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Knight of cup

Post n°15634 pubblicato il 19 Marzo 2020 da Ladridicinema
 

Rick è un uomo in crisi e in cerca di senso. Sceneggiatore a Los Angeles, ha perduto il contatto con la realtà e cerca la sua interpretazione nei tarocchi. Sospeso tra i set di Hollywood e le strade di L.A., Rick passa da un party all'altro e da una donna all'altra, provando a doppiare suo padre e a contenere suo fratello. Risvegliato nel profondo da un terremoto e da una voce ancestrale, insegue un dolore in Nancy e l'amore totale in Elizabeth. In mezzo, letti e piscine in cui godere, soddisfare, rivoltarsi e intorpidire. Davanti "la strada per l'oriente", quella di una favola antica e di una perla che Rick ha finalmente ricordato di cercare.
Abbiamo atteso The Tree of Life, come la maggior parte dei film di Terrence Malick, per anni e con un'impazienza ossequiosa. All'improvviso l'autore americano ha colmato i lunghi intervalli di tempo della sua produzione, realizzando a breve distanza due film. L'accelerazione la comprendiamo meglio alla luce di To the Wonder e di Knight of Cups, pure emanazioni di quel'albero. Albero che il sarcasmo ha voluto abbattere e un rispetto reverenziale 'ascendere'. Perché il cinema di Terrence Malick produce riflessioni divergenti nel tentativo di cercarvi l'ordine narrativo o la razionalità dello stile.
Se storia, personaggi e luoghi si rinnovano, To the Wonder sboccia una storia d'amore a Parigi e la smarrisce negli States, Knight of Cups insegue l'errare di uno sceneggiatore cacciatore di perle in un universo di strass e paillettes, la messa in scena è quella di The Tree of Life. Quei piani, quegli spazi, quei tempi infiniti e quei vuoti di tempo, quella maniera di precipitare in apnea dentro gli infinitesimali frammenti della vita, quei monologhi interiori, i presentimenti, lo sguardo liquido, i liberi accostamenti, l'assenza di coordinate, le aritmie, che producevano lo stupore nei film precedenti, lo hanno infine disattivato. Il luogo comune ha divorato progressivamente la meraviglia.
Knight of Cups, storia di un cavaliere errante che cerca una coppa e finisce nel calderone (di Hollywood), si alimenta ancora di una prospettiva filosofica e di inquadrature tra terra e cielo, tra mare e cielo, gettando lo sceneggiatore di Christian Bale nei marosi, nella crisi e nel dubbio della sua coscienza. 'Smazzando' immagini come carte dei tarocchi, Malick scandisce il film in capitoli accordati agli arcani (la Luna, l'Appeso, l'Eremita, la Papessa, etc) e infila un percorso iniziatico e una dimensione superiore, in cui il disordine della mondanità sfuma nel silenzio che 'sente' il divino. Knight of Cups rilancia la contraddizione tra la percezione della vita rivelata e il travaglio (in)gestito da Rick, che frequenta le dimore delle stars, 'guidato' dalla mappa di David Cronenberg. Perché Knight of Cups si muove con maniera nell'industria dell'intrattenimento, tra strip e draggy dance party, tra club e photo shoot. Daccapo il dualismo, da un lato la realtà sublime di chi scrive le immagini, dall'altro le ricadute materiali dell'uomo. Rick abita nel paese dei sogni (e del sogno) ma ha smarrito lo stupore, quello che Malick ci rovescia in primo piano come l'onda di un oceano. L'oceano che lo ha annegato e da cui adesso Rick prova a riemergere. A questo giro di giostra è la coppa del titolo il richiamo ancestrale, l'archetipo legato alla necessità che ha sempre avuto l'uomo di raccogliere e trattare l'acqua della vita che per la sua natura sfugge alla presa.
A sfuggire alla comprensione è pure l'irriducibile ambizione di filmare l'infilmabile interiorità dell'essere, insistendo sul corpo offeso di un homeless e su quello magnificato di una modella. A rammaricare amaramente è scoprire che per Malick non conta niente altro che la meraviglia. Un sentimento di viva sorpresa che rivela dentro pagine straordinarie un'esperienza amatoriale delle cose umane

 
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