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Messaggi di Dicembre 2014

 

Film nelle sale da domani

 

Christoph Waltz: il marketing è strategia della menzogna DA CINECITTà NEWS

Post n°12017 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Barbara Sorrentini30/12/2014
Abbiamo incontrato a Milano l'attore austriaco,già interprete e premiato con due Oscar in Bastardi senza Gloria e Django di Quentin Tarantino
Dal 1 gennaio sarà nelle sale il nuovo film di Tim BurtonBig Eyes, tratto dalla storia vera della pittrice Margaret Keane, famosa negli anni '50 e '60 per i suoi soggetti dagli occhi grandi. Il film rivela la storia d'amore tormentata con il marito Walter, pittore scarsissimo, che le rubò i dipinti spacciandoli per suoi. Una storia piuttosto incredibile, che rappresenta un'epoca artisticamente florida ma ancora bigotta, in cui l'uomo pretende la supremazia, anche intellettuale, sulla donna che per insicurezza acconsente soffrendo. Nonostante l'epoca è un film molto attuale. 

E' un personaggio ambiguo quello che lei interpreta in Big Eyes, come se avesse due caratteri opposti: uno è reale e uno fittizio. Come ha lavorato su questa doppiezza?

Ognuno di noi ha più di una personalità, solo le persone noiose ne hanno una e comunque quell'unica personalità ha più di una sfaccettatura. Soltanto un cadavere ha una unicacaratteristica, quella di morto. Il lavoro interessante è trovare l'equilibrio tra i due caratteri. Abbiamo tutti le stesse qualità perché siamo tutti esseri umani, la sfida interessante è capire qualisono le qualità predominanti, quali quelle attive, quali quelle nascoste e comunque attive, quali dormienti. So di una persona che nel diciannovesimo secolo ha tirato fuori una teoria gigantesca su queste cose e ci ha pure costruito su una grossa carriera. Un austriaco.

Walter Keane è un impostore che si spaccia da artista senza esserlo. A cosa si è ispirato?

A una cosa che si potrebbe chiamare marketing. Il marketing è una sorta di strategia della menzogna, ma questo è già un punto di vista sulla storia ed è un giudizio che io non dovrei dare: come farei a interpretare un personaggio che considero un bugiardo? Cerco di non accusare mai qualcuno di essere bugiardo, trovo interessante come si riesca a descrivere in un modo una situazione che io interpreto diversamente. Di solito si inganna per ricavarne un vantaggio, come per esempio con il marketing. Parlare di menzogne è una prospettiva morale e il film è una finzione drammatica, non un melodramma ed è giusto che lo spettatore arrivi a un punto di vista morale;ma dall'altra parte dello schermo cinematografico, dove le persone stanno cercando di dare vita a una relazione, di far prendere piena velocità al dramma, il giudizio morale potrebbe essere un ostacolo. 

Cosa sapeva di questa storia, conosceva l'artista Margaret Keane?

Conoscevo i quadri ma non conoscevo la storia e il marketing è un'invenzione di quell'epoca: i metodi usati dai pubblicitari sono di quell'epoca, la propaganda esisteva già da prima. Ma questo non è il tema principale della storia, al centro c'è la relazione tra queste due persone, di cui non sapevo nulla. Avevo già visto quelle figure con gli occhi grandi, ma devo ammettere che non mi importava più di tanto chi li avesse dipinti, né importava a nessun altro, perché furono venduti con ottimi risultati. In pochi conoscevano quella storia, eppure è molto interessante e ambigua. La relazione tra i due coniugi, la dipendenza reciproca, lo sfruttamento quasi consenziente. Erano entrambi parte di una stessa finzione, lei sapeva quello che lui stava facendo eppure quella relazione andò avanti nel corso del tempo. Con il crescere dell'importanza del marketing divenne importante l'apparire in pubblico, l'economia di mercato e l'arte ne fu coinvolta in pieno. Oggi l'arte non ha niente a che fare con l'arte, quello che oggi viene venduto come arte è uno dei beni fittizi che creano capitale.

Quasi tutte le sue interpretazioni, dai film di Quentin Tarantino Django Bastardi senza gloria, aCarnage di Roman Polanski fino a Big Eyes di Tim Burton, pur essendo di personaggi negativi hanno sempre come filo conduttore l'ironia. Quanto è importante l'ironia nel suo lavoro?

Anche il personaggio di Walter Keane ha un certo senso per l'ironia. Io provengo dalla cultura diVienna, molto ironica e dialettica. L'ironia ha a che fare con la dialettica, con l'altro punto di vista, èun indicare da una parte per andare dall'altra. Da dove vengo io si fa un grande uso dell'ironia. Poi ci sono altre culture, per esempio quella del paese confinante a quello da dove vengo io, dovel'ironia non viene capita; e pensare che storicamente hanno avuto una grande tradizione didialettica, ma non nel loro comunicare quotidiano. Spesso mi rendo conto che altri non capiscano di cosa stia parlando; devo tradurre me stesso da una cultura all'altra per riuscire a farmi capire,devo prosciugare l'ironia. Voglio dire che secondo me all'inizio Walter Keane non si prende tanto sul serio, sta fingendo, ed è per questo che applicare la prospettiva morale sarebbeun'esagerazione dannosa, perché lui stava giocando, fino ad oltrepassare i confini del suo sensoper l'ironia e pur continuando a fingere, gli altri cominciarono a prenderlo sul serio. Non ci avevo mai pensato, ma è una prospettiva ottima da cui guardare la storia: non è stato solo frainteso, è l'ironia che è andata persa perché nessuno l'ha colta.

Ci racconta qualcosa sul contesto e la ricostruzione dei luoghi e dell'epoca di Big Eyes, San Francisco a partire dalla fine degli anni '50?


Durante tutta la lavorazione del film a San Francisco non abbiamo passato solo cinque giorni ea San Francisco ci siamo andati nel 2013, quindi niente a che vedere con quella del 1953, ma sisente ancora qualcosa nell'aria: c'è la baia, ci sono le reminiscenze, tutti i locali famosi, che ora sono diventati trappole per turisti. Ma il mondo va così e voi dovreste saperlo visto che negli ultimiduecento anni l'Italia intera è stata trasformata in una trappola per turisti. La cosa che trovo più interessante di San Francisco è Berkeley. Il mondo e l'epoca sono cambiati in modo drastico, la Silicon Valley ha piantato su San Francisco i suoi artigli orrendi e quella piccola isola di resistenza intellettuale a Berkeley per me sarebbe stata molto interessante da esplorare, ma eravamo lì soloper fare le riprese e non ne ho avuto il tempo. San Francisco è la città dove si trova la Keane Gallery e il proprietario era eccitatissimo all'idea del film, pensava che grazie ad esso ci sarebbestato un rinascimento dell'opera di Keane ed è buffo perché in qualche modo è analogo all'argomento del film: vendere vendere vendere.

