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Buon 25 aprile a tutti i Resistenti da contropiano
Post n°13144 pubblicato il 25 Aprile 2016 da Ladridicinema
I Resistenti hanno fatto la storia, cambiando in meglio le sorti dell’umanità, in ogni angolo del mondo. Buon 25 Aprile a tutti i Resistenti. Qui di seguito il loro Manifesto: Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia il nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola che mise in fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di Napoleone. Ci riconoscerete dipinti da Goya ne “La fucilazione alla montagna del Principe Pio” e nella urla di gioia che accompagnarono la fuga dei francesi nel 1813. Nasce da qui l’onda lunga che ha portato alla Repubblica del ’36 e alla resistenza antifranchista fino ai nostri giorni. Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti – Ciceruacchio per il suo popolo – insieme al figlio Lorenzo cadeva sotto il plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino indomito, non ci siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in Sicilia fucilarono la nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo ci siamo dati alla macchia rendendo per anni la vita difficile ai piemontesi, ai nuovi padroni e ai proprietari terrieri. A metà dell’ottocento ebbero tanto paura delle nostre barricate che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a piedi. Sventrarono i vicoli e costruirono i grandi boulevard come “strade di una caserma opportunamente ampliata” perché i padroni temevano di incontrare in strade troppo strette i Resistenti come Charles Delescluze o Flourens. Venti anni dopo le barricate infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi Resistenti fummo conosciuti come “Communards”. I soldati del gen. Lacombe furono mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero nemico. Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono alla Cayenna. Eppure, come disse l’uomo di Treviri – la testa migliore degli ultimi due secoli – “dopo la Pentecoste del 1871 non ci può essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro”. Capite adesso perché lo sciopero dei lavoratori in Francia andò così bene anche nel 1995? Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate e nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche nelle nuove colonie di quello che diventerà l’imperialismo moderno. Eravamo nel deserto algerino e sui Monti dell’Atlante con Abd el Kader che tenne alla larga i turchi e umiliò per anni i legionari del generale francese Bugeaud. Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle loro navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la resistenza furono proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che fondarono la loro repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697 contro i colonialisti portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli schiavi, diventati creoli o rimasti neri come i loro antenati, si ribellarono a Bahia, la disinibita città degli incanti e del candomblé cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma eravamo anche più a Nord, eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza di Tupac Amaru. Gli spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne il corpo ma duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti corrotti di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle città. Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete riconosciuto. Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso pitturato con i colori di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo difeso i teepee degli Hunkpapa e dei Santee dai soldati in giacca blu del colonnello Reno. Li abbiamo battuti e messi in fuga nel giugno del 1876 permettendo così alle altre tribù di sconfiggere il generale Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o nella cella di Leonard Peltier ancora si racconta della nostra resistenza. Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le abbiamo scritte nel cuore dell’Europa messa a ferro e fuoco dal nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della Fabbrica di Trattori a Stalingrado. “I nazisti, non potendo prenderci vivi volevano ridurci in cenere” ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di noi. Insieme a lui ed a noi c’erano Stepan Kukhta e il vecchio Pivoravov veterano cinquantenne. Li abbiamo tenuti in scacco per mesi e mesi e alla fine li abbiamo battuti. La nostra resistenza diede coraggio a tutti gli altri e accese il fuoco che portò le nostre bandiere a sventolare fin sopra il tetto del Reichstag di Berlino. Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che fece impazzire la polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione dell’Ottobre. “Il mio insostituibile Kamo” diceva Ulianov preparando il primo assalto al cielo. “Banditi” così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti ma la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli operai di Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della periferia romana e i contadini emiliani o dell’Oltrepò pavese. C’è una canzone che narra di come ancora oggi i fascisti temano il fantasma del partigiano Dante Di Nanni che gira fischiettando per Milano. “Cammina frut” scriveva Amerigo che fu Resistente sul fronte difficile della frontiera con l’Est. E piano piano eravamo ovunque: Maquis in Francia, partigiani nella pianura belga e olandese o sulle montagne greche. Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani hanno impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i Mau Mau e i fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come Amilcare Cabral, colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale degli inglesi, dei portoghesi e dei belgi. Ce l’hanno fatta pagare lasciandoci un continente devastato dalle epidemie, dalla fame, dai saccheggi delle nostre risorse, ma nelle terre dell’Africa siamo arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo che ci serve e poi ci riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare dalla dignità. E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti. L’arrivo della televisione ci ha mostrato come “barbudos” a Cuba, con la kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci vietcong contro i giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle giungle del Vietnam. L’immagine del piccolo Truong che scorta prigioniero un marines grande come una montagna ha tormentato i sonni degli uomini della Casa Bianca per decenni. I Resistenti non hanno mai molte cose a loro disposizione, ma per noi, come dice Truong Son “il poco diviene molto, la debolezza si trasforma in forza e un vantaggio si moltiplica per dieci”. E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o che hanno animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano come macigni sull’occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza dell’occidente. C’erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle giornate di Napoli e di Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto ma il suo volto da ragazzo si è moltiplicato su quelli di migliaia di ragazzi come lui, nuovi Resistenti che hanno bisogno di sapere, di conoscere, di mettere fine agli inganni e alle rimozioni che li circondano, che sfidano i potenti con la determinazione di Rachel Corrie. Fin quando ha agito la legalità formale delle democrazie è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e all’imperialismo occorre resistere. Improvvisare e disobbedire non basta più, oltre ai corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra storia. Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della libertà. All’idea di libertà fondata sull’homo economicus noi proponiamo all’umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il poco sta diventando molto, la debolezza si sta trasformando in forza, un vantaggio si sta moltiplicando per dieci. L’epoca delle Resistenze è cominciata. Radio Città Aperta, marzo 2003
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