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L’amico Confalonieri, l’acquisto del Milan, Bush il cowboy, ecc,... da alan friedman

Post n°12669 pubblicato il 19 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

L’amico Confalonieri, l’acquisto del Milan, Bush il cowboy, Saddam e Gheddafi. Un assaggio di My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN

Screen Shot 2015-10-17 at 1.24.06 PM

In esclusiva per i lettori di alanfriedman.it alcuni brani tratti dal mio libro My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN, pubblicato da Rizzoli.

FEDELE CONFALONIERI, L’AMICO DI UNA VITA – Berlusconi ricorda il primo incontro con Confalonieri alla messa della scuola. «Io suonavo l’organo e dirigevo i ragazzi del coro. Poi è arrivato Fedele e fu chiaro fin dal principio che lui con l’organo ci sapeva fare più di me. Studiava già al conservatorio. Così fui lieto di lasciargli il posto». Da parte sua, Confalonieri descrive l’amico come un intrattenitore nato. «Era già uno che aveva le caratteristiche per piacere agli altri: faceva l’attore nelle commedie scolastiche, scriveva per il giornale della scuola… (…) Ma penso che sia stata la musica ad attirarci l’uno verso l’altro. Già al liceo improvvisavamo insieme. Io suonavo l’organo o il piano, e lui cantava. Si vedeva che aveva la vocazione dell’entertainer».

(Brano tratto dal capitolo 1 “Seduttore nato”)

L’ACQUISTO DEL MILAN – Il momento cruciale fu alla fine del 1985, tra Natale e Capodanno. «Eravamo insieme nella casa di Berlusconi a St. Moritz» racconta Galliani. «Era la casa appartenuta allo Scià di Persia, e fu lì che Berlusconi prese la decisione. Io glielo sconsigliavo, perché sapevo quali spese comporta la proprietà di un club. Così gli dissi che era una bellissima idea ma gli sarebbe costata un mare di soldi. Berlusconi non mi rispose. Prendemmo il jet privato da St. Moritz a Milano, solo noi tre, io, lui e Confalonieri, e lui restò in silenzio tutto il tempo. Poi, mentre stavamo per atterrare all’aeroporto di Linate, dopo quaranta o cinquanta minuti di volo durante i quali non aveva aperto bocca, Berlusconi si mise a parlare. Per tutto il volo aveva ripensato al mio consiglio di stare molto attento, o magari all’entusiasmo del suo amico di gioventù Fedele Confalonieri, che a quel punto era a favore dell’acquisto, e proprio mentre stavamo atterrando, quando l’aereo ancora stava rullando sulla pista, Berlusconi ci annunciò la sua decisione: “Andiamo a prendere il Milan”».

(Brano tratto dal capitolo 4 “Il diavolo in corpo: il Milan dei sogni”)

L’AMICIZIA CON BUSH – «Bush entra, con quella tipica andatura da cowboy texano, in un salone dove i leader europei presenti, in larga maggioranza, non lo amano proprio» ricorda Valentino Valentini, il collaboratore più stretto di Berlusconi per le relazioni internazionali. «Entra e vede Berlusconi che gli sorride: è una delle poche persone lì dentro davvero felice di vederlo. Bush grida: “Ehi Silvio! Silvio Berlusconi!”. E comincia a farsi largo per raggiungerlo. Da come parlavano e scherzavano durante l’aperitivo, si capiva benissimo che si erano piaciuti a prima vista. E poi a cena Bush scopre che Berlusconi è l’unico leader in tutto il vertice disposto a sostenere la posizione americana, l’unico primo ministro europeo disposto a proclamare ad alta voce il suo supporto a Washington. Insomma, Bush sembrava molto felice di aver conosciuto Berlusconi. Dopo tutto, Berlusconi è filoamericano. È un campione dell’economia di mercato. È un alleato naturale. Per forza si sono subito piaciuti». Berlusconi ricorda di essere rimasto colpito soprattutto dal modo di parlare, così diretto, del nuovo presidente americano.
«Non ci sono molti politici come lui» dice sorridendo con nostalgia. «Ciò che mi è piaciuto più di tutto, in Bush, è che il suo “sì” significava sì e il “no” no, proprio come succede con me. Quindi avevamo molto in comune». Che la politica estera di Berlusconi fosse costruita sulle relazioni personali – valeva per Bush e sarebbe successo lo stesso con Putin – non è certo sorprendente.

(Brano tratto dal capitolo 6 “America primo amore”)

SADDAM E GHEDDAFI – «Io ero molto preoccupato» ricorda Berlusconi. «Ero preoccupato e volevo provare a far cambiare idea a Bush. Stavo cercando un’alternativa all’invasione dell’Iraq. Pensavo a un Paese in cui Saddam potesse andare in esilio, una via d’uscita per evitare la guerra. Così contattai Gheddafi e discutemmo della possibilità che la Libia accogliesse Saddam. Ne parlammo una mezza dozzina di volte, tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003. Ed ero riuscito quasi a convincerlo ad accettare Saddam».
Berlusconi doveva essere ricevuto alla Casa Bianca il 30 gennaio. Nelle settimane che precedettero la visita si impegnò in una frenetica attività di diplomazia telefonica. «Fu un periodo pazzesco e Berlusconi parlò più volte con Gheddafi» ricorda uno dei suoi più stretti collaboratori. «Bush era disposto ad accettare la soluzione dell’esilio a patto che garantisse un vero cambio di regime in Iraq, ma non credeva che ce l’avremmo fatta. E Gheddafi era un uomo incontrollabile, imprevedibile. Telefonava a Berlusconi nel cuore della notte e gli promettevamo di richiamarlo subito mentre andavamo a recuperare in fretta e furia un interprete. Era davvero pazzesco, stressante».

(Brano tratto dal capitolo 6 “America primo amore”)

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