheria; le avrebbe preferite nemiche aperte; e parlandone con Filippo, si sentiva in obbligo di scusarle, perchè egli non le giudicasse troppo severamente. Ma egli ne rideva, e se ne faceva ripetere le frasi ammirative, divertendosi ai loro pettegolezzi e al loro mormorio; qualche volta per mano dell'amante inviava dolci o fiori, ch'esse si disputavano vivamente, e talora anche sulla tavola delle borghesi pettegole comparivano le bottiglie polverose della cantina del conte. A questa maniera, senza conoscerle di persona, Filippo s'era creato intorno un circolo di amiche, le quali correvano dalla signora Emma a esaltar la generosità di lui e a felicitarsi della fortuna che era toccata alla figliuola. La signora Emma non pareva del loro avviso, e da qualche tempo era anzi inquieta. Come sarebbe finita quell'avventura? La fedeltà del conte l'aveva stupita senza persuaderla. Nelle sue lunghe ore di riflessioni, ella aveva accarezzato la speranza che Loredana avesse un figlio; il legame avrebbe consacrato quell'amore con vincoli quasi sacri, obbligando Filippo per tutta la vita, forse spingendolo a un passo decisivo. Ma nulla era avvenuto; Loredana era sterile.

La signora Emma non poteva acconciarsi a questa idea; guardando la figliuola bella e gagliarda, non le riusciva di credere ch'ella fosse infeconda; le era balenato il sospetto che la sua sterilità fosse voluta dall'esperta astuzia di Filippo. Impossibile parlarne a Loredana, che egli aveva avuto vergine e ignorante d'ogni cosa; sarebbe stato assurdo interrogarla.

Una volta che la giovane scherzava col bambino di Marta, la signora Emma osò domandarle:

- Ebbene, Lori, non ti piacerebbe avere un bimbo anche tu?

La giovane diventò vermiglia in faccia.

- Certo, - balbettò, - un bambino anch'io...

- Forse al conte non piacciono? - osservò la signora Emma.

- Non ne abbiamo mai parlato, - rispose Loredana.

E bruscamente andò alla finestra senza proseguire.

- Un bel bambino, che si potrebbe chiamare... - seguitò la madre. - Come lo chiameresti, Lori?

La giovane si volse e le disse:

- Oh, mamma, non parlarmi così! Mi confondi!

Emma non aggiunse parola, ma quel turbamento la sorprese e le parve la conferma dei suoi sospetti. Non aveva capito che Loredana si sentiva a disagio, perchè le sembrava che il discorso aprisse un spiraglio di luce sul suo amore pel quale aveva sempre un riserbo timoroso, una verecondia inquieta.

L'argomento ritornò più volte; la Serrantoni, alla quale la signora Emma aveva confidato i suoi sospetti, s'incaricò d'interrogare Loredana; ma a lei mancò l'animo di spiegarsi e Loredana la guardò attonita per quell'interrogatorio, disordinato e confidenziale insieme.

La giovane s'infuriò.

- Se ancora mi parlate del bambino, - dichiarò un giorno, - io non verrò più a trovarvi! È un'insolenza; tutti vogliono sapere che cosa pensa Flopi dei bambini; tutti mi domandano che cosa ne penso io; non ci lasciano più vivere! La Serrantoni mi ha perfino chiesto se sono sicura che Flopi mi voglia bene come un marito!... È orribile questo pettegolezzo...

E diede in uno scoppio di pianto, mentre la madre e le amiche le si facevano attorno a consolarla. Le amiche, specialmente, erano premurose perchè si vedevano sfuggire le sottane di seta e i cappellini civettuoli; e quando Loredana accarezzata dalle une, baciata dalle altre, rassicurata da tutte, cominciò a sorridere attraverso le lagrime, le donne esalarono un grande sospiro di sollievo...

- Non capisce! - dissero tra di loro più tardi. - È ancora innocente come l'acqua...

In verità, non capiva; non capiva che cosa volessero da lei, non capiva le perifrasi prudenti, non capiva che cosa importasse loro la sua maternità probabile, non capiva sopratutto come questa volta anche sua madre prendesse parte al coro.

- Ma che cosa mi domandano? Ma di che cosa si occupano? - chiese infine alla signora Emma.

- Esse credono, - spiegò Emma, - che se tu avessi un bambino, il conte ti amerebbe di più.

- E che cosa importa loro se Flopi mi ama di più o di meno?

Emma si strinse nelle spalle.

