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La caduta degli dei

Post n°13351 pubblicato il 01 Settembre 2016 da Ladridicinema
 

LA CADUTA DEGLI DEI (The Damned) - Luchino Visconti (Trama, commenti e video)


LA CADUTA DEGLI DEI

Film di Luchino Visconti

INTERPRETI - Albrecht Schönhals, Dirk Bogarde, Helmut Berger, Helmut Griem, Renauld Verlay, Ingrid Thulin, Charlotte Rampling, Florinda Bolkan, Umberto Orsini, René Koldehoff, Nora Ricci
SCENEGGIATURA - Nicola Badalucco, Enrico Medioli, Luchino Visconti
MUSICHE - Maurice Jarre
FOTOGRAFIA - Armando Nannuzzi
DISTRIBUZIONE - Medusa
GENERE - Drammatico, Guerra
Anno di produzione - 1969
Durata - 154 minuti
  
TRAMA
28 Febbraio 1933. Il vecchio industriale Joachim von Essenbech (Albrecht Schönhals), durante una riunione di famiglia, nomina alla vicepresidenza delle acciaierie l'ufficiale delle SA Konstantin (René Koldehoff), allo scopo di compiacere il partito nazista. Indignato, il liberale Herbert (Umberto Orsinì) dà le dimissioni e si rifugia all'estero. Durante la notte, Joachim viene assassinato e la responsabilità del delitto a addossata ad Herbert. Il nipote di Joachim, Martin (Helmut Berger), eredita la maggioranza delle azioni; ma, succube della madre Sofìa (Ingrid Thulin), nomina alla presidenza l'amante di lei, Friederich (Dirk Bogarde). Essi sono i veri autori del delitto, compiuto su istigazione dell'ufficiale, delle 5S, Aschenhach (Helmut Griem). Più tardi, in seguito al suicidio di una bambina ebrea sedotta da Martin, Konstantin riesce a ricattarlo, per assicurarsi la presidenza. Ma Friederich lo uccide, durante la strage delle SA del 30 giugno 1934. Tutto il potere passa così nelle mani di Friederich e Sofìa, che eliminano anche la moglie di Herbert e fanno internare le sue bambine, per costringerlo a costituirsi. Preoccupato dalla loro eccessiva ambizione, Aschenhach trasferisce il suo appoggio a Martin. Questi, pervaso dall'odio e dal desiderio dì rivalsa, stupra la madre e, dopo aver acconsentito al suo matrimonio con Friederich, li costringe entrambi al suicidio.
In armonia con gli altiforni che fanno da sfondo e con l'inferno nazista che si prepara, la caduta degli dei di Visconti è raccontata come una colata incandescente: passa attraverso ogni forma di fiamma. Dall'incendio (il Reichstag: 27 febbraio 1933) al rogo (la prima Bücherverbrennung, o falò dei libri proibiti, organizzata da Goebbels tramite le leghe studentesche: 11 maggio 1933; ventimila volumi inceneriti allo scoccar della mezzanotte) al fuoco dei mitra (la strage di Bad Wiessee, 29 giugno 1934). Le fiamme distruggono, ma anche saldano. Distruggono gli esitanti, i patteggiatori, i vecchi privilegiati dell'aristocrazia sospetta. Saldano le nuove alleanze, le comunità di sangue, le connivenze segrete. Che differenza fa? Come quelli di prima, gli dei caduti continuano a fabbricare cannoni.
Nel film di Luchino Visconti, la dinastia di cui è tracciata la storia si chiama Essenbech, un nome fittizio che ne cela uno ben più famoso. Per amor di diplomazia il regista e i suoi collaboratori hanno negato, durante le riprese, d'aver voluto raccontare la storia dei Krupp. Ma è a Essen che sono andati a cercare gli esterni del film, e nelle acciaierie di Essen sono stati respinti con ostilità aperta. L'una e l'altra circostanza (e anche il dilagare dell'ostilità, poi, verso i cineasti italiani in tutte le località bavaresi in cui s'erano trasferiti, e in Austria) portano la stessa motivazione, il nome sempre potente dei Krupp.
Mentre l'imbianchino si preparava al potere compiacendosi di riflessi da Walhalla, gli aristocratici al potere si accingevano alla capitolazione o al trasformismo in un'aria di gelido straniamento. II film si apre e si chiude su due sequenze di famiglia, entrambe a conclusione mortale, ma del tutto esangui e proprio perciò spettrali: la festa per nonno Joachim e le nozze di Sophia con Friedrich. Non sembrano il teatro di due delitti nazisti, eppure sono già questo: due delitti nazisti: gli "dei" della Germania degli anni trenta non avevano aspettato Hitler per dilaniarsi l'un l'altro. Solo che l'annuncio di Hitler... "Da oggi ha fine la morale comune", fornisce loro nuove coperture, meno eleganti certo, ma di più lunga durata. Gli Essenbech si adeguano ben presto al nuovo corso, ne hanno la vocazione sotto l'ostentato disprezzo.
La soppressione del vecchio Joachim è ancora un crimine notturno, solitario, compiuto a mano tremante da uno che sarà poi a sua volta vittima designata. Alla fine, Sophia e Friedrich eliminati col cianuro periscono non ad opera di un sicario, ma del superstite trionfante, fra i segni del Partito, fra i drappi e le croci uncinate, in pieno giorno, nel livido delle nordiche adunate, nei lunghi rituali dettati dall'impunità assoluta. La tragedia sta diventando organizzazione. Perché i nazisti hanno inteso l'utilità di volgere gli odi di blasone e di generazione o di eredità e di sesso, di vizio e di privacy, nel grande odio di Stato, dove tutti sono assolti perché tutti sono colpevoli. Gli Essenbech si sono trucidati fra loro, ma chi resta è doppiamente forte. Martin, l'erede, degenerato sessuale, stupratore, incestuoso, istigatore di morti spaventose, dunque non sarà solo un fabbricante d'armi: eletto «"maestro d'odio", sarà un'arma a sua volta, più temibile di cento cannoni.
"Trasformare l'istinto collettivo di noi tedeschi in complicità: ecco il vero miracolo del Terzo Reich" dice soddisfatto l'anima nera della famiglia, il cugino SS, autentico Jago della vicenda.
