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L'amore bugiardo - Gone Girl

Post n°12020 pubblicato il 02 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Locandina L'amore bugiardo - Gone Girl

Amy e Nick sono sposati da cinque anni. Belli, colti e ammirati, hanno lasciato New York per la provincia, dove la loro relazione languisce e l'ostilità cresce. Dietro di loro la crisi economica che ha messo in ginocchio l'America e interrotto le loro carriere, davanti a loro nuvole nere che minacciano tempesta e guai, grossi guai. Licenziati dalle rispettive redazioni e dalle rispettive ambizioni, Amy e Nick provano a ricostruirsi una vita nel Missouri. Casalinga annoiata e paranoica lei, proprietario di un bar che chiama The Bar lui, la coppia scoppia il giorno del loro quinto anniversario. Amy scompare senza lasciare tracce, se non il suo sangue versato e ripulito in cucina, un tavolo rovesciato in salotto, un diario che non tarderà a essere ritrovato e un marito apatico che fatica a realizzare la sua condizione. Perché i vicini, i media, la polizia e tutti quelli che lo stanno a guardare sono davvero convinti che sia stato lui ad uccidere Amy. 
A un primo sguardo Gone Girl sembra una corsa contro l'evidenza. Una corsa per scoprire le ragioni della sparizione di Amy e per dimostrare la colpevolezza di Nick. Perché lui ha tutta 'l'aria' del colpevole. Almeno per la polizia, che cerca indizi e accumula prove, per l'anchorwoman più famosa d'America, che sottopone a un'analisi impietosa la sua vita, per i vicini, che giurano al solito di aver visto e sentito, sicuramente per Amy, che gli ha dichiarato guerra prima di scomparire, formalmente per David Fincher, che orchestra nel tempo di un'ora un thriller meticoloso, un gioco di piste, di cinismo, di follia, di fragore mediatico, di illusione romantica. Ma poi, nell'ora e mezza restante, l'autore ridistribuisce le carte e avvia un nuovo film, una commedia esistenzialista e bicefala che alterna i punti di vista e rivela, dietro la messinscena para-hitchcockiana, il grado zero di una coppia e di un matrimonio dominato dalla paura, il sospetto, il tradimento, il rimorso, la rivalsa. Come la protagonista di Kim Novak anche Amy vive due volte. La bionda (e ideale) spirale dei suoi capelli nel prologo diventa segno del film e tono del film. Accarezzata dallo sguardo di Nick, la testa di Amy dissimula cose che lui vorrebbe talmente conoscere che si decide ad aprire la 'scatola'. L'ultima volta che un protagonista di Fincher ha guardato sul fondo della scatola è stato in Seven, un noir cupo di cui Gone Girl replica il gusto per la messa in scena, la scelta cromatica e l'iniziazione alla verità attraverso la creazione di un mondo parallelo. Un delirante disegno che pone il protagonista di fronte alla necessità di compiere una scelta precisa e irreversibile, una scelta traumatica che gli (ri)apre gli occhi. Per Fincher la strada verso la realtà sperimenta sempre la violenza ed è segnata dal sangue, dalle ferite, dai lividi, quando non dalla morte. Amy e Nick sono come ogni altro personaggio di Fincher figli del loro tempo. A ribadirlo è il regista di The Social Network, una tragedia geek che insieme a Gone Girl dice di noi e della nostra esistenza passata a costruire un'immagine pubblica conveniente. Nella rete (sociale), nella vita reale, nel matrimonio. Amy e Nick fingono superbamente di non vedere che il loro piacere narcisistico è compreso nello sguardo degli altri, nello sguardo di chi li osserva, figuranti frustrati dalla loro felicità senza nubi. Ma alla maniera dei film di Fincher, Gone Girl interrompe la narcosi interiore dei suoi protagonisti, facendo saltare lo schema logico e le previsioni facili, diventando gioco interattivo, dove il presunto assassino diventa vittima e la vittima si fa carnefice, dove c'è solo il male, di vivere e di guardare. Gli spazi dell'innocenza, in quel luogo mentale che è la città per Fincher, sono ristretti e affondano senza remissione chi pensava di (ri)costruire. L'ambiente domestico e il quartiere residenziale immacolato, facciata edificata sopra le rovine di un centro commerciale e della crisi economica, correlano le manie dei protagonisti, interpretano la loro psicologia, illustrano la morbosa estetica della malattia, del decadimento, dell'illusione a cui non sfugge nemmeno il matrimonio con la sua pretesa di durare per sempre. Come desidera diabolicamente Amy, che prosegue il discorso di Fincher sull'emancipazione (e libertà) femminile dopo l'amica di Mark Zuckerberg, che rifiuta la sua 'amicizia' (The Social Network) e l'eroina di Stieg Larsson, che si vendica del suo aguzzino e diventa elemento destabilizzante del liberalismo patriarcale (Millennium). Con Amy, corpo rigido e insensibile, la donna si fa mistero angosciante, pronta a ottenere il suo potere a ogni costo e con ogni mezzo, compreso quello di invischiare la preda in una tela di ragno camuffata da felicità coniugale. Assenza mai così presente e rivelazione bionda dentro un valzer di mostri di cui segna il passo, Rosamund Pike è la perfetta antagonista di Ben Affleck, abbagliante e (im)perturbabile, che trova l'epifania in un sorriso e l'attore dentro il riscatto di un personaggio assimilabile al suo. Trasposizione del bel romanzo di Gillian Flynn, che sceneggia il film, Gone Girl è testimone e giudice di quello che siamo veramente, al di là di tutte le apparenze e della capacità di costruire e abitare un teatro della mente. Teatro in cui si mettono in scena Amy e Nick, fatti davvero l'uno per l'altra, sovrani effimeri e officianti radiosi di una cerimonia barbara, dove i 'fedeli' scattano selfie e contemplano soddisfatti la propria immagine sul telefonino. Dopo aver compreso che in fondo anche per gli altri la felicità è una bufala.

 
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