- Mio Dio, - disse, confusa. - È un pensiero che hanno per te, perchè ti sono affezionate.

- Ma è un pensiero stupido, mamma! - protestò Loredana. - Se io avessi un bambino, Flopi mi amerebbe ugualmente. Che ne so io? Forse anco mi amerebbe meno.

- Davvero? - esclamò Emma scandalizzata. - E perchè mai?

- Perché sarei malata, perchè diventerei brutta, per tante ragioni noiose, insomma...

- Allora sei tu che non lo vuoi, Lori? - domandò Emma.

La ragazza la guardò intontita, e poi si mise a ridere.

- Io? - disse. - Come posso io volerlo, o non volerlo?

- Allora è il conte che non vuole? - insistette Emma.

- Flopi? - esclamò Loredana. - E tu pensi che Flopi si curi di queste sciocchezze? Tu pensi che Flopi sia come la signora Serrantoni?

- Non sono sciocchezze, Lori, - sentenziò Emma gravemente. - Alla fin fine, tutto dipende dalla volontà del conte.

Loredana scoppiò in una lunga risata.

Le preoccupazioni di sua madre e delle sue amiche risvegliavano in lei un allegro stupore. Ebbe la tentazione di parlarne all'amante, poi con lo spirito d'intuizione che spesso la guidava, sentendo nella curiosità delle donne qualche ombra di mistero, si trattenne; ma istintivamente scaltra, riuscì per una via indiretta a sapere che cosa Filippo pensava dei bambini.

Quando egli usciva solo a passeggio, le chiedeva che dovesse portarle a casa.

- Vuoi i dolci, Lori? Vuoi un palco per questa sera? Devo mandarti i fiori per la tavola?

Loredana sceglieva; il più delle volte non sceglieva nulla.

- Voglio che tu ritorni presto, - rispondeva.

Ma pressata dalla inquisizione delle pettegole, un giorno si arrischiò:

- Voglio che tu mi porti a casa un bel bambino...

- Di cioccolata? - domandò Filippo ridendo.

- No, un bel bambino vivo, - disse Loredana.

Filippo, che già stava per uscire, tornò indietro e le si avvicinò:

- Veramente? - chiese. - Veramente, tu desideri un bambino?

A guardarla, non si sarebbe detto; ella sorrideva, osservando la meraviglia dell'uomo, una meraviglia, commossa e dolorosa.

 

Fine prima parte Capitolo

Buona lettura

 
 
 

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°227 pubblicato il 26 Maggio 2013 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore. Luciano Zuccoli

 

 

Immagine: Loredana...

… La fanciulla si coprì il volto con le mani e ruppe in pianto.

 

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… seguito SECONDA PARTE

 

***

 

… seguito capitolo VII (dal post 226)

 

- È stato così: - disse il Candriani. - Mentre uscivamo dal teatro, un farabutto ha ingiuriato la signorina; non ho potuto scoprire chi fosse; tutti guardavano a terra e parevano sonnambuli. La signorina, quando fu in gondola, visto che il tragitto era lungo e noioso, occupò il tempo a piangere, e io che voleva farle la corte sono rimasto con un palmo di naso...

Loredana si mise a ridere.

- È tutto qui? - domandò Filippo incredulo.

- È tutto qui, - rispose Berto. - Vedi che ora ride; non potrebbe dimostrati meglio che si trattava d'una inezia.

Filippo scosse la testa; sapeva bene che vicina a lui, la giovane dimenticava ogni dolore, e la sua piccola risata squillante non gli provava nulla.

- Ma che cosa hanno detto? - egli incalzò.

La fanciulla gettò una rapida occhiata a Berto, il quale non si aspettava una domanda categorica.

- Chi se ne ricorda? - egli fece, impacciato. - Lei se ne ricorda, signorina?

Loredana tornò a ridere; ormai non le importava delle ingiurie, ed era tutta felice di sentirsi protetta dall'amante, nella sua casa elegante e quieta.

- Sì, me ne ricordo, - ella dichiarò, ancora sorridendo. - Mi hanno detto: carne di lusso...

- Oh, i mascalzoni! - esclamò Filippo, oscurandosi in volto.

- E poi, - soggiunse Loredana col suo placido sorriso, - e poi, mantenuta!

Filippo sussultò; nella stessa ora, la folla anonima e lo zio Roberto gettavano in faccia alla ragazza la stessa accusa, coprivano di fango il suo amore. Egli dissimulò il suo turbamento, e disse:

- Hai ragione, cara, di ridere; non si può che ridere di certe volgarità... Ora ci verserai una coppi di sciampagna e berremo... berremo a dispetto degli invidiosi.

