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Messaggi di Febbraio 2018

 

6 - ECONOMIA, FINANZA, REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA

Post n°14307 pubblicato il 24 Febbraio 2018 da Ladridicinema

https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/25442969_1941745256074290_7034338987278573530_n.jpg?oh=e1471ecde1e97157076d7a6b6fd35293&oe=5B11C230

 L’articolo 3 della Costituzione è incompatibile con le scelte scellerate in materia di economia e finanza fatte dai governi di qualunque colore negli ultimi trent’anni. Ribadiamo la necessità di cancellare l’obbligo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione e la volontà di disobbedire al Fiscal Compact. Crediamo inoltre che sia urgente trasferire ricchezza dalle rendite e dai capitali al lavoro e ai salari, ricostruire il controllo pubblico democratico sull’economia contro disoccupazione di massa, precarietà, povertà. Vogliamo colpire realmente l’evasione fiscale, che sottrae oltre 110 miliardi ogni anno ai salari e alla spesa sociale, e lottare per redistribuire la ricchezza tra chi ha sempre di più e chi ha sempre meno. Per questo lottiamo per: un’imposta sui grandi patrimoni: l’1% più ricco degli italiani detiene il 25% della ricchezza nazionale, 415 volte quello che è posseduto dal 20% più povero della popolazione; il ripristino della progressività del sistema fiscale secondo il dettato costituzionale (art. 53), diminuendo le tasse sui redditi bassi e aumentandole su quelli più alti: l’Irpef, quando fu introdotta, prevedeva 32 scaglioni di reddito, con l’aliquota più bassa al 10% e la più alta al 72%, mentre ora gli scaglioni sono 5 con la prima aliquota al 23% e l’ultima al 43%; una lotta seria alla grande evasione ed elusione fiscale, a partire da quella delle grandi multinazionali (Google, Amazon, Apple..); la fine dei trasferimenti a pioggia alle imprese e della continua riduzione delle tasse sui profitti; il recupero dei capitali e delle rendite nascoste; politiche di contrasto dei rapporti con i cosiddetti “paradisi fiscali” da parte delle aziende italiane; la fine delle privatizzazioni e delle esternalizzazioni, il blocco della svendita del patrimonio manifatturiero, la ripubblicizzazione delle industrie e delle infrastrutture strategiche privatizzate negli anni passati; la fissazione di un tetto per gli stipendi e le liquidazioni dei grandi manager; la nazionalizzazione della Banca d’Italia e la creazione di un Polo finanziario pubblico per il credito a partire dalla ripubblicizzazione di Cassa Depositi e Prestiti – per sostenere gli Enti locali in progetti di pubblica utilità – e delle principali banche; il ripristino della separazione tra banche di risparmio e di affari; l’istituzione di una commissione per l’audit sul debito pubblico, in funzione della sua rinegoziazione e ristrutturazione, andando a colpire la quota del debito detenuta dal grande capitale speculativo e per una conferenza internazionale sul debito. Il debito pubblico italiano non dipende dall’aver vissuto “al di sopra delle nostre possibilità”: il rapporto tra entrate e uscite dello stato è in attivo, al netto degli interessi, da circa 25 anni (per 672 miliardi dal 1980 al 2012), ma ci siamo indebitati ulteriormente per pagare alla finanza privata 2.230 miliardi di interessi a tassi di usura.

 
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Film nelle sale da giovedi

Post n°14306 pubblicato il 24 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

 
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5 - PREVIDENZA

Post n°14305 pubblicato il 23 Febbraio 2018 da Ladridicinema

L’attacco al lavoro in questi anni è stato sistematico. Si è rivolto contro le persone al lavoro, contro chi, avendo lavorato tutta una vita, si è visto togliere il diritto ad una pensione certa e dignitosa, contro le disoccupate e i disoccupati.

Le “riforme” previdenziali che si sono succedute, dalla Dini alla Maroni, alla Fornero, hanno ridotto notevolmente l’ammontare dell’assegno pensionistico, ed hanno aumentato continuamente l’età pensionabile.

Gli effetti della legge Fornero sono stati violentissimi per tutti i soggetti coinvolti: per i lavoratori in produzione che non ce la fanno a continuare a lavorare in età avanzata, per le donne su cui grava ingiustamente il doppio carico del lavoro produttivo e riproduttivo; per i giovani che trovano un nuova barriera nell’accesso al lavoro dalla forzata permanenza degli adulti/anziani. Negli ultimi tre anni gli occupati sono aumentati di 1 milione tra gli ultracinquantenni, mentre i contratti precari sono aumentati di 500mila unità.

Le controriforme pensionistiche sono state giustificate dallo spettro della mancata tenuta del sistema pensionistico. Ma il rapporto tra contributi versati e pensioni erogate, al netto dell’assistenza e delle tasse, è in attivo dal 1996, grazie principalmente ai contributi dei lavoratori dipendenti che versano molto di più di quanto prendano poi.

Per questo lottiamo per:

  • l’abolizione della “riforma” Fornero;
  • un trattamento pensionistico dignitoso, proporzionato all’ultimo salario percepito;
  • il diritto alla pensione a 60 anni di età o a 35 anni di contributi per tutti;
  • l’adeguamento delle pensioni minime al reale costo della vita, per una vecchiaia dignitosa;
  • l’introduzione di un minimo di pensione, con 15 anni di contributi, compresi i contributi figurativi, per non condannare alla miseria chi ha avuto una vita lavorativa discontinua
    l’introduzione per le pensioni future di un massimo di pensione e di cumulo dei trattamenti pensionistici a 5000 euro lordi mensili;
  • la soppressione delle Casse previdenziali private e riconduzione nella gestione INPS della previdenza dei lavoratori ordinisti;
  • la separazione tra previdenza e assistenza.