Qualcuno ha già detto che questo film ha uno stile poco “alla Burton”. Anche se, già la scelta delsoggetto se vogliamo è molto in stile Burton. Cosa ne pensa?

Com'è un film tipicamente "burtoniano"? Io ero lì tutti i giorni e potrei dimostrare che il film lo ha diretto lui. Per me è un film nello stile di Tim Burton, è vero che non ci sono sequenze di animazione ed è vero che gli effetti speciali sono pressoché assenti, non c'è neanche un estetica gotica, ma stiamo per caso dicendo che l'opera di Tim Burton è riducibile ad animazione, effettispeciali ed estetica gotica?

Lei ha vinto due Oscar, quanto hanno cambiato la sua vita professionale e quotidiana premi così importanti?

È cambiato tutto in maniera profonda, ma non so se sia per gli Oscar in sé o se è per il lavoro che mi ha portato agli Oscar: mi piace illudere me stesso e pensare che sia la seconda, che sia stato il lavoro fatto.L'Oscar è un riconoscimento immenso, ma mi piace pensare che questo premio simbolizzi il cammino che ha portato a quel cambiamento, invece che il cambiamento in sé.

 
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Massimo Popolizio: "Falcone, Borsellino e il maxiprocesso"

Post n°12016 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Barbara Sorrentini23/12/2014
L'attore è protagonista, insieme a Beppe Fiorello, di Mille volte addio di Fiorella Infascelli, su un episodio cruciale nella vita del magistrato antimafia
Incontriamo Massimo Popolizio a Milano, al Teatro Strehler dove l'attore è impegnato con le prove dello spettacolo Lehman Trilogy di Luca Ronconi che debutterà il 29 gennaio 2015 al Piccolo Teatro Grassi, diviso in due parti: Tre fratelli Padri e figli, per un totale di quasi 6 ore di spettacolo e che in alcune date verrà rappresentato nella sua totalità. Niente a che vedere con Margin Call di J.C. Chandor, il film sulla caduta della Lehman Brothers, piuttosto la narrazione dei destini di una famiglia di immigrati alla ricerca del sogno americano, evidentemente infranto. Un buon momento per Popolizio, recentemente è stato Sindona nella fiction Rai Qualunque cosa succeda, è ancora al cinema con Il ricco, il povero e il maggiordomo di Morgan Bertacca, nei panni di un buffo prete al fianco di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ha contribuito allo strepitoso successo de Il giovane favoloso di Mario Martone interpretando Monaldo, il padre di Giacomo Leopardi. Senza dimenticare quel ruolo da dispensatore di botulino ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Inoltre, Popolizio ha appena finito di girare Mille volte addio, diretto daFiorella Infascelli dedicato al soggiorno obbligato di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che nel 1985 rimasero nascosti per 25 giorni con le famiglie nella “casa rossa” sull'isola dell'Asinara, impegnati a scrivere la sentenza per il primo maxi processo a Cosa Nostra. Nel film, prodotto da Fandango e Rai Cinema con il sostegno della Sardegna Film Commission, Popolizio è Giovanni Falcone. 

Una grande responsabilità interpretare Giovanni Falcone, eroe suo malgrado insieme a Paolo Borsellino (interpretato da Giuseppe Fiorello). Come vi ha diretto Fiorella Infascelli? 

Inizialmente, solo all'idea di andare a toccare un mito come Falcone, mi tremavano i polsi. Per fortuna abbiamo lavorato soltanto su un breve, e importante, periodo della loro vita: quando Falcone fu prelevato dalla Procura di Palermo e Borsellino da una festa, per essere trasportati in gran segreto sull'isola dell'Asinara, allora sede del super carcere. Abbiamo girato nella foresteria a picco sul mare, la stessa in cui Falcone e Borsellino restarono in isolamento per 25 giorni, e qualche scena nel super carcere, dove allora era rinchiuso Raffaele Cutolo. Abbiamo cercato di immaginare cosa significasse vivere senza avere la percezione dell'orizzonte, con la presenza costante di 12 uomini della scorta, che rendevano difficile la visione dell'orizzonte, persino su un'isola. Luogo che ha inciso parecchio sulla loro quotidianità in quelle lunghe giornate, costretti all'abitazione coatta con le proprie famiglie. E la paura di essere stati fregati, allontanati per far saltare il maxi processo.  

Qualche scena del film? 
In molti momenti vediamo al lavoro questi due uomini di carta e di penna, in un ufficio da cui si scorge solo mare e sole. Sempre in giacca e cravatta; ma li vediamo anche in pochi momenti di distrazione nell'acqua celeste dell'isola. Scene girate in ottobre, restando molto tempo a mollo nel mare. 

Come ha studiato il personaggio? 
Un po' come sempre. Non credo alla metamorfosi fisica, che fa molto fiction. E ancora di più in questo caso non era importante la somiglianza fisica, ma era lo spirito. Ho letto tutti i libri di Falcone, molti di quelli scritti su di lui e quelli sul maxi processo. Il mio personaggio vive di riflesso con l'altro. Beppe Fiorello ed io siamo la faccia della stessa medaglia, nelle scene insieme non esistiamo da soli. Abbiamo cercato di non fare due icone, ma di rappresentare due uomini in totale sintonia tra loro su quegli argomenti, entrambi ossessionati dal raggiungere il loro obiettivo comune. 

A proposito di sintonie tra personaggi, lavorare con Elio Germano deve essere stato un po' differente. Monaldo, il padre di Giacomo Leopardi, era un uomo severo e pressante da cui il giovane favoloso cercava di staccarsi. 
Martone mi ha aiutato molto a interpretare un padre che non fosse solo autoritario e possessivo. Siamo riusciti anche a far passare l'amore che lo spingeva verso il figlio, attraverso dei piccoli gesti quasi materni. Questo padre che a tavola gli taglia la carne o che lo aiuta a fare pipì, con un'aspettativa continua che finisce per rinchiudere Giacomo in una gabbia, da cui scapperà.  