La storiografia sugli inizi del nazifascismo, ormai ben folta di testi autorevoli, ci avverte che la transizione dei Krupp (scusatemi, Essenbech) dal feudo al regime si è effettuata con minor squasso di quanto il film di Visconti ami indicare. L'opposizione era più che altro questione di stile. Già prima dell'incendio del Reichstag, Gustav von Bohlen, il Vecchio (lo Joachim del film), il marito della "grossa Bertha" che aveva dato il nome al cannone del 1918 che sparava su Parigi dalla distanza di 76 miglia, s'era incontrato con Göring a capo di una delegazione di trenta industriali per assicurare completo appoggio morale e materiale al partito nazionalsocialista. Se mai, i dissensi si produssero subito dopo per un gioco di fazioni interne: i mercanti di cannoni esitavano a trattare le commesse con le forze del partito direttamente, cioè con le Sturm-Abteilungen di Röhm, costituenti la ala sinistra del nazismo, preferendo mantenere i rapporti con la Wehrmacht, cioè con l'esercito regolare. Un gioco politico trasparente, del tutto formale, ma accorto. Un modo di rispettare la "tradizione" ma nello stesso tempo (poiché gran parte dello stato maggiore, altri "dei" teutonici. gli junker milionari e latifondisti, erano già praticamente "caduti" anch'essi davanti a Hitler) di scegliersi gli alleati che fornivano maggiori garanzie di potenza. Infatti, nel contrasto che così si delineava, Hitler scelse come i Krupp: e, con il tacito appoggio di finanzieri e generali, decretò la fine delle S.A. nella famosa "notte dei lunghi coltelli".
"Affileremo i nostri lunghi coltelli - sull'orlo del marciapiede... "... cantavano le camicie brune di Röhm nelle loro parate. Lo cantarono per l'ultima volta nel convegno di Bad Wiessee, un convegno che, tutto patria e bandiera di giorno, divenne orgia barbarica la notte, nelle birrerie del villaggio. Fiumi di birra, poche donne e moltissimi invertiti. Le Stoss-Truppen inviate da Hitler arrivarono contemporaneamente dal monte e dal lago, su camion e zatteroni. Uccisero Röhm e settemila dei suoi ancora nudi e allacciati nei loro amori. Il film immagina che anche un Essenbech, il più triviale, muoia in quella purga, e che un altro della famiglia, colui che deve carpirgli il potere in fabbrica, accompagni la spedizione punitiva. Ciò è molto suggestivo drammaticamente ma appare un errore storico e anche psicologico.
L'alta industria era determinante proprio perché aveva accettato di rendersi invisibile; in ciò stava soprattutto la sua complicità e la sua nuova potenza. Con lo scotto dell'abdicazione politica, aveva mantenuto i1 suo rango e nelle altre attività poteva condursi esattamente come prima. Sia detto di passaggio, se consideriamo questo rapporto come il più adattabile, ne esce alquanto indebolito anche l'espediente narrativo immaginato dal film con il ricatto dei nazisti a Martin Essenbech accusato d'aver violentato e spinto a morte una bambina ebrea. L'episodio è altamente viscontiano e dà luogo a una sequenza assai pregevole, quasi un film in un film però diverso: diverso e diversamente motivato, ripetiamo. Per amor di personaggi, Visconti concentra in Martin le qualità più aberranti del suo ceppo familiare. La verità ammonisce che nella famiglia tedesca coperta nel film da pseudonimo, le aberrazioni erano ripartite disinvoltamente e per così dire generazionalmente, senza che questo scandalo andasse a loro detrimento tanto sotto il nazismo che prima del nazismo. Nelle dimore di Kiel e nelle ville di Capri, le imbandigioni omosessuali di quei signori erano all'ordine del giorno, oggetto di celia per il popolo e di discreta vigilanza per la polizia.
Il fatto è un altro. Così come oggi definire Hitler e le SS dei "mostri" non può costituire un giudizio storico sul fenomeno nazista, anche una rappresentazione dei Krupp-Essenbech in chiave di mostruosità può diventare, com'è qui in Visconti, occasione di robusto spettacolo, non di valutazione politica, o ideologica o sociale. Le Furie o i Demoni (due delle ispirazioni costanti del regista, attraverso la tragedia greca e Dostoevskij) non soccorrono fino alla fine. Si possono sublimare i momenti terribili della storia, naturalmente; è prerogativa dell'artista di forzarne le circostanze fino al simbolo, ossia di ampliarne i significati. Ma se non sono selezionati con estrema cura i mezzi per questo ampliamento, esso è solo apparente e le metafore personali prendono il posto dell'allegoria. Allora ecco che il sovrumano astratto si sostituisce all'inumano concreto, in una situazione precisa che ha coinvolto l'umanità. La resa degli dei al caporale è una fatale simbiosi di decomposizioni, che salta tutte le fasi intermedie. Però in queste fasi intermedie c'è gran parte della Germania; mi sembra una ellissi molto pericolosa per almeno due ragioni. In primo luogo, così impostando le cose, si finisce per avvicinarsi (sia pure su un piano cinematografico molto più serio, s'intende) alla mentalità caratteristica di tanto cinema tedesco del dopoguerra, che presentava in Hitler l'unico responsabile d'ogni male e nelle SS (tutt'altra cosa dalla tik7ehrmacht) i suoi bene individuati aguzzini. Quei film erano tendenziosi e La caduta degli dei certo non lo è; l'antifascismo di Visconti rimane, non occorrerebbe dirlo, fuori causa. Si tratta tuttavia, dicevamo, di un impiego improprio degli strumenti ispiratori, rigorosi solo a livello estetico, meno a livello politico-civile. Non riesco a evitar di pensare che, a dispetto del suo proverbiale impegno d'uomo di cultura (e diciamo di cultura "storica"), questa volta il regista abbia scelto la strada più comoda, cedendo al temperamento. E qui sia stato più o meno apertamente incoraggiato da altre situazioni esterne, riguardanti produzione del film, clausole di distribuzione (americana), ulteriori opzioni tecnico-artistiche come la scelta degli attori ecc.
Tornerò più avanti sull'argomento.
   