 
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A casa tutti bene

Post n°14304 pubblicato il 21 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

L'ultimo film di Muccino, parla ancora una volta della famiglia, o meglio delle ipocrisie e delle contraddizioni che si nascondono dietro le famiglie "perfette". Perchè la famiglia è il luogo da cui fuggi e da cui in qualche modo ritorni. Se in "Baciami Ancora" il rapporto familiare sembrava forzato, in quest'ultimo film "A Casa Tutti Bene", questo rapporto dovuto alla riunione per le nozze d'oro dei gienitori, ha un risultato diverso. Sicuramente, come sempre, non verrà apprezzato dalla critica (qui si rimanda a molte battute di Padri e figlie sui critici), ma certamente dallo spettatore, grazie alla bravura dei suoi interpreti. 

Ed è proprio il cast di attori a salvare un film che altrimenti andrebbe alla deriva come i suoi protagonisti.

A dispetto del titolo, chiaramente di "bene" c'è veramente poco, in quanto tutti i personaggi stanno male per qualcosa. Tutti personaggi influenzati dalla sindrome di Peter Pan, senza pensare alle conseguenze di questi gesti e comportamenti sui figli. La loro immaturità è l'elemento fondante del film. Non abbiamo rispetto ad altri film di Muccino, la famiglia ricompattata, anzi. Non per niente l'unica famiglia che si rafforza da questa esperienza è quella tra i personaggi interpretata da Claudia Gerini e Massimo Ghini, perchè probabilmente sono gli unici che veramente hanno veri problemi, legati alla malattia di lui. Gli altri rapporti sono forzati e immaturi.

Anche se l'isola non avrà nome, il film è stato girato a Ischia, perché «serviva un'isola così: piena di angoli suggestivi e logisticamente pratica», spiega Muccino, che aggiunge che lì è nata la madre e quindi c'è un rapporto personale con questo luogo.

Muccino non da alibi e non da colpe, gioca molto sui dettagli, sugli sguardi e sui ricordi ed è lì che il film fa sentire la sua forza in un film mucciniano per eccellenza che rivela sin dall'inizio il suo campo d'indagine e affida questa dichiarazione d'intenti alla frase d'apertura recitata dalla voce fuori campo di Accorsi: "Dicono che la famiglia sia il nostro punto di partenza, poi di fuga e alla fine diventi quello di ritorno"

 
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4 - PER I DIRITTI DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI, PER IL DIRITTO AL LAVORO

Post n°14303 pubblicato il 21 Febbraio 2018 da Ladridicinema

Ogni giorno ci dicono che siamo “fuori dal tunnel”, che l’occupazione è tornata ai livelli precedenti alla crisi,  e che questo è avvenuto grazie alle “riforme strutturali” e al Jobs Act in particolare.

È un’assoluta falsità. Le ore lavorate tradotte in posti di lavoro segnano ancora un milione di posti in meno rispetto al periodo pre-crisi, e la crescita del numero di occupati registra solo l’aumento dei contratti precari, del part-time imposto, della sottoccupazione.  Le politiche dei governi Renzi e Gentiloni non hanno fatto altro che regalare risorse alle imprese – oltre 40  miliardi negli ultimi tre anni – mentre si è dato il via libera definitivo ai licenziamenti illegittimi, ai demansionamenti, alla videosorveglianza, alla massima precarietà, sia per il lavoro dipendente che per quello autonomo, che spesso lo è solo di nome, dato ad esempio l’alto numero di partite IVA che nascondono lavori subordinati pagati con salari da fame e senza alcun diritto.

Ma non si tratta solo degli ultimi anni. Dal pacchetto Treu alla legge 30, dal Collegato Lavoro all’articolo 8, dalla legge Fornero al Jobs Act, precarizzazione e perdita di diritti sono diventati la regola, i salari si sono impoveriti, la ricchezza si è spostata dal lavoro al capitale e alla rendita. Se sei donna poi, il tuo lavoro costa meno ed è più precario. Se sei giovane, sei ancora più sfruttato e il lavoro è persino gratuito (stage, tirocini, alternanza scuola/lavoro..). Cresce l’emigrazione di massa  verso altri paesi: non si tratta solo della “fuga dei cervelli” ma di  un vero e proprio esodo di migliaia di persone – più di quante ne arrivino – che se ne vanno per cercare il lavoro e il salario che qui non trovano più. Di lavoro si continua a morire, con la deregolamentazione delle tutele per la sicurezza sul lavoro, la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. La democrazia sui luoghi di lavoro è attaccata tutti i giorni, insieme al diritto di sciopero.