Dopo La Banda dei Babbi Natale di nuovo con Aldo, Giovanni e Giacomo. Divertente? 
Ne Il ricco, il povero e il maggiordomo sono Amerigo, il parroco dell'oratorio in cui Aldo allena la sua squadra multietnica di ragazzini, ai quali vorrei far solo recitare il Padre Nostro. Divertente e non semplice, con loro il testo è sempre un canovaccio. Tutto quello che succede in scena lo determinano loro in modo preciso, come fossero orologini. Si attaccano a qualsiasi cosa stimoli la loro improvvisazione, in uno sviluppo continuo di gag, mai fine a se stesse. E' fondamentale adattarsi, a proposito di sintonia. 

E con Paolo Sorrentino? 
Prima Il Divo, poi La grande bellezza. Paolo Sorrentino è un talento puro. E' un grande anche nel dirigere gli attori, con cui ha un rapporto molto particolare: quando sei sul set lui ti osserva, ti fa fare piccole cose. Per quasi tutta la scena del chirurgo plastico, avevo Paolo che mi suggeriva un percorso da seguire, parlandomi a fianco. Se lo segui sai che ti porterà verso un obiettivo, sai che sa perfettamente dove vuole arrivare e non sono tanti che sappiano dirigere così ogni sfumatura del set. 

E l'Oscar? 
Sono molto contento perché è stato vinto da un gruppo di attori che fa teatro attivamente. Dopo anni che gli attori teatrali, come me, sono stato messi in una sorta di recinto che non permetteva loro di fare cinema. Adesso è molto diverso e questa è un'ulteriore conferma del cambiamento.  

 
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Festival di Roma 2015, tra nuova governance e attività permanenti

Post n°12015 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Stefano Stefanutto Rosa21/12/2014
Un forum sul futuro del Festival del film di Roma è stato promosso da Franco Rina, direttore di CinemadaMare,  il festival che dura da fine giugno fino alla prima settimana di settembre e si svolge in 10 regioni dove i giovani filmmaker (100 artisti) girano i loro film sulle location delle città che li ospitano insieme a maestri del cinema italiano e internazionale.
Ad aprire il confronto, alla Città dell’Altra Economia di Testaccio, è lo stesso Rina che suggerisce alcuni spunti di riflessione sul prima e sul dopo Festival che necessita, secondo lui, di alcune correzioni guardando ai talenti emergenti. “Perché non pensare a una sezione dedicata alle sceneggiature nonché a premi che favoriscano la distribuzione dei film di qualità presentati?”.

Mario Sesti, che durante le direzioni di Detassis e di Rondi ha curato la sezione prima chiamata ‘Extra’ poi ‘L’Altro Cinema’, difende l'identità del Festival ricordando i numeri delle presenze, da 80 a 100mila persone che frequentano l’Auditorium. “Non c’è stato niente di simile dai tempi dell’Estate romana. Si tratta di un momento straordinariamente popolare e l’obiettivo prossimo è portare sempre più gente al cinema”. Per Sesti il futuro è allora quello di una grande festa del cinema con sezioni laterali di qualità e prestigio come Extra e Alice nella città. E non vanno dimenticati gli incontri e le master class con registi e attori che oltre a far parte del programma del festival, costituiscono il cuore di quelle attività permanenti che la Fondazione cinema dovrebbe promuovere durante l’anno.

Per Umberto Croppi, assessore alla Cultura durante la giunta Alemanno e tre edizioni del Festival di Roma, va ripensata innanzitutto la governance del Festival, perché la scelta del direttore artistico e del piano editoriale è tutta nelle mani del presidente. Durante la direzione di Marco Muller si è rimediato grazie al presidente Paolo Ferrari che ha ceduto alcune ‘deleghe’ al direttore. Inoltre Croppi, che è favorevole a incentivare The Business Street, auspica che la kermesse cinematografica si articoli nella città con il coinvolgimento delle sale, prolungando così la fruizione dell’evento. 

Giorgio De Vincenti, docente di Estetica cinematografica all’Università di Roma Tre, condivide le riflessioni di Sesti sull’importanza di fidelizzare un pubblico, soprattutto giovane, al festival e dunque al cinema consumato in sala. Ritiene perciò fondamentale garantire al Festival risorse economiche sufficienti - “Dobbiamo riprenderci la funzione decisionale” - rovesciando la logica dei tagli per di più in un contesto come quello romano, inquinato da scandali e ruberie, ma anche nazionale, segnato dallo sperpero di denaro pubblico in progetti che De Vincenti considera inutili, dall’Alta velocità all’Expò.

In chiusura Luca Scivoletto, rappresentante dell’associazione dei 100 autori, chiede che le categorie del cinema vengano coinvolte sul futuro della manifestazione romana, mettendo fine una volta per tutte alle polemiche con la Mostra di Venezia e il TFF. E Scivoletto vorrebbe che la serialità televisiva che ha cominciato ad affacciarsi al Festival, diventasse una sezione essenziale con importanti anteprime, favorendo così quella fusione o integrazione con il Festival della fiction di cui da tempo si parla. Quanto a The Business Street la proposta è quella di renderlo più vitale grazie a eventi formativi.
In attesa di conoscere la nuova governance del Festival, prevista tra fine dicembre e inizio gennaio, dal forum sono comunque emersi dei necessari aggiustamenti a un Festival che viene ritenuto una grande opportunità che ora potrà contare su un finanziamento consistente del MiBACT, oltre a un investimento del MISE su The Business Street.

 
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Oscar, Virzì fuori dalla shortlist

Post n°12014 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Cr P19/12/2014
Il capitale umano di Paolo Virzì è fuori dalla shortlist dell'Oscar per il miglior film straniero, che comprende nove titoli votati da alcune centinaia di membri dell'Academy (ma non tutti). I nove titoli, da cui uscirà la cinquina dei candidati, sono stati scelti tra 83 di altrettanti paesi. I prescelti sono l'argentino Relatos salvajes di Damián Szifrón; l'estone Tangerines di Zaza Urushadze; il georgiano Corn Island di George Ovashvili; il mauritanoTimbuktu di Abderrahmane Sissako; l'olandese Accused di Paula van der Oest; il polacco Ida di Paweł Pawlikowski, già trionfatore dell'Efa; il russo Leviathan di Andrey Zvyagintsev; lo svedese Force Majeure di Ruben Östlund; il venezuelano The Liberator di Alberto Arvelo. Le nomination saranno annunciate il 15 gennaio, mentre gli Oscar saranno consegnati il 22 febbraio. 

