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Belluscone

Post n°12725 pubblicato il 06 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Locandina Belluscone - Una storia siciliana

Franco Maresco, il regista palermitano di "Cinico Tv" e di alcuni straordinari film, da Lo zio di Brooklyn a Il ritorno di Cagliostro, dopo la separazione dal socio Daniele Ciprì, ha deciso di raccontare la storia d'amorose corrispondenze tra Silvio Berlusconi e la Sicilia. Un viaggio "in solitaria" tra  costume e politica, musica di piazza e cultura mafiosa, finanza e televisioni private.
Maresco non ha in mente un film di denuncia, né a tesi. Non sarebbe nelle sue corde. Ha in mente un'inchiesta sui generis che vuole andare alle radici di un fenomeno culturale e di costume apparentemente solo siciliano, in verità intimamente italiano. Un progetto difficile, insomma, che si allunga nel tempo: le riprese iniziano quando Berlusconi è al potere ed arrivano (senza finire) sulle code della sua parabola politica, sconfinando nella tanto veloce quanto sospetta "rimozione collettiva nazionale". Ma le riprese non trovano fine, né pace. Maresco è solo nella sua impresa e deve lottare con difficoltà di ogni tipo: logistiche, finanziarie, produttive e tecniche, quest'ultime testimoniate nella sublime debacle sonora incorsa durante l'intervista a Dell'Utri, quando il microfono si guasta proprio sul più bello, lasciando la confessione del senatore di Forza Italia inascoltata. Maresco già incline alla depressione non regge più. A suo modo, un misto di orgoglio aggressivo e infinita stanchezza, chiede aiuto, lancia appelli. Lo fa dal suo eremo solitario, dal buco nero dentro cui si è ficcato per seguire l'idea di un cinema più anarchico che libero, più coraggioso che imprudente, più lucido che profetico, più destabilizzante che provocatorio... un cinema sempre più solitario.
I nemici di sempre lo scherniscono, i sostenitori di una volta lo schivano, gli amici creduti tali lo sconsigliano asserendo che nessuno vuole sentir più parlare di Berlusconi, quelli più fidati lo incoraggiano ma senza spostarsi di una virgola. Maresco rimane solo insieme ai suoi personaggi che s'agitano come fantasmi muti nelle tante ore di girato malamente conservate nel deposito di un improvvisato aiuto-regista. Il silenzio è assordante, la solitudine gigantesca. Tutti sembrano aver dimenticato tutto: chi sono, cosa sono stati, con chi hanno flirtato, di chi e cosa sono stati complici, volontari o involontari.
Tra disperazione e calcolo, Maresco fa di sé un latitante, franando dentro qualche cupa cantina della Kalza. Scompare alla vista dei suoi più vicini confidenti, quei pochi che hanno avuto il coraggio e la pazienza di ascoltarlo anche a distanza, raccogliendo lunghissime telefonate notturne nelle sere cupe di confessioni e monologhi. I destinatari di queste comunicazione al termine della notte sono tipi non comuni, i soli capaci di sostenere il peso delle sue bordate. Tra questi c'è il critico e lo storico del cinema Tatti Sanguineti; irrequieto di suo, condivide con Franco sentimenti e riflessioni. Ma Franco non chiama più. Così Tatti dalla Milano dei suoi eterni traffici si mette in viaggio con la faccia scura e sbiancata dalle troppe ore di niente sole e troppe incazzature. Va a Palermo alla ricerca del regista perduto. Come fosse  l'investigatore privato di un noir hollywoodiano, tra Chandler e Wilder, il famoso critico, già autore di inchieste storiche legate alla censura e di ricostruzione biografiche di personaggi leggendari (Walter Chiari, Giulio Andreotti), inizia a mettere insieme i pezzi. Parte dalla rivisitazione delle diverse ore di girato, scoprendo (e facendoci scoprire) i tratti di un progetto ambizioso e folle: una sorta di documentario etno-musicologico che alterna il ritratto in bianco e nero del più famoso impresario palermitano di cantanti neomelodici, Ciccio Mira (berlusconiano di ferro e sostenitore reticente dei vecchi valori mafiosi) alle riprese di concerti di piazza degli idoli locali, le interviste scottanti di senatori illustri a incursioni nei mercati palermitani. Maresco fa capolino con la sua voce stentorea, e ogni tanto entra in scena ed è struggente vederlo in azione, adesso che è sparito. Prende vita la tela del progetto, ma molti, troppi sono i buchi, parzialmente colmati dall'investigazione di Tatti che si muove con grazia inusitata tra le testimonianza di amici, collaboratori, giornalisti locali, passanti e tassisti. Il puzzle si ricompone e quel che doveva essere il film di Maresco si trasforma nella geniale ricostruzione del suo fallimento: il film postumo di un regista latitante, chiuso al montaggio da un amico complice.
  Questo è Belluscone. Una storia siciliana, un film già di culto. Un'opera straordinaria, intimamente wellesiana, un F for Fake palermitano, divertente e tragico. Un giro nell'ottovolante dell'assurdo siciliano e italiano. Sublime, una delle cose più sorprendenti e potenti del cinema italiano (ma Maresco ne ha mai fatto parte?) degli ultimi tempi. Ma anche il film più bello dell'attuale Mostra di Venezia.
  Belluscone. Una storia siciliana è anche un film divertentissimo, sorretto da un'intelligenza sopraffine (e crediamo che molte siano le sue possibilità anche commerciali). Ma è anche un film complesso e stratificato. È un film politico ma non perché parla di Berlusconi e delle compromettenti relazioni con il sistema mafioso, e neanche perché accenna a una continuità tra ieri e oggi, come dimostra il repertorio della comparsata televisiva di Renzi nel programma televisivo "Amici", già visto mille volte, ma qui eclatante nel suo essere manifesto di una progressione culturale. È un film politico perché parla degli italiani e dell'Italia, un film su di noi e per noi, se solo avessimo il coraggio di vedere quel che siamo, seppure deformati nei volti assurdi dei personaggi freaks di Maresco. Belluscone è anche un film sul cinema che non si può più fare, sulla libertà artistica che si tenta di governare, sulla memoria che si vuole manipolare, sulla rimozione che non smette di agire, sulla solitudine di chi parla contro il coro, sulla cultura mafiosa che si pensa di folklore, sulla televisione che ha devastato l'immaginario nazionale, sulla musica popolare che piace e confonde, sui giovani e la tecnologia, sui vecchi e l'omertà...
Il primo incontro con questi oggetti non identificati è sempre emotivo. Si intuisce di essere innanzi a qualcosa di strano, di diverso, di importante. Lo si coglie e lo si fa sedimentare. E il coraggio arriverà più tardi, quello di capire, di meglio analizzare, facendo spazio nel puzzle rigogliosissimo di materiali cinematografici diversi, esempio di una libertà compositiva assoluta. Ora, storpiando Celine, vorremmo dire a Maresco, se ci potesse leggere da un posto che non conosciamo, laggiù dove si è nascosto, che dopo aver visto questo il suo film non saremmo più, ne siamo certi, tanto freddi, cialtroni, volgari come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che ci ha regalato nel corso di questo viaggio nel suo universo e immaginario, che è anche il nostro, perché se guardando un film non si ha la sensazione che qualcosa ci ri-guardi, è inutile perdere il tempo con il cinema.

 
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