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Il mistero dei venditori ambulanti dietro la morte di Giulio al Cairo da lastampa

Post n°12970 pubblicato il 10 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Il giovane era controllato dalla polizia segreta per la vicinanza ai sindacati indipendenti. Forse tradito da un informatore. Pressing delle autorità italiane per scoprire la verità

Giulio Regeni al Cairo stava seguendo un dottorato di ricerca per un’università americana

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08/02/2016
FRANCESCO GRIGNETTI
INVIATO AL CAIRO

Interessandosi ai sindacati indipendenti, Giulio Regeni aveva toccato un nervo scopertissimo per il regime egiziano. Si stava dedicando al mondo dei taxisti e a quello dei venditori ambulanti. Ma se il primo ambito non ha connotazioni politiche, il secondo, per le particolari caratteristiche della società egiziana, è molto più delicato di quanto si possa pensare. Non soltanto perché gli ambulanti del Cairo sono moltissimi e arrabbiati con il governo che li ha scacciati dalla città vecchia, e quindi sono tenuti sotto controllo prima che diventino fonte di disordini, ma perché spesso il loro mestiere li trasforma in informatori della polizia. Sono gli occhi e le orecchie di un regime occhiuto. E quel giovane simpatico, che parlava qualche parola di arabo e un inglese inappuntabile al punto che non si capiva se fosse italiano o statunitense, con i suoi incontri reiterati aveva sicuramente suscitato l’interesse degli apparati del regime.  

 

LA POLIZIA SEGRETA  

È più di un sospetto. È una certezza che Regeni fosse «attenzionato» dalla polizia segreta. Ed egli stesso era consapevole di muoversi in un terreno minato, al punto da usare uno pseudonimo per i suoi articoli sul Manifesto o sul sito Nena-news. Precauzione che non è bastata. Il fatto, poi, che fosse in Egitto a cura di un’università americana, agli occhi di certa dietrologia egiziana è un’aggravante. Solo tre anni fa, per dire, l’Egitto di al-Sisi ha arrestato diciotto ricercatori americani, «colpevoli» di effettuare un monitoraggio indipendente delle elezioni presidenziali. Nella dilagante paranoia che affligge il Paese, infatti, gli stranieri che non siano semplici turisti sono considerati tutti spie o sobillatori. Le frequentazioni di Regeni, insomma, «sospette» agli occhi di chi vede complotti dappertutto, probabilmente hanno determinato il suo arresto e la morte.  

 

Ora però l’Italia, dove è in preparazione un contratto da 7 miliardi di euro per l’Eni che ha scoperto qui il più gigantesco giacimento di gas del Mediterraneo, si attende un atto di rottura e di coraggio da parte dell’Egitto. Così come è stato, in fondo, per il ritrovamento del suo corpo. Sarebbe potuto scomparire nel nulla. Se così non è stato, è merito delle pressioni italiane. Innanzitutto dell’ambasciatore Maurizio Massari, che non si è accontentato delle rassicurazioni di routine. L’ha raccontato ieri a Lucia Annunziata: «Credo che anche l’intervento del presidente Sisi sia riuscito a smuovere la macchina governativa egiziana».  

 

Il 2 febbraio, infatti, con il giovane scomparso da 9 giorni, Massari aveva incontrato il ministro dell’Interno. Inutilmente. «Il 3 febbraio ho approfittato della venuta del ministro Guidi e ho chiesto all’ufficio di presidenza egiziana che avesse un incontro preliminare con al-Sisi». Il presidente si è impegnato personalmente con la ministra per il caso Regeni. E poche ore dopo la polizia «ritrovava» casualmente il cadavere, con segni di putrefazione avanzata, in un fosso a venti chilometri dalla città. 

 

Se però le autorità egiziane avevano pensato di chiuderla lì, si sbagliavano. È stata sospesa la missione economica su cui gli egiziani contavano molto. Da Roma è giunta l’indicazione di tenere duro sulla ricerca della verità. 

 

LE RETICENZE  

È da leggere così, allora, in controluce, la serie di «rivelazioni» che la polizia egiziana fa filtrare sui giornali di qui. Ieri insinuavano che Regeni sarebbe andato alla festa di compleanno del suo professore, sovvertendo la dinamica acclarata della scomparsa. Battono su un esame di tabulati che porterebbe a contatti nella città-satellite «del 6 ottobre», dove sono state effettuate anche perquisizioni. Tutto, pur di allontanare l’attenzione dalla zona «calda» di piazza Tahir dove il 25 gennaio - quinto anniversario della rivoluzione - ci sono state le retate dei presunti oppositori.  

 

Il nostro team investigativo, però, testardamente vuole i fatti. Dopo avere incontrato la polizia (civili), ieri hanno incontrato la sicurezza nazionale (militari). Hanno presentato una serie di richieste scritte. Chiedono di visionare i verbali di interrogatorio, i tabulati telefonici, il tragitto del cellulare, le riprese della videosorveglianza della metropolitana. Sono certi che Regeni è uscito di casa attorno alle 20, così come del fatto che il suo cellulare si è misteriosamente spento dopo mezz’ora. La famiglia del povero Giulio ha diritto di sapere chi ha portato il figlio all’inferno. 

 
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