Per questo lottiamo per:

  • la cancellazione del Jobs Act, della legge Fornero sul lavoro, e di tutte le leggi che negano il diritto ad un lavoro stabile e sicuro;
  • la cancellazione delle principali forme di lavoro diverse dal contratto a tempo indeterminato, a partire dal contratto a termine “acausale” e dai voucher;
  • la messa fuori legge del lavoro gratuito, a qualsiasi titolo prestato;
  • il contrasto effettivo al caporalato, alle moderne forme di schiavismo, al lavoro nero o “grigio”;
  • la cancellazione dell’articolo 8 della legge 148/2011 – che dà alla contrattazione aziendale la possibilità di derogare in senso peggiorativo rispetto al contratto nazionale e alle leggi – e del cosiddetto Collegato Lavoro;
  • l’abolizione degli Ordini professionali, l’introduzione di un compenso equo ed esigibile per le lavoratrici e i lavoratori autonomi, e l’estensione ad essi degli ammortizzatori sociali previsti per il lavoro dipendente;
  • il ripristino dell’originario articolo 18 e la sua estensione alle imprese con meno di 15 dipendenti;
  • il ripristino della scala mobile;
  • la fine delle discriminazioni di genere e della disparità salariale;
  • misure incisive per la sicurezza sul lavoro, aumentando fondi e risorse per i controlli;
  • la difesa e il recupero di un reale diritto di sciopero, attraverso la modifica della l. 146/90;
  • una legge sulla democrazia nei luoghi di lavoro che garantisca a tutte e tutti il diritto di scegliere liberamente la propria rappresentanza sindacale: tutte/i elettori e tutte/i eleggibili senza il vincolo della sottoscrizione degli accordi.

Per impedire che continui la fuga delle giovani e dei giovani dall’Italia e riaffermare il diritto al lavoro per tutte e tutti, è necessario un Piano per il Lavoro centrato su:

  • la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali, tanto più necessaria a fronte dei processi in atto di automazione delle produzioni;
  • investimenti pubblici in politiche industriali e nella riconversione ecologica delle economia;
  • assunzioni pubbliche per potenziare e riqualificare il welfare (i dipendenti pubblici in Italia in rapporto alla popolazione sono ai livelli più bassi d’Europa: 5,2% contro l’8,5 della Francia, il 7,9 della Gran Bretagna, il 6,4 della Spagna, il 5,7 della Germania);
  • la riduzione dell’orario di lavoro nell’arco della vita, cancellando la controriforma Fornero.
 
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Box office in crescita, 4 milioni di euro in 5 giorni per A casa tutti bene

Post n°14302 pubblicato il 19 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

Sono bastati cinque giorni eccezionali (con una crescita del 33% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso) al box office italiano per pareggiare le perdite accumulate e impostare un bel periodo di crescita. Anche ieri è stata una giornata spettacolare, con A casa tutti bene (guarda la video recensione) capace di incassare 1,4 milioni di euro e stravincere il weekend con un totale di quasi 4 milioni di euro in appena cinque giorni di programmazione (di cui 3,4 milioni nel solo fine settimana). Il film di Muccino potrebbe diventare il miglior incasso italiano dell'anno. 
Sempre fortissimo Cinquanta sfumature di rosso, che arriva a quota 11,6 milioni di euro e diventa il miglior incasso del 2018 e raggiunge la sesta posizione nella classifica assoluta stagionale ma dovrebbe salire al secondo posto. Cresce Black Panther, che chiude il weekend con 2,3 milioni di euro ma ha un trend di forte crescita e potrebbe stupire nei prossimi giorni anche in Italia, come sta accadendo un po' ovunque nel mondo. 
Strepitosa domenica e ottimo weekend anche per La forma dell'acqua - The Shape of Water (guarda la video recensione), che chiude con 1,8 milioni di euro in cinque giorni. Restano vincenti The Post (guarda la video recensione), che supera nettamente la barriera dei 5 milioni di euro e Ore 15:17 Attacco al treno che conquista 2,2 milioni complessivi. 
Incassi più bassi per altri film: I primitivi (guarda la video recensione) sfiora il milione, Maze Runner - La rivelazione (guarda la video recensione) arriva a 2,5 milioni e Sono tornato (guarda la video recensione) chiude a 2,2 milioni. Made in Italy (guarda la video recensione), fuori classifica, supera i 3 milioni di euro. 
Questa settimana sarà più tranquilla sul fronte uscite, anche se potrebbero ottenere buoni dati Il filo nascostoLa vedova Winchester e Sconnessi

 
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3 - PACE E DISARMO

Post n°14301 pubblicato il 19 Febbraio 2018 da Ladridicinema

Il rischio che la “guerra a pezzi” che affligge il pianeta diventi organica e trascini il mondo in un devastante conflitto generale segna il nostro tempo. Non a caso riprende la corsa al riarmo con un ruolo particolarmente aggressivo dell’amministrazione Trump, che chiede a tutti i paesi della Nato di portare le proprie spese militari al 2% del PIL. Il nostro paese si è trovato e rischia di trovarsi sempre più coinvolto in guerre di aggressione a causa degli automatismi dell’adesione alla Nato e per la responsabilità piena e complice dei governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni; per il medesimo vincolo di subalternità sul nostro territorio proliferano basi militari vecchie e nuove (Sicilia, Campania, Sardegna), si installano nuove bombe nucleari a Ghedi ed Aviano, aumentano la produzione, le spese e gli impegni militari all’estero, sia nel quadro della Nato che del nascente esercito europeo: una spesa media di 800 milioni di euro l’anno per le “missioni” militari all’estero e per il riarmo, circa 500 milioni di euro all’anno per la diaria dei 50 mila soldati di stanza nelle basi militari Usa e Nato, 80 milioni di euro al giorno per le spese militari generali.

La fuoriuscita dai trattati militari è la condizione per impedire il coinvolgimento del nostro paese nelle guerre imperialiste del XXI secolo, per una sostanziale riduzione delle spese militari, lo smantellamento delle armi nucleari e delle basi militari, per una politica di disarmo, neutralità e cooperazione internazionale.

