di Salvo Vitale* - 9 maggio 2015
Non ho fatto a tempo a fare il mio solito salto mattutino a mare e la cosa mi ha lasciato nervoso tutto il giorno. Riascolto le cassette di Onda Pazza, comincio a trascriverne qualcuna, poi viene Vito che mi invita a fare un salto nella sua campagna. Siamo al limite del Molinazzo, la mia terra rubata e scolpita nel cuore. In un’aiola, davanti alla casa, c’è una pianta di cannabis mostruosa, alta più di due metri. Accarezzo i fiori e la mano mi rimane unta di resina. Vito scosta alcune pietre da un muretto a secco, estrae un pacco bene avvolto in un sacco di plastica bianco, lo apre e mi mostra tre pistole:
- “Che cazzo ci devi fare? La lotta armata?”
- “Diciamo che mi tengo pronto per la rivoluzione”
- “Peppino lo sapeva?”
- “Certo. Ci siamo anche allenati. Vuoi provare?”
-“Non ora e non qui. Con l’aria che tira, qualcuno sentendo gli spari, potrebbe andare dai carabinieri, che sarebbero felicissimi di avere trovato due terroristi. E poi, so già sparare”.
Vito rimette tutto a posto, tira fuori le cartine e si arrotola una canna. Ha rinunciato a stupirmi.
E’ quasi sera quando mi fermo alla spiaggia. Mi meraviglio nel trovare Pietro al solito posto, sempre con lo sguardo dentro il mare. Il sole del tramonto arrossa il cielo, le barche escono dal porto una dietro l’altra e sciamano per il mare. Pietro sa dove ognuna sta andando, cosa va a pescare, che strumenti usa.
-“Ti manca?”
La domanda mi coglie di sorpresa: -“Moltissimo”.
-“Si fermava ogni sera qua, per qualche minuto. Come te. Anche quella sera”.
Rivedo l’ultimo atto, l’ultima trasmissione insieme, il passaggio in macchina, la sosta, l’agguato, il massacro, le ricerche, la nostra testarda volontà di sapere, quasi da cacciatori di frodo, in un luogo dove la legge stava altrove, la festa guastata agli assassini, che credevano di avere eseguito tutto alla perfezione
L’ULTIMO ATTO
Hanno preso l’ordine
Stavi in alto sul palco,
sulla fine dell’utopia
a rivendicare il tuo posto
in un territorio abusivamente occupato.
Si sono ritrovati nel posto convenuto.
Tra musica e parole
dentro le case entrò l’ultima volta
la tua risata irriverente,
il gioco del tuo flauto incantatore.
Hanno apparecchiato la tavola
Scendiamo dalla tana,
qualche spazio per noi,
ci vediamo più tardi,
è quasi buio
Hanno cominciato la caccia
Ti fermi davanti al mare
per un tuffo nell’infinito incerto
l’acre odore di salsedine
entra nel tuo petto.
Si sono avvicinati con cautela
Quasi gocce di plancton
appena fosforescente,
sorriso bianco dell’onda, forse, oscura risata:
ti addentri nell’arcano respiro del mondo
Hanno catturato la preda
Su di te cala altro buio più violento,
il tempo di riandare alle paure dell’infanzia,
di ritrovarti dentro le fauci dell’orco,
avvertire che non c’è via d’uscita
Hanno sgozzato la vittima sacrificale
Alla fine della strada
qualche sprazzo di luce e dolore
ti lascia il dubbio d’essere
sulla soglia di un mondo che avevi negato
Hanno raccolto la legna ed acceso il falò
In un grumo di sangue
dileguano i trent’anni della tua storia
si fermano incompiute
le tue tante cose ancora da fare
Hanno disposto la carne sulla graticola
Altri aspettano, temono
che non potrai più arrivare,
ti cercano dentro la notte,
rifiutano l’oscuro presentimento
Hanno consumato il pasto
Non è rimasto nulla
se non l’oscura voragine,
brandelli di carne sul prato,
un sandalo, un occhiale, una coscia annerita
Non hanno bevuto il vino:
Alcuni bracconieri
convenuti al suono di un corno nell’etere
hanno interrotto
l’ultimo atto dell’orrendo rito.
Non hanno vinto
* tratto da “Cento passi ancora – Peppino Impastato, i compagni, Felicia, l’inchiesta”(ed. Rubbettino)
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