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Good kill da mymovies

Post n°14572 pubblicato il 17 Agosto 2018 da Ladridicinema
 

Good Kill è quello che dicono i piloti e i militari americani quando un colpo è andato a segno, a "buon fine". Quelli dell'omonimo film di Andrew Niccol sono "sparati" da dei piloti speciali che comandano aerei speciali. Velivoli invisibili che sorvolano a 3 km dal suolo i territori della lotta al terrorismo, dall'Afghanistan allo Yemen, per eliminare con missili balistici ad alta precisione un uomo, una casa un drappello di persone, un camioncino in movimento... che siano sospettati di attentare alla sicurezza nazionale americana. Questi piloti muovono ali e armamenti comodamente seduti dentro un box con aria condizionata nel deserto vicino a Las Vegas. Non rischiano nulla, ad eccezione della loro salute mentale. Una guerra più che fredda: astratta, quasi metafisica, virtuale... se non fosse che i missili fanno saltare in aria corpi di uomini, donne e bambini veri, in carne e ossa.
Il comandante Tommy, un top gun che ha fatto sei "tour" (come vengono definite le missioni su campo sempre secondo l'agghiacciante lessico militare americano), è stato messo a terra, vicino alla famiglia, ed è uno dei piloti dei droni con i quali gli americani hanno aperto un nuovo e più preciso fronte di guerra. Tommy è in crisi perché vuole tornare a volare e perché la pratica virtuale da playstation della nuova guerra al terrorismo non gli piace affatto. Sebbene sia vicino ai suoi cari, in verità è più lontano che mai. La crisi, esistenziale e morale, si fa più cocente e drammatica dal momento in cui la sua squadra viene messa direttamente al "servizio" dei servizi segreti, la CIA, che agisce fuori dalle regole convenzionali di ingaggio. Una voce da Langley definisce i bersagli e chiede loro di sparare anche innanzi a donne e bambini, usati a loro dire, come scudi. Sono danni collaterali, vittime sacrificali e sacrificate dai Lords of War della guerra al terrorismo; le loro azioni, anche le più abiette, sono giustificate dalla logica della protezione preventiva.
Il pilota Tommy non regge più, inizia a bere e ad assumere un comportamento non consono al comando del suo joystick, e ne pagherà le conseguenze. Alla trama militare si aggiunge una sotto trama familiare che il pilota nelle vesti di marito assente e padre inaffettivo.
Se l'autore di Good Kill non fosse Andrew Niccol, regista di Gattaca e sceneggiatore di The Truman Show (tra le altre cose), avremmo liquidato questo film, che chiude quelli del Concorso di Venezia, come un'operazione irricevibile per quel tanto e tantissimo di ambiguità e di falsa coscienza. Seguire le spire del discorso morale di questo dramma militare è tutto sommato pericoloso perché si rischia di accettare, senza rendersene conto, delle premesse che andrebbero in verità analizzate nel profondo. Quali sono i limiti di un'azione militare preventiva portata nel cuore del territorio che nasconde i nemici tra folle di civili inermi? Andrew Niccol ci pare vittima in questo film della logica dei pro e dei contro, delegata a una sceneggiatura misurata fino alla noia con il risultato di un film piatto. Eppure molti erano gli elementi a disposizione, alcuni cari al discorso di questo regista di origine neo-zelandese. Ad esempio del controllo assoluto, cuore filosofico del film Truman Show, che qui viene declinato attraverso l'occhio militare dei droni che dall'alto tutto controllano. Un occhio non più umano, ma "divino" per quel tanto di punizione che dal cielo cade sotto forma di missili per colpire i cattivi, ritenuti tali, i presunti cattivi e gli innocenti, vittime collaterali. Degli ultimi film a tema, tra cui The Hurt Locker e Zero Dark Thirty entrambi della Bigelow, quest'ultimo è il più teorico e per questo ambiguo. Basti pensare che la crisi principale del pilota Tommy viene dal non poter più fare le missioni vere, quelle con gli aerei da caccia, dove si uccide ma si rischia anche di essere uccisi. Nostalgia per gli anni di Top Gun... di cui questo è un remake all'epoca del digitale.

 
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