Per questo lottiamo per:

  • la rottura del vincolo di subalternità che ci lega alla NATO e la rescissione di tutti i trattati militari;
  • la ratifica da parte dell’Italia del “Trattato ONU di interdizione delle armi nucleari” del 7 luglio 2017, in coerenza con l’art. 11 della Costituzione;
  • il ritiro delle missioni militari all’estero;
  • la cancellazione del programma F35 e degli altri programmi militari e la riconversione civile dell’industria bellica;
  • la cancellazione del MUOS in Sicilia, lo smantellamento delle basi militari in tutto il paese,la rimozione delle bombe nucleari presenti sul territorio e la restituzione a fini civili dell’uso del territorio, problema particolarmente grave in realtà come la Sardegna.

 
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2 - unione europea

Post n°14300 pubblicato il 19 Febbraio 2018 da Ladridicinema

2 - UNIONE EUROPEA

Negli ultimi 25 anni e oltre, l’Unione Europea è diventata sempre più protagonista delle nostre vite. Da Maastricht a Schengen, dal processo di Bologna al trattato di Lisbona, fino al Fiscal Compact, le peggiori politiche antipopolari vengono giustificate in nome del rispetto dei trattati.

I ricchi, i padroni delle grandi multinazionali, delle grandi industrie, delle banche, le classi dominanti del continente approfittano di questo ”nuovo” strumento di governo che, unito al “vecchio” stato nazionale, impoverisce e opprime sempre più chi lavora. L’Unione Europea è uno strumento delle classi dominanti che favorisce l’applicazione delle famigerate e impopolari “riforme strutturali” senza nessuna verifica democratica.

Il “sogno europeo” dei tanti che hanno creduto nella possibilità di costruire uno spazio di pace e progresso si è scontrato con la dura realtà di un’istituzione al servizio degli interessi di pochi. Noi ci sentiamo naturalmente vicini ai tanti popoli che vivono nel nostro stesso continente, con i quali la nostra storia si è intrecciata e si intreccia tuttora e che soffrono come noi a causa di decenni di politiche neoliberiste; insieme a tutti costoro vogliamo ricostruire il protagonismo delle classi popolari nello spazio europeo.

Per questo lottiamo per:

  • rompere l’Unione Europea dei trattati;
  • costruire un’altra Europa fondata sulla solidarietà tra lavoratrici e lavoratori, sui diritti sociali, che promuova pace e politiche condivise con i popoli della sponda sud del Mediterraneo;
  • rifiutare l’ossessione della “governabilità”, lo svuotamento di potere del Parlamento, il rafforzamento degli esecutivi, l’imposizione di decisioni dall’alto perché “ce lo chiede l’Europa”;
  • il diritto dei popoli ad essere chiamati ad esprimersi su tutte le decisioni prese sulle loro teste a qualunque livello– comunale, regionale, statale, europeo – pregresse o future, con il ricorso al referendum.

 
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1- DIFESA E RILANCIO DELLA COSTITUZIONE NATA DALLA RESISTENZA

Post n°14299 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema

1- DIFESA E RILANCIO DELLA COSTITUZIONE NATA DALLA RESISTENZA

La nostra Repubblica è fondata su chi lavora: questo è scritto nel primo articolo della nostra Costituzione, nata dalla lotta di liberazione dal nazi-fascismo. Il Referendum del 4 dicembre ha mostrato la chiara volontà del popolo italiano di difendere la carta costituzionale.

Noi vogliamo non solo difenderla, ma attuare pienamente le idee che erano espressione di chi ha partecipato alla Resistenza, la costruzione di una nuova società fondata sulla dignità e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, l’eliminazione di ogni discriminazione, il principio di eguaglianza sostanziale, i diritti sociali, la salvaguardia del patrimonio ambientale e artistico, il ripudio della guerra.

Per questo lottiamo per:

  • ridare centralità e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori;
  • far sì che ogni discriminazione di sesso, etnia, lingua, religione, orientamento sessuale venga superata, rimuovere ogni ostacolo di carattere economico e sociale che limita l’uguaglianza;
  • abrogare l’articolo 7 con il richiamo ai Patti Lateranensi, per la piena affermazione del principio di laicità dello Stato in tutte le sfere della vita pubblica;
  • promuovere e supportare la cultura e la ricerca scientifica, salvaguardare il patrimonio ambientale e artistico;
  • ripudiare la guerra e dare un taglio drastico alla spesa militare;
  • rimuovere il vincolo del pareggio di bilancio, inserito di recente con la modifica dell’articolo 81, che sacrifica le vite e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori in nome dell’equilibrio fiscale e dei parametri europei;
  • ripristinare il Titolo V della Costituzione com’era prima della riforma del 2001;
  • contrastare in ogni modo CETA, TISA, TTIP, trattati internazionali aberranti che vorrebbero cancellare ogni parvenza di sovranità popolare e democratica in nome del primato del profitto;
  • ripristinare l’elezione del Parlamento attraverso un vero sistema proporzionale, contro il maggioritario e il rafforzamento del potere esecutivo;
  • contrastare e sciogliere le organizzazioni fasciste, requisire i loro patrimoni e riutilizzarli per finalità sociali, proprio come si fa per le mafie.

