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I film, i personaggi e i commenti della stagione 2019/2020

 

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Messaggi di Ottobre 2018

Cineforum 2018/2019 | 30 ottobre 2018

Foto di cineforumborgo

NICO, 1988

Regia: Susanna Nicchiarelli
Sceneggiatura: Susanna Nicchiarelli
Fotografia: Crystel Fournier
Musiche: Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo; i brani sono interpretati da Trine Dyrholm.
Montaggio: Stefano Cravero
Scenografia: Alessandro Vannucci, Igor Gabriel
Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi
Effetti: Digimax Creative Services, Chromatica
Suono: Adriano Di Lorenzo (presa diretta), Marc Bastien (sound designer), Franco Piscopo (mix), Alberto Padoan (microfonista)
Interpreti: Trine Dyrholm (Nico), John Gordon Sinclair (Richard), Anamaria Marinca (Sylvia), Sandor Funtek (Ari), Thomas Trabacchi (Domenico), Karina Fernandez (Laura), Francesco Colella (Francesco), Calvin Demba
Produzione: Marta Donzelli, Gregorio Paonessa, Joseph Rouschop, Valérie Bournonville per Vivo Film, con Rai Cinema e Tarantula, in co-produzione con VOO/Be TV
Distribuzione: I Wonder Pictures
Durata: 93'
Origine: Italia, Belgio, 2017
Film d'apertura della sezione 'Orizzonti' alla 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2017), ha ottenuto: Premio Orizzonti per il miglior film, menzione speciale Premio FEDIC, Premio Speciale Francesco Pasinetti-SNGCI; David di Donatello 2018 per: migliore sceneggiatura originale, truccatore (Marco Altieri), acconciatore (Daniela Altieri), suono.

Christa Päffgen, in arte Nico, è stata una delle più importanti icone pop del secolo scorso. Famosa modella negli anni Sessanta, habituée della Factory di Andy Warhol, cantante del gruppo musicale Velvet Underground e musa di Lou Reed, che nell'ultima parte della sua vita intraprende la carriera di solista girando per l'Europa e interpretando i suoi brani con una band inglese. Il film, ambientato tra Parigi, Praga, Norimberga, Manchester, nella campagna polacca e il litorale romano, racconta gli ultimi tour di Nico e della band negli anni Ottanta: anni in cui la "sacerdotessa delle tenebre", così veniva chiamata, ritrova sé stessa, liberandosi del peso della sua bellezza e ricostruendo un rapporto con il suo unico figlio dimenticato. È la storia di una rinascita, di un'artista, di una madre, di una donna oltre la sua icona.
Christa Päffgen è stata all’inferno, forse ci è nata: venuta al mondo nella Berlino nazista, tormentata da demoni da sempre annidati in un corpo dalla bellezza abbagliante. Hanno lavorato sulla sua mente e sulla carne di quel corpo, quei demoni; aiutati dall’eroina, lo hanno trasformato, gonfiato, de-composto, riducendo Nico - la figura magnetica che aveva affascinato i più carismatici talenti musicali (e non solo) degli anni Sessanta e Settanta - a un pallido ricordo. Liberandosi, almeno in parte, dalla schiavitù di quell'immagine, Christa è riuscita anche a trasformare la sua possessione in qualcosa di produttivo, è riuscita a far esprimere i suoi demoni, a farli cantare, suonare, declamare versi che sembravano arrivare direttamente proprio dalle tenebre di cui era - a quel punto - divenuta ‘sacerdotessa’.
Questo racconta “Nico, 1988”, il film di Susanna Nicchiarelli che ha aperto la sezione Orizzonti. Un film che è tante cose. Un biopic che si concentra sulla parte meno conosciuta della vita della cantante, quasi restituendo il fastidio con cui Nico stessa rispondeva ai giornalisti che insistenti le chiedevano solamente delle sue performance al fianco dei Velvet Underground o delle sue relazioni amorose, ma anche un road movie, un film in costume, un film musicale (le belle sequenze di concerti nell'Europa di fine anni Ottanta sono un esempio stupefacente di come sia possibile mettere in scena le atmosfere derelitte ma rivoluzionarie di quegli eventi). Ed è pure un film di fantasmi: ogni data del tour è la tappa del viaggio di Christa tra i demoni del suo passato, tra le presenze che emergono dalla grana spessa dell'immagine analogica che racconta il suo presente.
Nico, 1988” è d'altra parte, e soprattutto, il racconto della sofferta ribellione di un corpo alla schiavitù di un'immagine, la propria. Tutto il film è costruito dentro un quadrato, formato asfittico nel quale Nico, sempre al centro della narrazione, si dimena, goffa, spesso sgradevole, a volte assente, sempre sofferente eppure capace di tenere tutti (comprimari e spettatori) in scacco perenne.
Ed è la protagonista - e non potrebbe essere altrimenti - a caricarsi tutto il peso del personaggio e del film sulle spalle: Trine Dyrholm canta e interpreta questa donna ostica e maledetta, il suo dolore e la sua imprevedibile energia, con grande credibilità. È anche grazie a lei che Susanna Nicchiarelli riesce a proseguire il suo viaggio personale in un cinema che si occupa del potere del passato di scrivere sull'immaginario, sull'immaginazione e sull'immagine, e al tempo stesso del potere che ogni individuo ha di riscrivere ciò che sembra già scritto.
Chiara Borroni, Cineforum