 
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Il ricco, il povero e il maggiordomo ancora primo al boxoffice del weekend natalizio da coming soon

Post n°12013 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

29 dicembre 2014

Il ricco, il povero e il maggiordomo ancora primo al boxoffice del weekend natalizio

 

Guardando i dati del boxoffice italiano del weekend, si conferma la vittoria natalizia di Il ricco, il povero e il maggiordomoAldo, Giovanni e Giacomo conducono ancora con 4.500.000 di euro per un totale finora di 9.600.000, e una media per sala stellare di 8.000.
Insegue al secondo posto, ma con mezzo milione di euro di differenza, Lo Hobbit: La battaglia delle cinque armate, che incassa 4.050.000 euro e raggiunge i 10.250.000.

Terzo gradino del podio per un'altra commedia, Un Natale stupefacente con Lillo & Greg, che salgono dalla quinta posizione e portano a casa 3.350.000, per il loro assolo che al momento ha registrato in tutto 4.460.000.
Il cartoon Disney delle feste Big Hero 6 in questa battaglia si deve accontentare di un quarto posto da 3.190.000 euro e di un globale al momento di 4.930.000: evidentemente le famiglie al cinema questa volta hanno scelto come ideale "passatempo per tutti" le commedie nostrane meno sbracate.

Slitta leggermente dalla quarta alla quinta posizione il thriller L'amore bugiardo – Gone Girl, firmato da David Fincher: la lunga durata non gli impedisce di incassare 2.670.000 euro e raggiungere i 3.920.000.
Stabile al sesto posto Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores (1.980.000 per 2.920.000 di globale), mentre compare in settima, con una buona media per sala di 5.000, Paddington, che è partito il giorno di Natale e ha già all'attivo 1.850.000 euro.

 
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HOMELAND RINNOVATA PER LA QUINTA STAGIONE da film.it

Post n°12012 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news, novità, tv

Dalla Showtime l'annuncio ufficiale che prolunga la serie con Claire Danes
11.11.2014 - Autore: Mattia Pasquini
Siamo solo a meta' della quarta stagione di Homeland - Caccia alla spia, ma il milione e mezzo di affezionatissimi spettatori statunitensi (e non solo loro, ovviamente, visto che la cifra arriva a circa sei milioni con le varie riproposizioni e piattaforme) sembra aver convinto la Showtime a prolungare la serie ambientata in Medio Oriente, basata sulla israeliana Hatufim e che continua a essere interpretata daClaire Danes, ormai dal 2011.



La 'Regina dei Droni' - come viene definita nella prima puntata della stagione in corso - tornera' quindi per una quinta stagione, sulla quale e' decisamente troppo presto per sapere qualcosa. Considerato anche che nel corso del prossimo mese e mezzo tutto potrebbe accadere. E dopo l'inatteso 'utilizzo' diCorey Stoll, davvero e' legittimo aspettasi qualsiasi scelta, anche nei confronti di personaggi storici (anche se la situazione di Mandy Patinkin/Saul Berenson dovrebbe risolversi positivamente).

"Homeland si è reinventata brillantemente con la sua quarta stagione, e continua a catturare l’attenzione di una fanbase devota, e ha fornito un palcoscenico invidiabile per il lancio di successo di The Affair" e' stata la esplicita dichiarazione di David Nevins, Presidente del network che produce e trasmette la serie e che continuera' a farlo anche nel 2015 con dodici nuovi episodi che promettono di proseguire con ottime prospettive il reboot 'post Brody' della serie.



Ma Damian Lewis (impegnato nella prossima Billions con Paul Giamatti) tornera' per una breve 'apparizione', come anche F. Murray Abraham. Mentre la curiosita' di vedere se saranno gli esiti del reclutamento di Aayan Ibrahim (Suraj Sharma) a divenire centrali nella prossima annata ci accompagnera' attrarverso la conclusione di questa. Che ancora ha molto da rivelare, soprattutto relativamente ai rapporti con il governo pakistano e con l'Afghanistan - dove la quarta stagione e' ambientata - e con i diversi personaggi inseriti nel cast recentemente.

 
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Hercules - il guerriero

Post n°12011 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Hercules - Il Guerriero

Hercules, figlio di Zeus e una mortale, semidio inviso ad Era che ha compiuto 12 fatiche prodigiose per guadagnarsi il diritto alla vita, è il più grande guerriero dell'Attica, un vero mito le cui storie passano di bocca in bocca, cantato dagli aedi e magnificato nei racconti. Eppure la realtà non è esattamente così. Nonostante sia un colosso umano, dalla forza superiore alla media, dall'intelligenza tattica e il coraggio in battaglia invidiabili, Hercules è anche il primo propagatore della propria leggenda, conscio che più è temuto, più potrà vincere battaglie. Coadiuvato da una squadra di fedelissimi guerrieri è un mercenario avvezzo all'arte dell'inganno, i cui servizi vengono acquistati da un re che vuole scacciare gli invasori dalla Tracia. Anch'egli conosce le gesta prodigiose di Hercules e anch'egli ha bisogno di un miracolo da un uomo che non è ben chiaro se ne possa fare o meno.
È la prima volta che qualcuno al cinema affronta la mitologia greca per quello che è: mito, racconto, narrazione eroica prima ancora che manifestazione effettiva. Nel mondo di Hercules - Il guerriero il prodigio non è chiaro se esista o meno, gli dei, le creature mitiche, le maledizioni e anche gli interventi sovrannaturali stanno nei racconti ma non si vedono nella realtà, per crederci serve fede e forse una buona dose d'inganni. Centauri che si rivelano uomini a cavallo, Cerbero che si rivela essere tre lupi separati e via dicendo, ogni mito viene svelato per essere una costruzione basata su una realtà poco metafisica e molto concreta, sempre finalizzato a mettere paura, tenere buoni o esaltare le truppe.
A partire dal fumetto omonimo di Steve Moore, questo ennesimo film su Ercole si caratterizza subito come unico nel suo genere, in bilico tra credibile e incredibile. A partire da un soggetto favoloso per complessità e ardore (una Grecia antica in cui gli dei forse non esistono o, se ci sono, non si manifestano mai, in cui la mitologia pare sempre una balla ben costruita a cui solo alcuni credono ma che fa comodo a tutti promuovere) e passando per una sceneggiatura penosa che annacqua con svolgimenti elementari, psicologie ridicole e dialoghi da decerebrati quella che poteva essere una grande storia, Brett Ratner mette assieme un film mitologico peculiare, che fa il suo dovere quando si tratta di dare un po' d'azione furiosa e ben diretta al suo pubblico, ma frustra regolarmente ogni possibilità di ulteriore approfondimento (e non sono poche quelle offerte dal soggetto) e minimizza qualsiasi spunto interessante.
Così ciò che rimane sono solo assaggi di uno strato del racconto più complesso. Come in L'uomo che uccise Liberty Valance in questo Hercules sembra di intuire un rapporto conflittuale tra leggenda e storia, in cui la prima è sia un dono che un flagello (incredibili gli incubi di Hercules, vittima di ossessioni influenzate dalle leggende che egli stesso ha messo in giro e che teme essere vere), come in uno spaghetti western il protagonista è un reietto che vaga in preda al rimorso, dotato di motivazioni ossessive (la sua famiglia è stata trucidata, lui non ricorda da chi e ha buoni sospetti d'essere stato egli stesso), come in un thriller anni '90 ciò che viene immaginato è importante quanto ciò che accade realmente e infine come in un film d'autore europeo il silenzio divino non è mai spiegato né esplicitato, perché il punto non è scoprire la verità ma decidere di credere o meno.
Perfetta la scelta di usare un corpo come quello di Dwayne Johnson, fisico al limite delle potenzialità umane per grandezza e potenza muscolare, reale nel suo titanismo ma anche verosimilmente semideistico, l'unico attore in grado di mantenere vivo nel pubblico il dubbio costante che questo personaggio sia un uomo normale dai muscoli esagerati o il figlio di un dio.