 
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Lo scandalo di FanPage da articolo21

Post n°14298 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

Lo scandalo di Fanpage: giornalisti nel mirino della procura per l’inchiesta sullo sversamento illegale di rifiuti

Scoppia lo scandalo intorno all’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti portata avanti da Fanpage. L’indagine giudiziaria, su corruzione, rifiuti e scambio di voti è partita il 15 febbraio e ha già coinvolto alcuni personaggi politici appartenenti a vari schieramenti. Ma, sono finiti nel mirino della procura anche il direttore della testata, Francesco Piccinini e Sacha Biazzo, il giornalista che ha portato avanti l’inchiesta. Stamattina, 16 febbraio, nella redazione di Fanpage si è svolta la conferenza stampa. “Quando si tratta di reati ambientali, lo scoop non esiste dichiara Piccinini – Quindi io sono andato in procura e ho portato il video il 27 dicembre 2017. Siamo ritornati io e Sasha il 30 e abbiamo verbalizzato di nuovo, abbiamo consegnato tutto il girato fino a quel momento”. In quell’occasione, è stata la stessa procura a spiegare ai due giornalisti di aver seguito la corretta procedura.

Se si fossero comportati in modo diverso, sicuramente sarebbero finiti tra gli accusati. Eppure, in questi giorni la redazione del giornale online è stata perquisita dalle forze dell’ordine e Piccinini e Biazzo sono stati denunciati. “Sono andato personalmente in procura due giorni fa a dire che noi eravamo intenzionati a pubblicare il servizio sabato – racconta Piccinini –  se avessi voluto forzare le procedure non mi sarei comportato in questo modo. Ma non ho avuto risposta, lo dimostrano anche le intercettazioni. Infatti, il telefono mio e di Sasha è sotto controllo da due mesi. Certamente mi è sembrato strano che non ci abbiano detto niente ma, ho pensato che avessero già raccolto le informazioni necessarie. Ora rischiamo un altro procedimento a nostro carico per violazione di segreto d’ufficio”.  I colleghi sono stati protagonisti di una inchiesta nella quale sono riusciti a documentare il traffico di rifiuti illeciti e i collegamenti tra camorra e politica grazie ai quali lo smaltimento delle sostanze tossiche avveniva senza alcun controllo provocando disastri ambientali.

“La Procura – spiegano in una nota Federazione nazionale della Stampa italiana e Sindacato unitario dei giornalisti Campania – era stata informata già dal direttore Francesco Piccinini di quanto era stato documentato. Mettere i giornalisti sotto inchiesta e perquisire una redazione non possono essere considerati ‘un atto dovuto’, soprattutto perché sono in gioco la libertà di informare e la tutela delle fonti dei cronisti, la cui segretezza non può essere messa in alcun modo a repentaglio”. Il Sindacato unitario dei giornalisti della Campania e la Federazione nazionale della Stampa italiana “esprimono solidarietà ai colleghi, di cui difenderanno in ogni sede il diritto di fare il loro lavoro nell’interesse dei cittadini ad essere informati”. Sono intervenuti nel corso della conferenza anche Claudio Silvestri, segretario Sugc, e Carlo Verna, presidente dell’Ordine dei Giornalisti. “Siamo costretti ad appellarci contro il nostro Paese alla Corte di Strasburgo – ha detto Verna -. Non è possibile che ci sia stata qui una perquisizione, perché la redazione è un luogo sacro, dove la libertà di stampa viene esaltata. Un ulteriore discorso da fare riguarda la fantasia con cui vengono disegnate nuove fattispecie di reato a carico dei giornalisti, anche quando questi stanno svolgendo estremamente bene la loro funzione sociale a favore della democrazia. L’inchiesta penale è diversa da quella giornalistica, è bene ricordarlo, hanno rilevanza diversa. Quando poi ci sono elementi coincidenti si fa esattamente quello che ha fatto il direttore di Fanpage.it: si va in Procura e si offrono questi elementi. Per cui difenderemo in tutti i modi la libertà di stampa e il giornalismo, che implica a sua volta il diritto del cittadino di sapere”.

Grazie all’inchiesta di Fanpage, sono finiti nel registro degli indagati anche il consigliere regionale e candidato alla Camera per Fratelli d’Italia Luciano Passariello e Roberto De Luca, secondogenito del presidente della Regione Campania, attuale assessore al Comune di Salerno,  Agostino Chiatto (segretario di Passariello), il consigliere delegato della società Sma Campania Lorenzo Di Domenico, il commercialista Carmine Damiano e gli imprenditori Nunzio Perrella, Rosario Esposito e Antonio Infantino. Alla redazione e ai colleghi va tutta la solidarietà di Articolo 21. Questo tipo di giornalismo, che fa luce su chi da sempre fa scempio del nostro territorio, andrebbe premiato non indagato.

 
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Alberto Negri - Medio Oriente, Israele, Rai e non solo: una falsa versione della storia da antiiplomatico

Post n°14297 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

Alberto Negri - Medio Oriente, Israele, Rai e non solo: una falsa versione della storia
 


di Alberto Negri*


Per capire con che tipo di media si ha a che fare in Italia basta toccare l’argomento Israele e Medio Oriente. Oggi la Rai è riuscita a parlare dei raid israeliani ma anche dell’operazione della Turchia contro i curdi siriani senza mai accennare una volta, una volta sola, alle vittime di questo conflitto, i siriani, 500mila morti 7-8 milioni di rifugiati interni ed esterni. Non una parola sullo scontro Usa-Turchia, poi.