La Musa ha una faccia diversa - chioma biondo platino, zigomi appuntiti, ciglia lunghissime, neppure l’ombra di una ruga - e infatti sta in altri film: nelle riprese di Jonas Mekas, ricordi in pellicola, Nico irrompe fuggevole nei sogni e negli incubi di Christa Päffgen. L’Artista, invece, è bruna, pallida, sciupata, illividita: quasi cinquantenne, gira le periferie d’Europa su un pullmino malconcio con turnisti di serie B, sale su palchi spogli davanti a sparuti gruppi di fan, è stufa marcia di rispondere alla domanda «com’è stato suonare con i Velvet Underground?». Sembra aver sempre meno voglia di trasformarsi in clown della domenica, e dietro la porta non piange, ma s’inietta la prossima dose d’eroina. Cova una disperata irrequietezza ed è sempre affamata: di droga, di spaghetti al sugo, di limoncello. Nell’inedito ritratto firmato da Nicchiarelli, trionfatore di Orizzonti a Venezia 74, una folgorante Trine Dyrholm diventa Christa/Nico e, con lei, satura lo schermo: ci sono solo loro due, a tentare un bilancio impossibile di rabbia e rimpianti, mentre love story, nomi, successi e gossip (l’armamentario standard dei biopic) scivolano ai margini (fa eccezione solo l’amore innaffiato di senso di colpa per il figlio Ari, e infatti i momenti con lui, per quanto intensi, sono anche tra i più fragili del film). Nicchiarelli sfonda con l’ambizione il basso budget (evviva!): traendo forza proprio dalle ambientazioni ordinarie, concedendosi la commedia, il road movie e momenti onirici, inseguendo un mistero esistenziale insolvibile e struggente, gridando che il cuore sarà pure vuoto, ma le canzoni, le canzoni no.
Alice Cucchetti, Film Tv

SUSANNA NICCHIARELLI
Filmografia
:
I diari della Sacher: Ca cri do bo (2001), La madonna nel frigorifero (2002), Il terzo occhio (2003), Linguaggio dell'amore (2003), Sputnik 5 (2009), Cosmonauta (2009), Esca viva (2012), La scoperta dell'alba (2012), Per tutta la vita (2014), Nico,1988 (2017)

Martedì 6 novembre 2018:
THE POST di Steven Spielberg, con Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Bob Odenkirk, Tracy Letts

 

 
 
 