    
Genesi e sviluppo del nazismo
In secondo luogo l'equivoco è dato a mio avviso dal fatto che la tesi del film così costruito, su basi classicamente tragiche, non può non condurre ad una 'catastrofe' che possiede, come appunto nella tragedia, o se vogliamo nei melodramma, la caratteristica inalterabile della definitività. Con i personaggi finiti finisce la storia, e il giudizio che se ne è dato si codifica per sempre, entra cioè nel passato. Senza dubbio; noi vediamo nel film l'inizio del nazismo, l'inizio della potenza di Hitler; però, sintetizzato nei termini che ci sono offerti, sappiamo che poi quel nazismo è stato sconfitto. Poiché il nazismo è raffigurato nel mostro-Hitler, e Hitler è morto, il nazismo più non esiste. Poiché il capitale che lo ha sostenuto è raffigurato negli Essenbech, e gli Essenbech si sono scannati fra loro e l'ultimo è diventato una SS di Hitler, gli Essenbech più non esistono; Visconti abbassa il sipario. Ma è vero, che il sipario si possa abbassare? Quegli avvenimenti sono davvero finiti nel 1945, o sono proseguiti invece sotto diverse e rinnovate mascherature in Germania e fuori, fino a oggi; e sono potuti proseguire proprio perché gli eventi, le persone, i fatti del nazismo non erano (o non erano soltanto) come il film li riassume, li tragicizza, li denuncia?
Ho letto vivaci consensi all'attualità del film di Visconti; personalmente non l'ho trovata, all'interno del film (e forse sarebbe stato molto più illuminante al riguardo un film su come è nato il film: con le alleanze e le inimicizie tra i finanziatori, i contributi di sceneggiatura, i1 contegno dei tedeschi d'oggi davanti alla troupe, l'entusiasmo delle giovani comparse che non avrebbero più smesso le divise SS riesumate per l'occasione, e che continuavano a cantare tutta la notte, ben dopo la fine delle riprese, l'Horst Wessel Lied e altri inni nazisti). Alla Caduta degli dei fa difetto una genuina forza di attualizzazione. Possiamo riscontrarla nel nostro epidermico risentimento davanti ai vessilli e alle uniformi del film, o possiamo intuirla rimeditando l'opera di Visconti nella sua interezza, ma questo è tutto. Mancano i dati dialettici e realistici, rifiutati dall'apparato espressionistico-mortuario e dalla sommarietà (vistosa sommarietà, il che non giova) delle citazioni di storia.
  