- E ai due milioni! - sì lasciò sfuggire Berto.

- E alla carne di lusso! - concluse Filippo ridendo.

Loredana s'era alzata a versare il vino dorato nelle coppe. Un po' inclinata verso i due

uomini, con la bella testa adorna di pettini scintillanti, il bel corpo chiuso nell'abito bianco, ella era l'immagine della giovinezza forte e procace. Le tre coppe si urtarono lievemente, qualche goccia cadde sul tavolino.

- Perché beviamo ai due milioni? - chiese Loredana d'un tratto, come ricordandosi. – Che cosa vuol dire?

- Nulla, nulla, vuol dire, - interruppe l'amante.

- Sì, vuol dire qualche cosa, - insistette Loredana. - Vedi: io ti ho raccontato tutto, e tu non mi racconti... Quando ci siamo incontrati stasera, ci hai detto che avevi avuto un'avventura graziosissima. Non è forse vero, conte?

Il Candriani assentì con un moto del capo.

- Ti racconterò dopo, - promise Filippo. - Non si tratta di un'avventura. E del resto, non potrei avere un segreto?

- Certo, - osservò Loredana pensierosa. - Ma allora non si annuncia...

I due amici diedero in una risata.

Berto Candriani bevve ancora una coppa di sciampagna, parlò dei prossimi spettacoli della Fenice, e dopo pochi istanti si congedò. Non appena egli ebbe varcata la soglia, Loredana gettò le braccia al collo di Filippo.

- Caro! - ella disse baciandolo. - Che cosa ti è avvenuto? Perché vuoi tacere con la tua viperetta?

L'amante sorrise e le passò un braccio attorno alla vita.

- Non voglio tacere nulla, - egli dichiarò. - Berto m'aveva detto che tu eri agitata questa sera, e perciò non ti raccontavo l'incidente, che non ha alcuna importanza, del resto; poi egli stesso ha voluto fare il brindisi ai due milioni, quella testa matta!

- Sai perchè? Mi ha visto ridere e allora ha compreso che non ero agitata.

Dolcemente, stringendola al fianco, a piccoli passi, Filippo l'accompagnava nella camera di lei, e la baciava sui capelli. Così spesse volte egli si largiva il piacere di assistere mentre la fanciulla si spogliava e talora le prestava mano; in tal modo tra gli scherzi e i baci, la scena si prolungava e finiva sempre a una maniera. Quando fu nella camera da letto, Filippo prese posto in una poltrona, e la giovane s'accinse a togliersi gli abiti.

- Ebbene, Flopi? - ella chiese.

- Ah ecco! - disse Filippo. - Sono stato al «Grand Hôtel» e ne sono uscito con lo zio Roberto, il quale ha colto l'occasione per farmi una delle solite prediche. Ci siamo accalorati; egli mi ha minacciato di diseredarmi, e io gli ho detto che me ne infischio; a quel che pare, i due milioni dello zio sono così sfumati, ma io preferisco loro la mia libertà piena e assoluta. Ecco tutto, Lori; vedi che non valeva nemmeno la pena di parlarne.

Loredana, rapidamente liberatasi della gonna, rimase attonita.

- Due milioni! – ripeté a un tratto.

- Poco più, poco meno, - disse Filippo. - Ma io non ho mai avuto bisogno del suo denaro, e tu lo sai.

La fanciulla gettò gli abiti sopra una sedia, e restò ritta innanzi all'armadio a specchio...

- Per colpa mia! - ella esclamò.

- Lori, te ne prego, - disse Filippo, - Mi dispiace quando tu parli così: non è per tua colpa, ma per colpa dei miei parenti. Non è una novità, questa: ti ricordi che io te l'avevo detto? I miei parenti non capiscono, e le discussioni non valgono a niente...

- Vogliono che tu mi lasci? - incalzò Loredana.

- S'intende! - rispose Filippo. - Lo zio Roberto, poveretto, non è che lo strumento di mia madre, la quale lo fa agire e parlare, ed egli agisce e parla, tanto per avere pace.

- Vogliono che tu mi lasci? – ripeté Loredana. - E non vogliono altro?

- Per bacco! - esclamò Filippo ridendo. - Mi pare che basti...