Cineforum 2018/2019 | 23 ottobre 2018

Foto di cineforumborgo

TUO, SIMON

Titolo originale: Love, Simon
Regia
: Greg Berlanti
Soggetto
: dal libro “Non so chi sei, ma io sono qui” di Becky Albertalli (ed. Mondadori)
Sceneggiatura
: Elizabeth Berger, Isaac Aptaker
Fotografia
: John Guleserian
Musiche
: Rob Simonsen
Montaggio
: Harry Jierjian
Scenografia
: Aaron Osborne
Costumi
: Eric Daman
Interpreti
: Nick Robinson (Simon Spier), Josh Duhamel (Jack Spier), Jennifer Garner (Emily Spier), Katherine Langford (Leah Burke), Talitha Eliana Bateman (Nora Spier), Alexandra Shipp (Abby Suso), Miles Heizer (Cal), Keiynan Lonsdale (Bram Greenfeld), Logan Miller (Martin Addison), Tony Hale (signor Worth), Darcy Rose Byrnes (studentessa), Terayle Hill (Spencer), Joshua Mikel), Mackenzie Lintz (Taylor), Alex Sgambati (Claire)
Produzione
: Marty Bowen, Wyck Godfrey, Isaac Klausner, Pouya Shahbazian per Fox 2000 Pictures/New Leaf Literary & Media/Temple Hill Entertainment/Twisted Media
Distribuzione
: 20th Century Fox
Durata
: 109'
Origine
: U.S.A., 2018
Data uscita: 31 maggio 2018

Tutti meritano una grande storia. Ma per Simon, è complicato: non solo perché sono gli anni del liceo, ma anche perché custodisce un segreto che non sa come rivelare agli amici e alla famiglia. Per affrontare così le sue paure ed insicurezze avrà bisogno di tutto il suo coraggio (e della sua ironia).
All'inizio della sua storia, Simon ci tiene a farci sapere una cosa: lui è un ragazzo normale. Forse un po' più normale degli altri, direbbe qualcuno, visto il benessere in cui è cresciuto, con due genitori belli, affermati e ancora innamorati dopo vent'anni di matrimonio, degli amici preziosi con cui fare tutte le cose che fanno gli adolescenti, e che noi ci siamo dimenticati, e spendere la munifica paghetta, viaggi in Europa, un'automobile tutta sua, e la prospettiva della fine imminente del liceo che apre la via al suo futuro. Ma Simon ha un segreto, ed è un segreto che turba e vela di malessere questa vita ‘normale’ di adolescente privilegiato.
Quando un utente anonimo, che si firma Blue, lancia un messaggio pubblico rivelando la sua difficoltà nel rivelare al mondo che è gay, Simon non esita a contattarlo. Perché non aspettava altro: Blue e Simon - o, come si firmerà nella loro corrispondenza segreta, Jacques - hanno lo stesso segreto. Quel rapporto epistolare servirà ai due ragazzi a prepararsi a ‘confessare’ a famiglia e amici quello che nessuno dovrebbe dover ‘confessare’, perché non siamo solo il nostro orientamento sessuale, (uno dei momenti più divertenti dello script di Elizabeth Berger e Isaac Aptaker è quello in cui Simon immagina gli amici etero annunciare ai genitori di essere, appunto, etero), ma farà anche scoccare una freccia dall'arco di Cupido.
Il filone della commedia adolescenziale negli Stati Uniti è un sottogenere con una dignità tutta sua, che fa capo a un autore di culto come John Hughes; il film di Berlanti vi si inserisce con grande naturalezza, aggiornando il linguaggio ai tempi che corrono e cambiano forsennatamente, al punto che un ragazzo con gli affetti e i vantaggi di Simon che non riesca a dire agli altri che è attratto da persone del suo stesso sesso è un caso bizzarro. Eppure nella maggior parte delle scuole è ancora così: i ragazzi sono lasciati soli a gestire i propri dubbi e le proprie crisi di identità da genitori impegnati e imbarazzati e impreparati e da istituzioni non hanno budget per assistenza psicologica o rinunciano all'insegnamento dell'educazione sessuale per evitare gli attacchi delle associazioni conservatrici. La soluzione il più delle volte - sappiatelo, genitori - è il porno on line.
Gli aspetti più difficili, scabrosi, dolorosi - ma anche più autentici - della scoperta della propria sessualità non interessano particolarmente a Berlanti e ai suoi sceneggiatori, che si preoccupano più di "normalizzare" la vita di un diciassettenne gay, mostrando come possa benissimo esserci lui al centro di una commedia romantica a chi fino ad ora, per problemi suoi, ha pensato il contrario. In pari misura, gli autori si preoccupano di farci divertire e ci riescono, perché “Tuo, Simon” è una commedia con un buon ritmo, qualche idea azzeccata di messa in scena (come il buffo entr'acte alla “Glee”), attori di talento e dialoghi frizzanti, nonché costellata di una miriade di inevitabili ma accattivanti riferimenti pop e arricchita da una selezione musicale che porta la firma di Jack Antonoff, musicista e produttore che, per chi non lo sapesse, ha contribuito a recenti trionfi di giovani star come Lorde e Taylor Swift.
Alessia Starace, Movieplayer.it