    
Tre secoli di storia degli uomini dell'acciaio
Gli uomini dell'acciaio che il film illustra hanno tre secoli di potere dietro di loro. Sono stati la famiglia più ricca della Germania e per tre volte in meno di cento anni hanno dato alla Germania il più poderoso armamento d'Europa. Sotto il nazismo, ai loro operai si sono aggiunti come schiavi i detenuti di 138 campi di concentramento, in gran parte poi morti di stenti. Ai processi di Norimberga Alfred Krupp (incriminato al posto del padre Gustav, che sfuggì al carcere "perché vecchio e malato") è stato condannato a 12 anni, e alla liquidazione delle sue industrie pesanti. Dopo soli due anni e mezzo il commissario americano McCloy lo rimetteva in libertà; la seconda pena non ha mai avuto corso. Con un abile gioco di vertice e creando nuovi cartelli, gli "dei caduti" si rimettevano al lavoro e potevano far proprio il motto di altri Gattopardi: bisogna che tutto cambi, se si vuole che tutto resti come prima.
  
Helmut Berger
    
Pregi e limiti del film di Visconti
Siamo sicuri che tutto ciò s'intenda nel film? Naturalmente non si pretende che Visconti girasse un altro film, al posto del suo. Non è la saga secolare che mi interessa, bensì la visibilità, il peso vivo di quei due secoli d'acciaio per il potere. Sappiamo la replica, perché Visconti ha messo le mani avanti. Non volevo fare un film storico, ha dichiarato. E benché la premessa - venendo da Visconti, che non è Fellini - mi avesse meravigliato un poco, sarebbe stata sufficiente a dare una diversa piega a questo commento, se il regista non avesse aggiunto un'altra precisazione, "volevo che i giovani conoscessero la verità sul nazismo", che forse non è perfettamente in accordo con la prima perché non può prescindere da una dimensione eminentemente storicistica. Mi sembra che i1 duplice proposito, venendo ad urto con se stesso, non abbia aperto a Visconti nuove possibilità rinnovatrici che forse erano nei suoi intenti, bensì abbia pregiudicato negativamente una delle peculiaretà positive più interessanti di tutta la sua opera, quella che Renzo Renzi chiamava la "scissione morfologica tra personaggio e ambiente...: nel personaggio l'autore con la sua crisi, nell'ambiente l'autore col suo giudizio". Già Ossessione, ma soprattutto Senso, Rocco e i suoi ,fratelli, Il gattopardo facevano di tale scissione la loro più recondita e affascinante coerenza. Questa volta il risultato è meno netto. Il giudizio, demandato ripetute volte dall'ambiente ai personaggi, si accademizza, si aliena. La crisi cerca supporti esteriori nelle forme del film, non nei suoi significati precisi. Il che fa apparire tutto molto lontano. Lontani i fatti del film, e sappiamo che non lo sono.
O lontano Visconti da noi, e non vorremmo che fosse.
A lontananza d'America, per esempio? Mi rattristerebbe, ma il dubbio è lecito. Questa prima grossa combinazione internazionale di Visconti - con anteprima alle Bahamas su organizzazione Warner Bros - forse non ha condizionato direttamente il grande regista ma lo ha indotto a premere un poco sul pedale dell'americanismo, una componente ch'egli si porta appresso da Ossessione ma che è riuscito fin qui a disciplinare e addirittura a sfruttare magistralmente. La caduta degli dei è un film che potrebbero avere fatto Elia Kazan o Fred Zinnemann in una giornata felice. E' una leggenda sul nazismo sedimentata dal tempo, un thriller suggestivo, una grande pagina sui gangsters d'Europa, le gesta di una famiglia fosca e dannata (The Damned è il titolo del film sui mercati di lingua inglese). Si guardi quell'Aschenbach delle SS, che sogghigna e pilucca l'uva come i nazisti dei film hollywoodiani di propaganda del '43. Sono contributi, sono reminiscenze, sono diversivi, in un film in cui, verdianamente, "stride la vampa" delle passioni ma tarda a diffondersi la chiara acuta luce d'una vissuta realtà.
    

 
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