Di Israele che occupa il Golan dal 1967 non si fa cenno, come se fosse per caso che gli israeliani siano lì, sulle alture, dal 1967.

Viene colpito un aereo israeliano? Il mantra è sempre questo: Israele “si difende” e gli altri “attaccano”.

Non solo: l’Iran viene rappresentata come la nazione che domina il Medio Oriente, non quella che ha “anche” subito le guerre volute da altri.

Allora si capisce bene in che cosa consistono i nostri cosiddetti esperti di geopolitica: narratori di una realtà fuorviante, asettica e senza sangue, senza neppure una storia che non sia quella del giorno prima, dove Israele rappresenta l’Occidente e gli altri sono i “barbari”. Ma la Rai è solo un esempio, accompagnata da un corteo di giornali colonizzati da una loro versione della storia senza attinenza con la realtà.

La conseguenza è che in Medio Oriente, da anni, non ne imbroccano una. Ma come dice Velasquez, bisogna sempre scrivere e lottare.




*Post Facebook del 13 febbraio 2018. Riproposto su gentile concessione dell'Autore

 
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“La classe operaia va in Paradiso” e il lavoro della sceneggiatura da cinefiliaritrovata.it/

Post n°14296 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

 

 

È curioso che il titolo del film La classe operaia va in paradiso sia un’appropriazione ‘politicamente scorretta’ di Pirro che lo prende a prestito, manipolandolo, da quello di un’opera teatrale - per giunta sull’armata rossa – e che oggi torni a rivivere proprio sul palcoscenico.. In una lunga intervista rilasciata a Enzo Latronico poco tempo prima di spegnersi, lo sceneggiatore e scrittore Ugo Mattone, in arte Ugo Pirro, racconta la genesi del film:

“Innanzi tutto bisogna dire che noi di sinistra, effettivamente, non sapevamo un cazzo della fabbrica, o meglio, ci sfuggiva la vita degli uomini dentro la fabbrica, della catena di montaggio, della vita, dei ritmi di lavoro e dei loro ragionamenti. In effetti, chi c’era mai stato dentro una fabbrica? […] Siccome non ci andava mai bene niente, fondammo un Comitato Cineasti contro la repressione. Pagavamo tutto con i nostri soldi, la pellicola, lo sviluppo, tutto insomma, e decidemmo di seguire una lotta operaia alla FATME, appena fuori Roma, all’Anagnina (la FATME si occupava di apparecchi telefonici). Era stato appena licenziato un operaio e Potere Operaio aveva organizzato una lotta, con cortei intorno alla fabbrica, per farlo riassumere. […] Noi filmammo tutto, e pensammo che la storia di questo operaio (mi sembra si chiamasse Zimbelli) potesse essere una buona idea da raccontare al cinema”. […] Il titolo l’ho inventato io e ti dico anche da dove l’ho preso, da un dramma teatrale dell’epoca della rivoluzione russa che s’intitola L’armata rossa va in paradiso.”

La classe operaia va in paradiso è il secondo atto della così detta ‘trilogia del potere’, iniziata con Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e che si conclude con La proprietà non è più un furto (1973). Rappresenta inoltre lo zenit del sodalizio Pirro/Petri/Volonté; una sinergia di grandi talenti ma dai caratteri estremi, come per certi aspetti sono stati gli anni della contestazione. In Il cinema della nostra vita, Pirro ha dichiarato che “[…] fu proprio il titolo a ispirare la scena finale, allorché alla catena gli operai sognano senza illusioni il loro paradiso. Nessuno fra quanti presero parte al film e tanto meno la critica colse il significato di quella scena, così disperata e premonitrice”.

Tra gli oltre mille fascicoli che compongono il fondo Pirro si trovano centinaia di pagine - "trafitte in ogni spazio bianco da quella scrittura minuscola" – dedicate all’elaborazione della sceneggiatura del primo film italiano che racconta l’esistenza degli operai. Ogni scena è stata pensata nei minimi dettagli, i dialoghi scritti e riscritti più volte, come l’incontro al manicomio dal sapore pirandelliano tra Lulù Massa (Gian Maria Volonté) e l’ex operaio Militina (Salvo Randone), o i diversi momenti di scontro fuori e dentro la fabbrica. Particolare attenzione è stata riservata alla scrittura dei dialoghi tra sindacati, operai e il movimento studentesco; se ne trovano diverse versioni. Invece, del feroce quanto straordinario finale onirico nulla, neppure una riga. Al suo posto, un finale che non muta l’interpretazione pessimistica di Pirro/Petri sul destino riservato ai lavoratori a cottimo, ma fa di Lulù Massa un eroe tragico, nel senso più classico del termine:

“La sirena suona, è come un urlo di morte, i cancelli cigolano, Massa abbassa la testa, ha la cieca espressione di un toro sanguinante. […] Massa corre corre verso la palazzina dei padroni inseguito dalle jeep che gli urlano addosso. Ora Massa non corre più verso il tradimento, verso il suo posto di lavoro, ma verso il massacro, il sacrificio, si ferma alza le mani quasi a favorire la sua distruzione fisica e una jeep lo investe lo sbatte contro la vetrata della direzione. L’immagine si ferma sulla sua ultima smorfia della vita, il braccio destro è alzato, il pugno è chiuso teso verso il cielo. Sembra già bussare alla porta del Paradiso.”