 
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Lie With Me

Post n°12010 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

 

da http://forum.tntvillage.scambioetico.org/?showtopic=146607
Data Uscita: Giugno 2006 (cinema)
Cast: Lauren Lee Smith Eric Balfour Polly Shannon Mayko Nguyen Michael Facciolo Kate Lynch Ron White Kristin Lehman Don Francks Richard Chevolleau Frank Chiesurin Nicola Lipman Theresa Tova 
Trama: 
Nella torrida estate di Toronto, Leila vede divorziare i genitori, conosce David e se ne innamora senza riuscire però ad abbassare la guardia tanto da permettersi un rapporto sincero e senza dolorosi fraintendimenti. La sua difesa è usare il sesso come un arma, senza curarsi né di dove né con chi farlo, a metà fra un gesto autodistruttivo e la semplice banalità. Tra schermaglie fatte di baci e incontri tra le lenzuola i due si lasciano e si "prendono" varie volte...

Recensione: Lie with me
Quanti sono i film costantemente dinnanzi al labile confine tra l'essere una perla rara di complessità, un sincero viaggio nell'animo umano, ed essere semplicemente pretenziose messe in scena di paranoiche sceneggiature?
La jamaicana Clément Virgo, naturalizzata canadese, trasforma per il grande schermo un romanzo di Tamara Berger, nello sterile tentativo di usare il sesso per raccontare le nevrosi di una storia d'amore. Nella torrida estate di Toronto, Leila vede divorziare i genitori, conosce David e se ne innamora senza riuscire però ad abbassare la guardia tanto da permettersi un rapporto sincero e senza dolorosi fraintendimenti. La sua difesa è usare il sesso come un arma, senza curarsi né di dove né con chi farlo, a metà fra un gesto autodistruttivo e la semplice banalità. Tra schermaglie fatte di baci e incontri tra le lenzuola i due si lasciano, prendono, rilasciano come suggerisce il titolo dalla doppia lettura ('lie' significa giacere come mentire). Lei vaga tra ragionamenti al limite dell'assurdo sull'amore e il sesso, tenta di masturbarsi senza riuscirci e infine si lancia in una caduta fatta di sano egoismo e superficialità. Lui torna dall'ex, vede la morte del padre, si fa meno domande ma altrettanti problemi. Tutto senza che ai due protagonisti venga minimamente in mente di parlarsi, coinvolti in una scelta stilistica che cerca, forzatamente, di imporre la solitudine come unica lettura all'incontro da due corpi (e questa volta non c'è neppure del burro di mezzo…).
Degli attori, Lauren Lee Smith e Eric Balfour, restano solo i meravigliosi fisici, i muscoli di lui, i lineamenti di lei, il coraggio di mostrarsi costantemente in déshabillé davanti alla macchina da presa, ma non certo una qualsiasi profondità, foss'anche solo per trasmettere empatia allo spettatore.
Spettatore cui non resta che aspettare la fine del film tra uno sbadiglio e l'altro, senza che neppure la sequenza ininterrotta di amplessi riesca a donare un brivido. Il finale poi, è così scontato da sorprendere.

La frase: Non riesco a venire!

Valentina Pieraccini

 
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Frozen

Post n°12009 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Frozen - Il Regno di Ghiaccio

Nell'immaginario regno di Arendelle, situato su un fiordo, vivono due sorelle unite da un grande affetto. Un giorno, però, il magico potere di Elsa di comandare la neve e il ghiaccio per poco non uccide la più piccola Anna. Cresciuta nel dolore di quel ricordo, Elsa chiude le porte del palazzo e allontana da sé l'amata sorella per lunghi anni, fino al giorno della sua incoronazione a regina. Ma ancora una volta l'emozione prevale, scatena la magia e fa piombare il regno in un inverno senza fine. Sarà Anna, con l'aiuto del nuovo amico Kristoff e della sua renna Sven, a mettersi alla ricerca di Elsa, fuggita lontano da tutti, per chiederle di tornare e portare l'atteso disgelo. 
Dell'ispirazione dichiarata, fornita da una delle fiabe più ermetiche e suggestive di Andersen, "La regina delle nevi", c'è ben poco, a parte la scheggia di ghiaccio nel cuore e il viaggio di una ragazzina per riportare a casa l'oggetto del suo amore. Ma questo racconto più tradizionale, sceneggiato da Jennifer Lee, ha un suo appeal, differente, nell'urgenza emotiva che porta in scena e nell'originalità dei personaggi principali, nessuno dei quali si svela del tutto al primo ingresso. Così come il dono di Elsa ha un risvolto maledetto, anche i sentimenti di Anna acquistano infatti un'imprevista doppiezza, parallela a quella di Kristoff, per non parlare di quella molto meno ingenua che anima il principe Hans. 
La natura di vera e propria operetta musicale di Frozen (una scelta ardita, che rischia di non incontrare un consenso unanime) assegna ad ognuno il suo momento di gloria, approfittandone per innescare un'efficace sintesi narrativa in materia di presentazione del cast. Ecco allora che "Per la prima volta" ("For the first time in forever") racconta in poche strofe il disperato desiderio di vita e d'amore di Anna, mentre "All'alba sorgerò" ("Let it go") dà adito alla liberazione di Elsa dalle catene nelle quali si era costretta da sola e alla completa accettazione della sua natura portentosa. E, come in ogni musical che si rispetti, i costumi non sono accessori ma parte integrante dello spettacolo, che qui si arricchisce delle architetture nordiche, delle citazioni pittoriche e dello straordinario livello tecnico con cui il digitale dà forma, luce e sostanza al ghiaccio.
Gli adulti non potranno non pensare a Carrie o ai mutanti della saga degli X-Men, mentre i più piccoli non avranno occhi che per Olaf, il pupazzo di neve. Intanto la Disney conferma di aver intrapreso un cammino lento ma ben visibile verso un nuovo modello di principessa, che non ha più bisogno del bacio del principe per scoprirsi degna del proprio ruolo.