- No, potrebbero volere di più, - disse la fanciulla, dopo un attimo d'esitazione, - Potrebbero volere che tu ti sposi... Perché , Flopi, io non capisco... Se tu mi lasciassi, che faresti? Vivresti senza amanti e senza moglie? Pretendono questo i tuoi parenti?... Non vogliono che tu ti sposi? Non hanno qualche signorina che piace loro e che ti offrono?

Filippo tacque, stupito, e si chiese come mai la piccola Lori, ch'egli reputava ancora poco più d'una bambina, col solo aiuto della logica, fosse giunta alla verità. Per nascondere il suo impaccio, egli si alzò e disse:

- No, no: che ti viene in mente?... Lascia che io ti guardi...

Loredana fece un gesto per allontanarlo, e insistette:

- Veramente, Flopi, non ti hanno mai parlato di matrimonio, non vogliono che ti sposi?

- Ma no; sono tue fantasie queste! – ripeté Filippo.

- Sei pronto a giurarmelo?

- Te lo giuro...

- Sei pronto a darmi la tua parola d'onore?

Filippo ebbe un attimo di titubanza ormai non poteva più retrocedere.

- Ti do la mia parola d'onore! - disse.

La fanciulla si coprì il volto con le mani e ruppe in pianto.

- Come! - esclamò Filippo, sorpreso. - Ora piangi? Non sei contenta? Forse non credi?

Ella gli stava innanzi con le braccia e il petto scoperti; aveva, le mutande di batista che le arrivavano al ginocchio, le calze di seta grigia, le scarpette basse e bianche: pareva un piccolo gentile Pierrot.

- Così carina, - disse Filippo, - e così cattiva! Ma non sei contenta, ti ripeto?

Loredana riuscì a rispondere tra i singhiozzi:

- Sì, - dichiarò, mentendo alla sua volta, - piango perchè sono contenta!

Filippo si mise a ridere, e la strinse al petto, sollevandola da terra.

- Vieni, - disse. - Vieni, mascheretta bella, viperetta cara. Tu sei tanto bella, io ti amo tanto...

La giovane gli si avvinghiò al collo, si lasciò adagiare sul letto, e tra le lagrime cercò la bocca di lui, che mentiva e baciava così bene...

 

Capitolo VIII

 

L'inverno fu singolarmente crudo e lungo quell'anno, a Venezia; nevicò più volte e nei giorni sereni una gelida bora soffiò con violenza. Molte famiglie abbandonarono la campagna innanzi tempo e iniziarono la stagione dei ricevimenti e delle feste prima dell'usato; a metà novembre, la vita elegante, in causa dei rigori invernali, fioriva già in tutto il suo rigoglio. Filippo ne fu ripreso a poco a poco, quasi senz'accorgersene; ritrovò gli amici, e rifece la solita ruota di visite e di consuetudini, tra quei soliti gruppi di persone, alla quale era abituato.

Ma per Loredana ebbe le cure più sollecite. Il mormorio del mondo e l'astiosità dei parenti gli avevano reso la fanciulla anche più cara, e spesso rinunziava a qualche trattenimento mondano per dedicarle il suo tempo. L'aveva circondata di lusso, provvedendole abbigliamenti a Milano, facendole regali di gioielli, coprendola di sete e di merletti e di pellicce, perchè la sua bellezza avesse una degna cornice.

Loredana lasciava fare.

Era mutata; un dolore sordo e profondo andava rodendola dal giorno in cui aveva scoperto che il suo Flopi mentiva; e mentiva perchè l'amicizia con Giselda Fioresi doveva avere un significato ch'egli non poteva confessarle. Dapprincipio, quando s'accorse che Filippo riprendeva le sue abitudini mondane, la giovane lo seguì col pensiero affannosamente; si fece raccontar volta per volta ciò che egli aveva visto e ciò che aveva detto; notò che mai non pronunziava il nome della contessina Fioresi, anche quando dai giornali si poteva rilevare che la contessina frequentava le feste e i ritrovi ai quali Filippo prendeva parte. Mille volte, Loredana era stata in procinto di chiedere spiegazioni, e mille volte s'era trattenuta, pensando ch'egli avrebbe mentito ancora.

Poi a poco a poco, riuscì a dominarsi; non volle più sapere, non interrogò più. Ella era la sua amante, che lo attendeva con desiderio inesprimibile e gli si dava tutta con infinita voluttà; faceva tacere la gelosia terribile che le attossicava il cuore, divorava in silenzio le lagrime e si mostrava sempre lieta e sorridente. Era un eroismo d'ogni giorno, d'ogni ora, che Filippo non sapeva, non avrebbe mai saputo. Anche quel lusso che la circondava le pareva soverchio; indossava la pelliccia, infilava nelle dita gli anelli preziosi con un certo piccolo brivido, pensando che il nome di mantenuta le conveniva allora meglio che mai. Non gliene importava; il mondo le era così sconosciuto e così lontano, che non voleva occuparsene; ma sua madre, la buona signora Emma, s'era inquietata per lei.