Una conclusione che avrebbe dato al protagonista un senso di riscatto, restituendogli la dignità umana e allo spettatore una possibilità di catarsi. E invece gli autori, tirano dritto, sfondano il muro, soffocando ogni speranza nella nebbia.

 
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La Forma dell'Acqua

Post n°14295 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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A casa tutti bene

Post n°14294 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Dopo tante menzogne gli Usa ammettono di non avere prove

Post n°14293 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

E così, dopo tante piccole bugie e grandi fake news... gli Usa ammettono: non abbiamo prove delle armi chimiche di Assad da antidiplomatico
E così, dopo tante piccole bugie e grandi fake news... gli Usa ammettono: non abbiamo prove delle armi chimiche di Assad
 



E così, dopo tante piccole bugie e altrettante spudorate menzogne, la narrativa anti-Assad subisce una ferita mortale: gli Stati Uniti hanno ammesso che non hanno nessuna prova che il presidente siriano abbia usato il sarin.

Inizia così un articolo che ho pubblicato per Occhi della guerra (cliccare qui) che dà conto delle sorprendenti affermazioni del ministro della Difesa americano James Mattis, il quale, in una conferenza stampa tenuta il 2 febbraio, ha ammesso che il raid americano di aprile in Siria, conseguente alla strage di Khan Sheikhoun (presso Idlib) causata da un gas tossico, non aveva alcun fondamento.


Allora gli Stati Uniti avevano accusato Assad di aver usato il sarin contro i ribelli, mentre Damasco e Mosca respingendo tali accuse, spiegavano che l’aviazione siriana aveva colpito un sito dei “ribelli” nel quale era stipato il gas. O che gli stessi ribelli avessero inscenato l’attacco per spingere gli americani a intervenire in loro difesa.


Ma torniamo alla conferenza stampa di Mattis. Alla precisa domanda di un cronista, che gli ha chiesto conferma di quanto il ministro gli aveva confidato in privato, se cioè che gli Stati Uniti stessero ancora cercando le prove riguardanti le responsabilità di Assad sull’accaduto, Mattis ha risposto: «Non abbiamo la prova […] stiamo cercando le prove».


Una rivelazione che contraddice del tutto le certezze di allora, quando fu ordinata la ritorsione. E che mina nel profondo la narrativa volta a dipingere Assad come un criminale di guerra.


Peraltro, se gli Stati Uniti hanno mentito su una questione così rilevante, che ha tenuto per giorni il mondo con il fiato sospeso (si sfiorò uno scontro con Mosca), quante altre menzogne sono state propalate dall’Occidente su questa sporca guerra in cui propaganda e informazione sono legano in maniera indissolubile?


gas di Assad somigliano sempre più alle armi di distruzione di massa di Saddam: artifici per giustificare un intervento militare americano in Siria.


Resta il dubbio del perché un uomo navigato e abile come Mattis abbia voluto rivelare un particolare tanto imbarazzante. Perché è evidente che non si tratta di uno scivolone.


Probabile che il generale, come gli altri che attorniano Trump e formano il nerbo della sua amministrazione, abbia voluto indirizzare un segnale a Mosca. Gli Stati Uniti non vogliono un’escalation in Siria. Ovvio che le due potenze hanno interessi contrastanti. E che la conflittualità alta.


È però più che probabile che i generali Usa vogliano conservare il conflitto nell’alveo di una cornice consolidata, che ne renda gestibile le inevitabili criticità.


Una posizione contrastata dai neocon e dai settori dell’apparato militare e di intelligence che rispondono a loro. Che invece stanno cercando in tutti i modi di far deragliare il conflitto per poter arrivare alla tanto agognata guerra contro l’Iran.

Probabile che il bombardamento della settimana scorsa, che ha falcidiato le forze siriane (e alleate) a Deir Ezzor provocando circa cento morti (Piccolenote), sia da inquadrarsi nell’ambito di questo conflitto interno agli Stati Uniti.

 


Un’azione tanto anomala e tanto debordante poteva provocare appunto un’escalation. E certo non sarebbe stato sufficiente a evitarla solo l’usuale avvertimento previo inviato dal comando militare Usa in Siria all’omologo russo.


Come è evidente l’intento provocatorio successivo, quando gli Stati Uniti hanno comunicato che le bombe Usa avrebbero ucciso 200 russi (una probabile forzatura numerica, che ne acuisce l’intento provocatorio).


Certo, Mosca ha protestato vibratamente, ma senza assecondare la spinta all’escalation. Più che probabile che, sottotraccia, qualche messaggio sia intercorso tra Washington e Mosca. Che ha evitato il peggio. Alla Siria e al mondo.

 
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La Forma dell'Acqua

Post n°14292 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

Titolo originale: The Shape of Water

Nella sua nuova opera, La forma dell'acqua, il visionario Guillermo del Tororacconta una fiaba gotica ricca di suggestioni fantasy, ambientata nel pieno della Guerra Fredda americana (siamo nel 1963) e incentrata su una giovane eroina senza voce.  
A causa del suo mutismo, l'addetta alle pulizie Elisa (Sally Hawkins) si sente intrappolata in un mondo di silenzio e solitudine, specchiandosi negli sguardi degli altri si vede come un essere incompleto e difettoso, così vive la routine quotidiana senza grosse ambizioni o aspettative.  
Incaricate di ripulire un laboratorio segreto, Elisa e la collega Zelda (Octavia Spencer) si imbattono per caso in un pericoloso esperimento governativo: una creatura squamosa dall'aspetto umanoide, tenuta in una vasca sigillata piena d'aqua. Eliza si avvicina sempre di più al "mostro", costruendo con lui una tenera complicità che farà seriamente preoccupare i suoi superiori. 