 
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Locke

Post n°12008 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Locke

Ivan Locke guida nella notte verso Londra. È un costruttore di edifici, ma questa notte si consuma la demolizione della sua vita. All'alba avrebbe dovuto presiedere alla più ingente colata di cemento di cui si sia mai dovuto occupare. Gli americani e i suoi capi hanno incaricato lui, perché per nove anni è stato un lavoratore impeccabile, il migliore: solido come il cemento, appunto. Ma la telefonata di una donna di nome Bethan riscrive l'esistenza di Locke. Prima di quella telefonata, e del viaggio che ha deciso di intraprendere di conseguenza, aveva un lavoro, una moglie, una casa. Ora, nulla sarà più come prima. 
L'attesa opera seconda di Steven Knight non solo soddisfa ma supera piacevolmente le aspettative. Sceneggiatore talentuoso, per Frears e Cronenberg, con Locke eccelle nell'esercizio di scrittura, ideando un percorso di quasi novanta minuti nel quale il tempo della storia e il tempo del racconto coincidono e non c'è altro luogo al di fuori dell'abitacolo della Bmw in movimento e nessun altro personaggio oltre a quello del titolo, impegnato in un dialogo telefonico pressoché ininterrotto con gli altri nomi del copione: Bethan, dall'ospedale di Londra, la moglie Katrina e i due figli da casa, Garreth, il capo furioso, e Donal, l'operaio polacco al quale Ivan Locke ha affidato la delicata gestione di ogni preparativo in sua assenza. A riscattare, però, Locke da una natura puramente letteraria (viene alla mente un altro portentoso viaggio in macchina su carta, "Wyoming", firmato da Barry Gifford) è la performance di Tom Hardy, per la prima volta spogliato delle maschere che l'hanno imposto all'attenzione internazionale e messo alla prova nei panni di un uomo medio, dall'aspetto medio, nell'attimo della sua esistenza che fa la differenza. Nel modo in cui Hardy increspa le onde del testo, suscitando tanto l'ironica commedia quanto l'umana tragedia, con poche battute e il proprio volto come unici strumenti, si conferma il bravo attore, ma nella scelta di adottare esclusivamente i toni bassi, impedendosi l'appiglio anche solo una volta alla scena urlata o al sussurro autocommiseratorio, sta il contributo d'eccezione.
Il resto è il documento di un circolo creativo e produttivo virtuoso, che conta una manciata di settimane di distanza tra la consegna della sceneggiatura e l'inizio della preparazione, e un tournage di sole otto notti, per un film che non porta con sé alcuna traccia di rinuncia o compromesso e parla nel momento giusto del tema del giusto, dell'assunzione di responsabilità, per scomoda e punitiva che sia, e dell'estrema fragilità degli edifici morali sui quali costruiamo le nostre famiglie e le nostre sicurezze.

 
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Insieme per forza

Post n°12007 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Insieme per forza

Jim e Lauren sono entrambi genitori single con figli. Lui, vedovo, ha due figlie che ha cresciuto come maschiacci, lei, divorziata, ha due maschi in cerca di una figura paterna. Si incontrano in un primo appuntamento dopo essersi conosciuti online e l'esito è disastroso. Il destino però li fa reincontrare, questa volta con tutte le rispettive famiglie a carico in un'incredibile vacanza in Africa nella quale devono fare buon viso a cattivo gioco e rimanere forzatamente tutti insieme.
Esiste uno "stile Sandler", affinato negli anni '90 con film giovanili in cui il furore violento ed eccessivo alimentava di rabbia una comicità iperbolica, e poi negli anni 2000 gradualmente approdato su lidi sicuri e innocui (anche grazie alla collaborazione sempre più solida con Frank Coraci). Erano film, i primi, dotati di una vitalità che suppliva alle deficienze di scrittura ma quell'idillio furente è durato poco, un pugno di lungometraggi dalla godibilità sempre calante. In seguito, nonostante qualche sporadico exploit autoriale, Sandler ha virato nel cinema per tutta la famiglia con film acquietati in cui la sua rabbia comica veniva stemperata in un umorismo decisamente più canonico, declinazione corretta di ciò per cui era noto.
Così anche Insieme per forza risponde al canone fissato una volta per tutte dal successo di Un weekend per bamboccioni: una famiglia intera messa in scena in un momento di vacanza, genitori infantili quanto i figli e questi ultimi decisamente in secondo piano rispetto alle avventure dei più grandi. A tutto ciò Insieme per forza aggiunge una linea romantica, l'espediente centrale infatti è quello delle famiglie allargate, raccontare la realtà sempre più imponente di madri single e padri single, ognuno con i propri figli che uniscono le due famiglie.
A vedere il bicchiere mezzo pieno si potrebbe dire che quel che il cinema recentissimo cui prende parte Adam Sandler cerca di fare è raccontare in diverse fogge e da diversi punti di vista la realtà delle famiglie americane medie, da quelle compatte e tradizionali a quelle più moderne nella loro struttura, indugiando sia sul rapporto difficile con i figli sia sulla critica al modernismo. Ma sarebbe decisamente troppo per un cinema così svogliato pigro e smaccatamente commerciale. Non che ci sia da stupirsi davanti ad un film che si adopera principalmente per attirare pubblico e solo marginalmente per raccontare qualcosa di interessante, ma da qualcuno che sembrava pronto a rompere diverse regole con il suo umorismo allineato più con i fratelli Farrelly che con il perbenismo familista, la metamorfosi è particolarmente difficile da accettare.