Il diciassettenne Simon Spier ha una bella famiglia e degli amici fidati; ma il segreto della sua omosessualità, che non osa manifestare, lo angustia. Finché non conosce, online, un ragazzo che ha fatto coming out, sentendosene attratto. Quando il bulletto della scuola minaccia di rendere pubblici i fatti suoi, Simon trova il coraggio di reagire. Tratto dal romanzo di Becky Albertalli e diretto da un veterano delle serie tv per adolescenti, Tuo, Simon dipinge il mondo, più che come è, come dovrebbe essere. Contrariamente al solito, per questo tipo di soggetto, non spinge sul pedale della crisi identitaria ma è cordiale e ottimista. I ragazzi sono, si, ostaggi di cellulari e social, però anche affabili e bendisposti; le famiglie, di mentalità aperta; le autorità scolastiche, dialoganti e comprensive. Nel suo tono vagamente Indie", un film per larghi pubblici semplice e che si fa voler bene.
Roberto Nepoti, La Repubblica

GREG BERLANTI
Filmografia
:
Il club dei cuori infranti (2000), Tre all’improvviso (2010), Tuo, Simon (2018)

Martedì 30 ottobre 2018:
NICO, 1988 di Susanna Nicchiarelli, con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek, Thomas Trabacchi

 

 

 
 
 

Cineforum 2018/2019 | 16 ottobre 2018

Foto di cineforumborgo

 

L’INGANNO

Titolo originale: The Beguiled
Regia: Sofia Coppola
Soggetto: Thomas Cullinan (romanzo), Albert Maltz, Grimes Grice (sceneggiatura del 1971)
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Fotografia: Philippe Le Sourd
Musiche: Phoenix; le musiche sono basate sul "Magnificat" di Monteverdi.
Montaggio: Sarah Flack
Scenografia: Anne Ross
Arredamento: Amy Silver (Amy Beth Silver)
Costumi: Stacey Battat
Effetti: Joseph J. Oberle, Gotham Digital FX
Interpreti: Colin Farrell (caporale McBurney), Nicole Kidman (Miss Martha), Kirsten Dunst (Edwina), Elle Fanning (Alicia), Oona Laurence (Amy), Angourie Rice (Jane), Addison Riecke (Marie), Emma Howard (Emily), Wayne Pére (capitano), Matt Story (soldato confederato), Joel Albin (uomo della Cavalleria)
Produzione: Youree Henley, Sofia Coppola per American Zoetrope
Distribuzione: Universal Pictures International Italia
Durata: 91’
Origine: U.S.A., 2017
Data uscita: 21 settembre 2017
Premio per la miglior regia a Sofia Coppola al 70. Festival di Cannes (2017); remake del film "La notte brava del soldato Jonathan" (1971) di Don Siegel.

