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Welcome to new york

Post n°13038 pubblicato il 26 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Welcome To New York

Devereaux è a capo del Fondo Monetario Internazionale e sta per annunciare la propria candidature alle elezioni presidenziali francesi quando un'accusa di stupro nei confronti di una cameriera d'albergo lo porta all'arresto mutando profondamente il corso della sua vita.
Abel Ferrara, ispirandosi al caso Strauss-Khan (ma prendendone al contempo le distanze per quanto riguarda la ricostruzione degli aspetti privati della vicenda nel testo che introduce al film) prosegue la propria indagine sugli abissi dell'animo umano. Lo fa aprendo il suo lavoro in modo inusuale con la dichiarazione dell'artificio grazie a una pseudo intervista a Gerard Depardieu che spiega perché ha accettato il ruolo di un personaggio che detesta. Da lì prende il via un film notturno e cupo come le profondità insondabili dell'animo del protagonista. Il tema della colpa e dell'eventuale possibilità di una redenzione ha sempre attratto il regista newyorkese che qui si spinge fino a citare un maestro, autore di un cinema distante anni luce dal suo, François Truffaut, quasi riconoscesse in lui una possibilità di illuminazione anche per chi vive nel buio della disillusione come il suo Devereaux. 
Welcome to New York più che come un'analisi del Potere va letto come la disamina di una patologia. Ma non si tratta solo di una sesso dipendenza (come potrebbe far credere la prima parte del film e come lo stesso Devereaux si autodiagnostica). In un film che non ha nulla del machismo di cui è stato accusato (non tutte le donne gli si concedono e i suoi grugniti, associati alla corporeità in disfacimento di Depardieu, contribuiscono a testimoniare esattamente il contrario) Ferrara va oltre. La colpa di cui giorno dopo giorno si è macchiato Devereaux è stata quella di considerare le donne come cose e la vita come un deserto arido in cui ogni ideale appassisce e muore. La coazione a ripetere che lo spinge a cercare il sesso non distinguendo più tra quando è consenziente (anche se a pagamento) e quando invece non lo è, si rivela direttamente proporzionale all'imputridimento dei suoi ideali. 
Quella redenzione che il regista continua a cercare nei suoi film non è per lui. Non è per un uomo che è ormai convinto che nessuno vuole essere veramente salvato. Il Devereaux di Ferrara non può salvarsi (anche se forse nel profondo lo vorrebbe) neppure da se stesso.

 
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