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Rosso Istanbul: un toccante tuffo nel passato per affrontare il presente con felicità da movietrainer.com

Post n°13671 pubblicato il 03 Marzo 2017 da Ladridicinema
 
Tag: news

Nel 2013 Ferzan Ozpetek regalò ai lettori il romanzo Rosso Istanbul, e in meno di un mese la Mondadori era già alla terza ristampa. A distanza di tre anni il regista turco naturalizzato italiano, insieme alla 01 Distribution, porta sul grande schermo il suo ultimo film liberamente tratto da quel successo editoriale: una delle opere più intime, autobiografiche e complesse della sua intera carriera.

L'editore Orhan Sahin, che vive all’estero da anni, si reca a Istanbul su invito del famoso cineasta Deniz Soysal per lavorare al suo libro. Fin dal primo giorno, Orhan si trova avvolto in una fitta tela di relazioni complicate, amici misteriosi e familiari di Deniz: tutti descritti nel romanzo. Mentre riscopre la sua città natia con occhi nuovi, inizieranno anche a riaccendersi in lui sentimenti dimenticati da tempo… Proprio come avviene per il protagonista, dopo 20 anni da Il bagno turco anche Ozpetek decide di tornare ancora una volta in patria per girare Rosso Istanbul, coproduzione italo-turca che vede coinvolte la R&C Produzioni di Tilde Corsi e Gianni Romoli, la BKM di Istanbul, e la Faros Film con Rai Cinema. Elegante, ipnotico, struggente, coinvolgente, misterioso e inquietante nella medesima misura dei suoi personaggi, dietro ai quali è impossibile non notare somiglianze con l’autore stesso, il film scorre con ritmo dilatato nello spazio e nel tempo. Il suono in lontananza dei battelli che solcano placidamente le acque del Bosforo, i garriti dei gabbiani, il canto melodioso dei Muezzin, i rintocchi delle campane cattoliche, le urla dei manifestanti, le sirene della polizia e il continuo rumore di martelli pneumatici formano la colonna sonora che mostra, senza mai far vedere, una città magica in mutazione dove il passato è memoria indispensabile per affrontare il cambiamento, anche se "chi guarda troppo al passato rischia di non vedere il presente". La trasformazione e il fascino di Istanbul, che il regista riesce magistralmente a rappresentare grazie soprattutto alle sonorità , va di pari passo con la metamorfosi emotiva e razionale di Orhan che, lentamente, riprenderà finalmente a vivere.

Ogni lavoro di Ozpetek nasce da un’esigenza profonda che lo spinge a mettere in scena i temi a lui più cari, quali l’amicizia, l’amore, l’omosessualità, la malattia e la naturale paura della morte, l’abbandono e l’assenza, sempre narrati con grande garbo e sincerità. Ma, in Rosso Istanbul, è l’amore - sia personale che cinematografico - ad occupare il posto d’onore. Questo viene infatti coniugato in tutte le sue declinazioni: viscerale verso la propria città; smisurato per sua madre, che in età matura adorava il colore rosso; straziante per la scomparsa di un figlio, come quello delle ‘Madri del Sabato’; complicato verso la persona amata; sconfinato nei confronti delle minoranze etniche; immenso per gli esseri umani e i loro piccoli o grandi difetti. Biografia e invenzione si intrecciano dunque continuamente in ciò che viene raccontato. Yusuf, l’amante di Deniz, sarà forse la figura più reale e difficile da dimenticare, perché ciò che salta all’occhio è l’intensa delicatezza con cui Ozpetek tratteggia questo personaggio: un omaggio indimenticabile alla fragilità propria degli animi più sensibili.

L’importanza dei rapporti umani, la necessaria condivisione degli affetti e delle emozioni sono la cifra distintiva dei lavori di Ozpetek, e Rosso Istanbul non fa eccezione. I numerosi e lunghi primi piani sui volti degli attori sono più eloquenti di qualsiasi parola, ogni sguardo racchiude un non detto che sottende ogni immaginabile sfumatura di dialogo. Tutto questo è possibile sia per l’abilità del regista nel dirigere gli attori, che per l’incredibile bravura del cast artistico, interamente turco: nessuno escluso.

L’Amore, quello con la A maiuscola, non è facile da narrare, ma Ozpetek riesce a farlo anche solo inquadrando una ciotola piena d’acqua lasciata al solito posto per Tommy, un meticcio morto da anni: perché “le separazioni sono per chi ama con gli occhi. Chi ama col cuore non si separa mai”.

 
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