Virginia, 1864. Negli Stati Uniti infuria la Guerra di Secessione, ma le ragazze della Miss Martha Farnsworth Seminary for Young Ladies vive protetta dal mondo esterno. Tutto cambia quando un soldato dell'Unione ferito viene trovato nei paraggi e condotto al riparo. Mentre gli offrono rifugio e curano le sue ferite, la casa viene invasa dalla tensione sessuale e da pericolose rivalità, e i tabù vengono infranti in un'imprevista serie di eventi.
Non c’è quasi mai il giorno pieno ne "L’inganno", il nuovo film di Sofia Coppola. Ci sono albe e crepuscoli e molte brume, ci sono i controluce, ma il sole non sembra mai brillare a pieno.
È il modo molto intelligente e cinematografico con cui la regista utilizza la splendida fotografia di Philippe LeSourd per raccontare una storia di animali e prigionieri, di schiavi bianchi come specchio della schiavitù africana alla base della Guerra di secessione americana. Guerra civile che è lo sfondo del romanzo di Thomas Cullinan da cui è tratto il precedente "La notte brava del soldato Jonathan" di Don Siegel) e che racconta di un soldato nordista ferito gravemente il quale trova rifugio in un collegio femminile: la tensione politica con le ragazze ferventi sudiste si mescola con quella sessuale, il puritanesimo col desiderio. Una miscela che diventerà esplosiva. Coppola sceneggia un dramma sensuale vestito da film storico e thriller psicologico che attraverso l’utilizzo della luce e del colore racconta una storia stratificata, complessa, che racchiude temi e visioni di strettissima attualità. Guardando al romanzo più che a Siegel, prendendone la lettera ma rileggendone lo spirito, "L’inganno" è una miniatura degli Stati Uniti contemporanei raccontati attraverso conflitti ancestrali e irrisolti, che sono ancora al centro del discorso: la divisione di una società ancora razziale (e ironicamente la questione razziale non vede la presenza di neri a discutere) in cui i compartimenti stagni, le classi, le barriere ideologiche oggi più che mai rigurgitanti sono raccontate attraverso la forma, in cui i muri fisici che danno forma a mura intellettuali e culturali prendono le sembianze dei luoghi e degli spazi filmici del film. Perché Coppola torna in un certo senso a "Il giardino delle vergini suicide" nei rapporti tra i personaggi, ma visualizza elementi che fanno parte di tutto il suo cinema: l’estraniamento dal mondo, la scelta più o meno consapevole di una vita autarchica in cui l’estraneo è un nemico o un pericolo o un enigma, nel migliore dei casi. È questa la schiavitù contemporanea ed esistenziale di cui parla "L’inganno" e Coppola, all’apice della tensione e compattezza formale, la mette in scena problematizzando una volta di più la questione di genere e di potere sessuale che è soprattutto una questione di sguardo: basterebbe vedere le traiettorie della regia nelle scene di gruppo per avere la certezza di una regista giunta a completa maturazione, che abbandona vezzi e manierismi per dare spessore ai propri momenti, alle proprie marche dando alla cura pittorica dell’immagine un’inquietudine sottile e persistente. In poche parole, il suo film più bello.
Emanuele Rauco, Mediacritica.it

"L’inganno", di Sofia Coppola, si potrà chiamare, citando il debutto, "Il giardino delle vergini omicide"? Rilettura, non remake, de "La notte brava del soldato Jonathan", 1971, capolavoro di Siegel-Eastwood, è versione femminile del romanzo di Thomas Cullinan del '66, ora anche tradotto (ed. DeA Planeta), amato da Stephen King. Se il primo film era forse un apologo sulla castrazione, questo, percorso da capelli biondi odorosi di shampoo, è il piacere della stessa e tira gotico verso il salotto, Cechov col samovar horror. Coppola s'identifica nelle cinque ragazze del collegio isolato in Virginia che trovano nel bosco, piena guerra civile, 1864, un soldato nordista ferito e lo accolgono trepidamente nel luogo silente assumendolo inconsciamente come segreto oggetto del desiderio collettivo. L'iniziale febbrile diffidenza, anche politica, cede di fronte all'incipit sensuale, al turbamento dei sensi, per le fanciulle in fiore (la sfacciata è Elle Fanning), la prof. Kirsten Dust e la direttrice Nicole Kidman, sguardo on ice. Le gentili baccanti si disputano la convalescenza di Colin Farrell; ma nella notte brava, egli commette un errore. Postato nella fotografia onirica, bella e autunnale, di Philippe Le Sourd, il film vendica il sangue sparso all'esterno facendo le fusa intorno al caporale-preda che, da tradizione, attende fine da tragedia greco-Usa, Eschilo più O'Neill. Ma il lutto s'addice alla Coppola in un film fin troppo elegante, ma ricco di angoscia.
Maurizio Porro, Corriere della Sera