 
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Fired up

Post n°12006 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Fired Up

Shawn e Nick sono due liceali che non hanno alcuna intenzione di passare parte dell'estate al ritiro della squadra di footballl americano di cui sono i due più affermati campioni. Preferirebbero trascorrere quel periodo con il gruppo delle cheereader. Considerati come pericolosi sciupafemmine i due rischiano di non essere ammessi (anche i maschi possono partecipare) ma danno prova di abilità inconsueta e per loro si apre la prospettiva di un'estate piena di belle ragazze. Sapranno sfruttare l'occasione dando anche un contributo al gruppo? 
Le cheerleader sono un soggetto che da sempre interessa gli sceneggiatori di film giovanilistici che intendono rivolgersi essenzialmente a un pubblico con bidoni di popcorn al seguito desiderosi di vedersi raccontare vicende pruriginose. In questo film avranno ben poco da divertirsi in quel senso perché se le premesse ci sono tutte lo sviluppo della vicenda sembra dominato dal principio "vorremmo ma non possiamo". Lo stuolo di giovani fanciulle in fiore non viene praticamente mai esibito se non per farlo produrre in evoluzioni più o meno riuscite o coinvolgerlo in flirt decisamente pudichi.
Non siamo cioè dalle parti dei Porky's d'annata che almeno qualcosa alla visione maschile concedevano. Qui trionfa un vuoto d'idee che solo in qualche rara occasione può provocare un sorriso. Ma nulla di più. NB: In questo film ci sono anche le cheerleader buone e quelle cattive. Grande idea vero?

 
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A Milano una mostra su Tolkien e i film di Peter Jackson da hobbitfilm

Post n°12005 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: eventi, news

peterjacksonRiprendiamo e pubblichiamo il comunicato di WOW Spazio Fumetto, il museo del fumetto di Milano, che ospiterà una mostra che interesserà a tutti gli appassionati di Tolkien e dei film di Peter Jackson:

 

La Magia dell’Anello da Tolkien a Jackson..
dal romanzo al cinema passando per il fumetto, l’illustrazione, il collezionismo, i giochi, le parodie e… Sua Maestà, la Regina di Danimarca

 

WOW Spazio Fumetto – Museo del Fumetto di Milano si trasforma nella Terra di Mezzo ospitando una grande mostra dedicata alla saga de “Il Signore degli Anelli”: a partire dall’intrigante figura dell’autore dei romanzi J.R.R. Tolkien fino alle fortunate trasposizioni cinematografiche di Peter Jackson, passando dall’opera dei grandi illustratori, dalle parodie, dal collezionismo e dagli altri mille mondi che compongono questa moderna mitologia fantasy.

 

Grazie alla collaborazione dei più importanti collezionisti ed esperti, come la Società Tolkeniana Italiana, DAMA Collection, il Greisinger Museum, l’unico museo al mondo dedicato alla Terra di Mezzo, e Fermo Immagine – Museo del Manifesto Cinematografico i visitatori potranno avventurarsi in un viaggio unico che permetterà di scoprire come dalle parole si sia passati alle immagini: edizioni rare, dipinti, illustrazioni e tavole originali, fotografie, manifesti cinematografici, locandine, fotobuste, video, statue, action figures, videogames, giochi da tavolo gadget, libri, fantastici plastici realizzati con migliaia di mattoncini LEGO e, per la prima volta in Italia, le tavole originali realizzate da Sua Maestà la Regina Margherita II di Danimarca nel 1977 per illustrare la prima edizione danese de “Il Signore degli Anelli”.

 

E non solo…

 

E in più laboratori, incontri, giornate ludiche e molto altro all’insegna del mondo tolkieniano e fantastico per testimoniare come l’opera nata dall’estro di Tolkien alimenti il nostro immaginario da oltre settant’anni.

 

Presto tante news!

 

INGRESSO 5/3 euro

 
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Padre vostro

Post n°12004 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Padre Vostro

Il giovane Padre Fabijan approda in un'isoletta della Dalmazia dove, come ovunque in Croazia, il tasso di natalità è crollato nel corso degli anni. Frustrato dalla popolarità dell'anziano parroco locale e desideroso di lasciare il segno nella storia dell'isola, nonché di incoraggiare il "decorso della volontà divina", Padre Fabijan ha un'idea geniale: bucare i preservativi che consentono la lussuria più sfrenata senza risultare in un boom delle nascite. Naturalmente l'ingegnoso prete ha bisogno della complicità di alcuni isolani: l'edicolante che vende ai compaesani i profilattici, ma anche il medico che dovrà sostituire con le vitamine le pillole anticoncezionali acquistate dalle donne del luogo. I risultati non tardano ad arrivare: gravidanze improvvise, matrimoni riparatori, altarini scoperchiati. Ma non tutte le conseguenze andranno nella direzione prevista da Padre Fabijan, che scoprirà che sostituirsi a Dio non è una buona idea nemmeno se si è convinti di rendergli un prezioso servigio.
Descrivere Padre Vostro come una commedia sarebbe riduttivo, anche se gli spunti comici abbondano e lo stralunato umorismo balcanico riesce a far ridere anche chi non ne conosce a fondo le tortuosità e le bizzarrie. Ci sono infatti momenti intensamente drammatici, dunque sarebbe più giusto definire il film una tragicommedia dai toni surreali. E laddove il cinema di Emir Kusturica, ormai diventato il parametro di riferimento quando si parla di ex Jugoslavia, è caotico, frenetico e sovraffollato, quello di Vinko Bresan rallenta il ritmo narrativo rarefacendo ogni inquadratura, in cerca di un effetto straniante che è cifra stilistica matura e consapevole.
Nessun dettaglio è lasciato al caso, ogni composizione scenica è calibrata al millimetro, anche perché la confezione sobria ed essenziale deve contenere una sceneggiatura che, al contrario, è dirompente per coraggio iconoclasta, affrontando di petto (pur in chiave ironica) temi incandescenti come il conflitto etnico e religioso nell'ex Jugoslavia, le rivendicazioni nazionalistiche croate (e il discusso rapporto fra Croazia e Germania), l'ipocrisia della Chiesa, i preti pedofili, il controllo delle nascite, la misoginia e il patriarcato nelle culture del Mediterraneo, la xenofobia e la (non) accettazione dell'omosessualità. 
Padre Vostro ne ha per tutti, e la sua scorrettezza politica non è mai fine a se stessa, ma sempre inserita organicamente nella trama da una sceneggiatura consona alla parabola laica che intende raccontare. Pur nella sua costruzione algida, il film si prende anche un buon numero di libertà visive, utilizzando stratagemmi cinematografici come gli sguardi in camera, la manipolazione di luci e colori, le visualizzazioni delle fantasie dei personaggi con disinvoltura e senza deformare la struttura narrativa portante. Il risultato è la creazione filmica di un immaginario molto specifico e ben codificato, che nonostante le lungaggini riesce a raccontare efficacemente una storiella morale senza mai sconfinare nel moralismo.