Loredana andava sempre a trovare la mamma nella casetta bianca sul campiello solitario.

Ogni volta era certa d'incontrare per la via Adolfo Gianella, il suo antico fidanzato, il quale le faceva la posta. Egli le era rimasto stranamente fedele, attraverso l'uragano di scandalo e di maldicenza che aveva travolto il nome della giovane. La seguiva a distanza per lunghi tratti, la guardava con intenso piacere, e ne era forse più innamorato che nei giorni in cui ella era vergine e innocente. Adolfo aveva appreso tutto dalla bocca dei curiosi e degli sfaccendati, la vita e l'amore di Loredana, e poi aveva scoperto il nido degli amanti e s'era posto a gironzare in quei dintorni, a guardar quelle finestre, a spiar quella gioia. Umile e timido, non confidava ad alcuno i suoi crucci, non parlava in famiglia di Loredana, perchè la famiglia di lui la odiava. Egli si contentava di seguir la fanciulla e di vederla bella, prosperosa, felice.

La cosa era tanto abituale ormai, che Loredana contava sulla presenza di Adolfo, e s'egli passeggiava nel campiello, essa si tratteneva più a lungo presso sua madre.

- Bada che è tardi, - le diceva questa qualche volta.

- Oh non importa! - rispondeva Loredana, dopo essersi affacciata alla finestra. - C'è Adolfo, che mi riaccompagna.

E la fanciulla sorrideva, non sapendo ella medesima se la devozione di lui fosse ammirabile o ridicola.

Una sera egli s'infuriò, con uno di quegli scatti ciechi e improvvisi che sono propri dei caratteri timidi. Loredana s'era trattenuta assai tardi e ritornava sola, a piedi, verso le Zattere, percorrendo calli deserte. Ella indossava la pelliccia, aveva una borsetta a maglie d'oro appesa al braccio, e le buccole di brillanti negli orecchi. Adolfo le si avvicinò d'un tratto e le disse bruscamente:

- Perché torni a quest'ora? Non pensi che ti può capitar qualche cattivo incontro?...

Loredana si fermò sbalordita a guardarlo; poi rise involontariamente:

- Sapevo che c'era lei, - rispose, - e che lei mi accompagna.

Egli si calmò subito; le si mise al fianco, e le disse con espressione lamentabonda:

- Come sei bella!... Non vuoi, non vuoi proprio sposarmi?

La giovane parve non aver capito; egli continuò:

- Io ti perdono tutto; tu sei l'amante del conte, e non te ne faccio colpa. Forse io non sapeva trattarti, ma ora ho imparato, perchè ho tanto sofferto... Non vuoi sposarmi? Non ti piacerebbe di vivere con me?

Loredana scosse il capo, accennando di no. Adolfo soggiunse, umilmente:

- Hai ragione. Sei abituata al lusso e all'eleganza... Il tuo valore è troppo grande per me...

La fanciulla lo squadrò e rispose:

- Sì, ora valgo più di due milioni...

Adolfo tacque senza comprendere. Che cosa voleva dire? Era impazzita? La guardò di nuovo, e vedendo che essa sorrideva, non osò chiedere spiegazioni; le camminò al fianco in silenzio, a capo basso.

- Lei mi ha perdonato? - riprese Loredana d'un tratto. - Ma è inutile; io non le ho chiesto il suo perdono, e non le ho fatto nulla di male, perchè ho disposto di me liberamente. Crede lei che per vivere la mia vita non occorra del coraggio?...

Si morse le labbra, temendo di dir troppo; e con voce secca aggiunse:

- Mi sorvegli, ma non mi stia al fianco; potrei incontrare persone che conosco, e non vorrei far credere che io passeggi coi giovanotti la sera, per le calli perdute...

Adolfo rallentò il passo, in modo da starle alle spalle e da proteggerla senza accompagnarla.

La fanciulla si sentì presa da tenerezza, per il querulo amante, volse il capo, e disse con un sorriso:

- Grazie. Così va bene...

Egli la seguì fino alle Zattere e poi scomparve.

 

Fine prima parte Capitolo VIII

Buona lettura

 

 
 
 

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