SOFIA COPPOLA
Filmografia:
Il giardino delle vergini suicide (1999), Lost in translation (2003), Marie Antoinette (2006), Somewhere (2010), Bling Ring (2013), L'inganno (2017)

Martedì 23 ottobre 2018:
TUO, SIMON di Greg Berlanti, con Nick Robinson, Josh Duhamel, Jennifer Garner, Katherine Langford, Talitha Eliana Bateman


 

 

 

 
 
 

Cineforum 2018/2019 | 9 ottobre 2018

Foto di cineforumborgo

LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE

Titolo originale: Wonder Wheel
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Vittorio Storaro
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografia: Santo Loquasto
Arredamento: Regina Graves
Costumi: Suzy Benzinger
Effetti: Mark Vicidomini, Eran Dinur, Glenn Allen, Brainstorm Digital
Interpreti: James Belushi (Humpty), Juno Temple (Carolina), Justin Timberlake (Mickey), Kate Winslet (Ginny), Max Casella (Ryan), Jack Gore (Richie), David Krumholtz (Jake), Robert C. Kirk (venditore ambulante), Tommy Nohilly (amico di Humpty), Tony Sirico (Angelo), Stephen R. Schirripa (Nick), John Doumanian (barista da Ruby's), Tom Guiry (uomo che flirta da Ruby's), Gregory Dann, Bobby Slayton, Michael Zegarski (compagni di pesca), Geneva Carr (smica di Ginny), Ed Jewett (cliente da Ruby's), Debi Mazar, Danielle Ferland (ospiti alla festa), Maddie Corman (psichiatra), Jacob Berger (rappresentante orologi), Jenna Stern (Tiny), Michael Striano (marinaio al telefono), John Mainieri (John)
Produzione: Erika Aronson, Letty Aronson, Edward Walson per Perdido/Amazon Studios, in associazione con Gravier Productions
Distribuzione: Lucky Red in associazione con 3 Marys Entertainment
Durata: 101'
Origine: U.S.A., 2017
Data uscita: 13 dicembre 2017

