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Padri e figlie

Post n°14024 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 


New York, 1989. Jake Davis è uno scrittore che ha già vinto un premio Pulitzer. Quando sua moglie muore in un incidente d'auto Jake si ritrova a dover crescere la figlia Katie da solo, e a gestire una serie di problemi fisici e mentali che lo costringono ad un temporaneo ricovero presso un ospedale psichiatrico. Purtroppo Katie viene affidata alla zia, sorella della madre defunta, che nutre verso Jake un profondo rancore. New York, 25 anni dopo. Katie è diventata un'assistente sociale che si occupa di bambini disagiati e che nel tempo libero si concede a chiunque, rifiutando di instaurare legami che vadano oltre il sesso occasionale. Il grande amore che ha provato per il padre le ha lasciato un vuoto incolmabile e ha fatto di lei una persona in grado di aiutare gli altri, ma non se stessa.
Che Gabriele Muccino abbia compiuto con Padri e figlie un salto di crescita si capisce soprattutto dall'ultima scena, che chiude il cerchio emotivo della storia in campo lungo, rinunciando al primo piano che il regista avrebbe usato in passato. Fedele al suo registro narrativo melodrammatico, Muccino sceglie qui di contenere le emozioni invece che lasciarle traboccare ovunque, e segue in modo lineare e rigoroso la progressione esteriore e interiore della storia pur muovendosi su due diversi piani temporali, di fatto mescolando due film attraverso continui flash back e flash forward.
Lavorando su una sceneggiatura preesistente (di Brad Desch) e all'interno di una macchina produttiva angusta come quella statunitense (sulla quale però questa volta il regista esercita una misura di controllo maggiore perché nel team ci sono anche Andrea e Raffaela Leone, i figli di Sergio) Muccino tira fuori tutto il mestiere che non gli è mai mancato senza sconfinare nelle derive autoriali che spesso gli hanno teso uno sgambetto. E paradossalmente la confezione artigianale valorizza la cifra d'autore del Muccino regista: quel modo di far lievitare la storia attraverso le emozioni e di gonfiare il petto dei protagonisti della forza necessaria a superare gli ostacoli, spingendoli a compiere azioni esagerate al cospetto di circostanze paralizzanti.
In Padri e figlie c'è tutto Muccino: la corsa della ragazza che insegue il suo sogno, l'ansimare dei personaggi in difficoltà, lo strazio genitoriale nel promettere ai propri figli ciò che non si è certi di poter mantenere, i sentimenti viscerali e fagocitanti secondo i quali una persona dev'essere "mia e di nessun altro". Ancora una volta Muccino racconta una storia di antieroi donchisciotteschi che si arrampicano su una parete insaponata continuando a scivolare a valle, ma che non mollano la loro impresa titanica ad alto rischio fallimentare.
Muccino si toglie anche lo sfizio di deridere i suoi detrattori facendo dire a Jake "Me ne frego delle recensioni" e "Non so perché Dio abbia creato gli scarafaggi e i critici": poi però (altro salto di maturità) mostra come su certe valutazioni i critici di Jake avessero avuto ragione, e come un gesto successivo di umiltà da parte dello scrittore determini un risultato finale assai migliore. Muccino infine lancia una stoccata contro gli Stati Uniti del Denaro, che come è noto reggono anche i cordoni della borsa hollywoodiana: perché un regista si riconosce anche dalle "tasche piene di sassi", come direbbe Jovanotti, che ha un cameo acustico in una scena del film.

 
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