 
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Tutta colpa del vulcano

Post n°12003 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Tutta colpa del vulcano

Alain e Valérie sono separati e si odiano irriducibilmente. Da anni non condividono più niente a parte Cécile, la giovane figlia che convolerà a nozze in un piccolo villaggio della Grecia. Nemici giurati, viaggiano sullo stesso volo, ignari l'uno della presenza dell'altra. L'eruzione improvvisa del vulcano islandese Eyjfjallajökull sconvolge i cieli d'Europa e gli ex coniugi costretti a terra e nello stesso aeroporto. Peggio di una nuvola di cenere vulcanica per loro c'è solo l'idea di un viaggio insieme verso l'unico 'bene' comune. Decisi a rendersi la vita un inferno, a turno proveranno a boicottarsi e a ostacolare la lunga 'navigazione' verso Corfù. Porsche, pullman, autostop, jet privati, ogni mezzo e con ogni mezzo arriveranno alla meta, celebrando il giorno più bello della loro 'bambina' e scoprendo che in fondo avevano ancora qualcosa da dirsi (civilmente). 
Cominciamo dal titolo che nella versione originale è Eyjfjallajökull, si pronuncia Et-ya-fiat-la-yeu-keutl, il vulcano islandese che risvegliandosi nel marzo del 2010 paralizzò il traffico aereo occidentale. Se i produttori francesi lo hanno scelto in funzione della sua originalità, 'agevolata' dal sottotitolo "altrimenti dite vulcano", quelli italiani hanno risolto in modo ragionevole, scongiurando un nome troppo complicato da pronunciarsi. Articolabile e immediato, Tutta colpa del vulcano incoraggia lo spettatore a 'scendere' in sala e a godersi la commedia di Alexandre Coffre, che chiama alle armi una promessa sicura come Dany Boon e azzarda con Valérie Bonneton, abbonata ai ruoli secondari e finalmente promossa con affiche e primo piano. Più evocato che compartecipe, l'Eyjfjallajökull è il pretesto che costringe due ex coniugi a scendere a terra e dai loro pregiudizi, confrontandosi senza sconti di pena sul loro matrimonio fallito. L'impetuosità del vulcano diventa allora espressione figurata di una deflagrazione intima che troverà comunque sfogo ed espansione, travolgendo come lava incandescente tutto quello che incrocia e tutti quelli in cui incorre. L'eruzione, che quattro anni fa sospese un volo su quattro in Europa, impedisce allo stesso modo alla commedia di Coffre di prendere quota nonostante i 2132 chilometri di pista, rincorsa e strada che separano i suoi protagonisti da Corfù, meta e luogo del loro viaggiare isterico. Sceneggiato da Laurent Zeitoun, golden boy della nuova commedia francese dopo Il truffacuori con Vanessa Paradis e più indietro negli anni Un piano perfetto con lo stesso Dany Boon, Tutta colpa del vulcano resta nondimeno un film della domenica sera, che schiamazza e si dibatte tra imperativi commerciali e obblighi umoristici. Costretto a inseguire attraverso l'Europa una coppia piantagrane che incappa in personaggi secondari inconsistenti o improbabili, la commedia di remariagedi Coffre perde (troppo) presto interesse e ritmo, scaricando le sue carenze sulle spalle di due attori capaci ma privi di direzione. Precipitati in un mondo senza immaginazione, Dany Boon e Valérie Bonneton si disprezzano e si riconciliano sotto un vulcano irrimediabilmente spento.

 
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Hansel & Gretel e la strega della foresta nera

Post n°12002 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da Ladridicinema
 

Locandina Hansel & Gretel e la strega della foresta nera

Hansel e Gretel sono due fratelli che vivono in una casetta vicino Pasadena. Gretel e il suo ragazzo fumano parecchia erba e, quando Hansel gli rivela di essere venuto a sapere dell'esistenza di un'anziana signora che spaccia la migliore sul mercato, Gretel manda il suddetto fidanzato a prenderne un po'. Quel che il malcapitato scoprirà è che l'anziana signora è una strega cannibale che cucina le persone attirate con la scusa della vendita della sua erba Black Forest High, per poi succhiargli la giovinezza. La scomparsa conduce Gretel e un'amica alla casa della strega, assieme al boss della droga locale, là scoprirà tutto, rischiando, assieme al fratello giunto in exremis, di finire in forno anch'essa.
È praticamente un teen slasher questo adattamento di Hansel e Gretel, il terzo che è arrivato al cinema solo nel 2013 (gli altri due sono Hansel & Gretel, cacciatori di streghe e quello della Asylum inedito in Italia), in cui molto fa Gretel, adeguatamente scosciata per il genere, e pochissimo Hansel che pare arrivare solo per il gran finale che tutti conoscono.
Quello tra la fiaba dei fratelli Grimm e il teen slasher era però un matrimonio da farsi, la favola è infatti una delle radici fondamentali del meccanismo secondo cui funziona questo sottogenere del cinema di paura, fondato sulla sfiducia negli adulti e sul potenziale attrattivo che avvicina il piacere estremo alla morte efferata (in questo è buona, per quanto non originale, l'aggiunta della strega che succhia i giovani per non invecchiare).
L'idea ottima di sostituire a bambini dei ragazzi e quindi di mutare i dolci in droghe leggere (fermo restando il potenziale magico che è la metafora della vera attrattiva che possiedono), svela infatti da subito come questo film sfrutti il rapporto che esiste negli horror classici tra perdizione e morte, quello per il quale le vittime sono sempre i più inclini al sesso e alle droghe. Così nella sua casetta la strega spaccia la miglior erba della città e in questa maniera attira i ragazzi che poi sventra, cucina e mangia.
Occhi infilzati, pelle strappata e organi esposti, nulla è risparmiato ma tanto nulla è realmente impressionante in questo horror molto leggero, che sembra impegnarsi di più nel ritrarre dei ragazzi per come sono realmente che nell'imbastire una trama appassionante. Così anche l'ottima idea di partenza si perde in uno svolgimento noiosissimo, che non sa che fare dei molti riferimenti alle fiabe (le caramelle lasciate per indicare la strada, le mele rosse...) e sembra perdere tempo in attesa della prossima morte o della prossima vittima risucchiata, indugiando in una ben poco raffinata messa in scena da serie tv horror anni '90.

 
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