Tra fragili speranze e nuovi sogni, le vite di quattro personaggi si intrecciano nel frenetico mondo del parco divertimenti: Ginny, ex attrice malinconica ed emotivamente instabile che lavora come cameriera; Humpty, il rozzo marito di Ginny, manovratore di giostre; Mickey, un bagnino di bell'aspetto che sogna di diventare scrittore; Carolina, la figlia che Humpty non ha visto per molto tempo e che ora è costretta a nascondersi nell'appartamento del padre per sfuggire ad alcuni gangster.
Al secondo film realizzato con Vittorio Storaro si può dire di essere di fronte ad una nuova fase del cinema di Woody Allen. Stavolta non è il tono del film a caratterizzarla (come quando iniziò a fare film seri) o la committenza (come quando diventò un giramondo che faceva film nelle città che lo chiamavano a farlo) ma la collaborazione con il direttore della fotografia. Come “Cafè Society”, anche “La ruota delle meraviglie” è un film di Allen e Storaro, insieme. Benché la sceneggiatura sia di Woody Allen, come sempre, la messa in scena è talmente influenzata dalle luci e dai colori, quel che accade ai personaggi e quel che capiamo di loro è così determinato dai movimenti di macchina e dalla temperatura cromatica, che l’apporto fotografico diventa determinante per il senso di ogni momento.
Justin Timberlake guarda in camera dall’alto della sua postazione da bagnino anni ‘40 e introduce il film parlando con gli spettatori, siamo nel campo del teatrale, della tragedia greca messa in abiti moderni. Lui avrà una storia segreta con una donna matura e sposata, la quale riceve la visita della figlia di primo letto del marito e proprio questa, più giovane, le ruberà (non sapendolo) il fidanzato. Che poi è sempre Justin Timberlake.
La prima donna, quella più matura, è Kate Winslet, la seconda è Juno Temple. La prima è illuminata con i toni caldi, la seconda con quelli freddi, e quando una situazione passa dall’essere centrata sulla prima, ad essere centrata sulla seconda, il film riesce a cambiare illuminazione nella medesima inquadratura.
È solo un esempio che dimostra come questi film con Storaro siano di una complessità visiva inedita per un regista che gira in fretta come Woody Allen. Ci sono set elaborati, moltissime location e inquadrature che richiedono molto tempo per essere preparate. Niente di tutto ciò cui ci aveva abituato.
Tutto per raccontare un’altra storia in cui il caso è determinante e per farlo a partire da un luogo, Coney Island, il mare di New York. C’è una spiaggia e un parco divertimento vicino al quale vive la famiglia protagonista (ci era cresciuto anche il personaggio principale di “Radio Days”). Proprio la prossimità alla grande ruota panoramica è quel che illumina le stanze della casa (la location in cui accadono più cose) di colori forti e decisi. Cioè il luogo non solo è il motore di tutto (lui è un bagnino, la spiaggia fa da cupido), ma è anche ciò dà un tono visivo alla storia e ne determina il senso.
Nella grande epica dei luoghi che Allen sta raccontando da “Match Point” in poi, questa tragedia tutta interna ai confini di Coney Island (ci sono anche due gangster, interpretati da due attori di “I Soprano”, che per esistere però dovranno venire a Coney Island) è uno dei suoi film più visivamente soddisfacenti, un piccolo trionfo di quotidiane amarezze nelle quali Kate Winslet è la ordinary woman perfetta. Aiutata da un maestoso Jim Belushi (che spazza via in due scene l’immagine comica che abbiamo di lui), fa quel che fece Mia Farrow in Alice o Gena Rowlands in “Un’altra donna”, crea un modello di femminilità alternativo a quelli del resto del cinema, matura e tormentata, sola e sommessamente disperata come un’eroina tragica degli anni ‘50. È un esercizio complicatissimo grazie al quale sorregge benissimo il film, si mette a favore di luce ocra, si lascia bagnare dai tramonti finti di Storaro e pare aver capito che per esaltare questa festa per gli occhi e tragedia per il cuore deve duettare più con i colori che con gli attori. E lo fa!
Gabriele Niola, BadTaste.it

WOODY ALLEN
Filmografia:
Che fai, rubi? (1966), Prendi i soldi e scappa (1969), Il dittatore dello Stato Libero di Bananas (1971), Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972), Il dormiglione (1973), Amore e guerra (1975), Io e Annie (1977), Interiors (1978), Manhattan (1979), Stardust Memories (1980), Una commedia sexy in una notte di mezza estate (1982), Zelig (1983), Broadway Danny Rose (1984), La rosa purpurea del Cairo (1985), Hannah e le sue sorelle (1986), Radio Days (1987),  Settembre (1987), Un'altra donna (1988), Crimini e misfatti (1989), New York Stories (1989), Alice (1990), Ombre e nebbia (1991), Mariti e mogli (1992), Misterioso omicidio a Manhattan (1993), Pallottole su Broadway (1994), La dea dell'amore (1995), Tutti dicono I love you (1996), Harry a pezzi (1997), Celebrity (1998), Accordi e disaccordi (1999), Criminali da strapazzo (2000), La maledizione dello scorpione di giada (2001), Hollywood Ending (2002), Anything Else (2003), Melinda e Melinda (2004), Match Point (2005), Scoop (2006), Sogni e delitti (2007), Vicky Cristina Barcelona (2008), Basta che funzioni (2009), Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (2010), Midnight in Paris (2011), To Rome with Love (2012), Blue Jasmine (2013), Magic in the Moonlight (2014), Irrational Man (2015), Crisis in Six Scenes (2016), Café Society (2016), La ruota delle meraviglie (2017)

Martedì 16 ottobre 2018:
L’INGANNO di Sofia Coppola, con Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Oona Laurence

 
 
 
 
 

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