Il film ha vinto il Leone d'Oro al Festival di Venezia 2017 ed è candidato a 13 Premi Oscar 2018.


 

"L'acqua prende la forma di tutto ciò che la contiene in quel momento e, anche se l'acqua può essere così delicata, resta anche la forza più potente e malleabile dell'universo. Vale anche per l'amore, non è vero? Non importa verso cosa lo rivolgiamo, l'amore resta sé stesso sia verso un uomo, una donna o una creatura." 
Parla così del suo film, Guillermo del Toro, il regista messicano che non ha mai nascosto la sua passione per i mostri, per storie capaci di impaurire e incantare allo stesso tempo, così come facevano i classici horror della Universal di cui si è nutrito per anni, popolati di creature sì mostruose, ma intrappolate in uno stato transitorio - parte umane, parte qualcos'altro -, uno stato in cui chiunque si sia sentito emarginato, potesse identificarsi. 
Uno di questi esseri era proprio il Mostro della laguna nera protagonista del b-movie diretto nel 1954 da Jack Arnold e dei due sequel che ne sono derivati, il Gill-Man che è chiaramente un'ispirazione diretta per l'essere anfibio protagonista di The Shape of Water
Un film che nasce da una chiacchiera tra il regista messicano e Daniel Kraus, suo cosceneggiatore nella serie animata Trollhunters, avvenuta durante una colazione, durante la quale Kraus raccontò di un'idea avuta da ragazzo diventata poi il soggetto essenziale del film: quello di una donna delle pulizie di un impianto governativo che intesse un'amicizia con un uomo anfibio tenuto lì prigioniero. 
Nelle mani di del Toro, che per girare The Shape of Water ha rinunciato al sequel di Pacific Rim, questa trama è poi diventata una vera e propria storia d'amore, di un amore anche carnale che, per il regista, rappresenta la completa fusione tra due anime. 
Se il cast del film appare così azzeccato e funzionale alla storia che racconta, è di certo anche perché del Toro ha scritto il copione avendo fin dall'inizio in mente gli attori cui poi ha chiesto di partecipare al film: Sally Hawkins - che del Toro ha raccontato di aver approcciato da ubriaco ai Golden Globe del 2014, e che proprio in quel momento stava scrivendo una storia in cui una donna non si rende conto di essere una sirena - nei panni di Eliza, la protagonista; Richard Jenkins in quelli del suo amico e vicino di casa omosessuale, che l'aiuterà a salvare la Creatura; Michael Shannon in quelli del feroce agente governatico che ha catturato e che tortura la Creatura; Michael Stuhlbarg in quelli dello scienziato che invece vuole studiarla e proteggerla; Octavia Spencer in quelli della collega e grande amica di Eliza. 
Nei panni della Creatura, il cui aspetto definitivo ha richiesto nove mesi di lavoro, c'è Doug Jones, alla sua sesta collaborazione con del Toro, l'attore che è stato in precedenza per lui il Fauno del Labirinto del Fauno e l'Abe Sapien dei due Hellboy, giusto per citare due ruoli. 
L'attesa attorno a questo film è stata altissima fin da quanto è stato diffuso online il primo trailer, di fronte al quale Kevin Smith ha sentito di twittare che "Vedere qualcosa di così bello mi fa sentire stupido per definirmi anche io un regista". E se The Shape of Water è riuscito a vincere il Leone d'Oro al Festival di Venezia 2017, pur essendo un blockbuster, e rompendo quindi una consolidata tradizione festivaliera, un motivo ci sarà pure.

Alcuni dei film e telefilm citati in La Forma dell'Acqua

Guillermo del Toro, la cui cinefilia è ben nota, riempie il suo film di citazioni, evitando di fare riferimento ai capolavori del musical e della Hollywood classica e preferendo inserire pellicole minori e attrici di grande successo popolare, per comunicare l'idea che qualsiasi film, per un ragazzo, rappresenta un mondo magico e di speranza. 
Ecco dunque che Elisa, la protagonista della storia, vede in tv col suo più anziano amico Giles. oltre ai notiziari dell'epoca (l'annuncio del presidente John F. Kennedy dell'inizio della cosiddetta crisi dei missili di Cuba, con l'inasprimento della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il 22 ottobre 1962) telefilm come Mister Ed - The Talking Horse, ma soprattutto musical minori degli anni Quaranta, che risalgono all'epoca della giovinezza di Giles. 
Tre di questi hanno come protagoniste altrettante dive del periodo, oggi dimenticate dai più: l'esotica ballerina brasiliana Carmen Miranda, la cantante Alice Faye e la pin-up dei soldati americani Betty Grable, rispettivamente in Una notte a Rio (1941), Vecchia San Francisco (1943, in cui Alice Faye interpreta la canzone premio Oscar che Elisa canta nel sogno ad occhi aperti al suo amore anfibio, "You'll Never Know") e L'isola delle sirene, sempre del 1943. E' invece del 1935 Il piccolo colonnello, dove il più grande tap dancer della storia, Bill “Bojangles” Robinson, stella del Cotton Club, fa da spalla come in altri film alla diva bambina Shirley Temple, purtroppo relegato, per il colore della sua pelle, a ruoli insignificanti. Il ballo tra Elisa e la Creatura è invece ispirato, nelle coreografie, a due film con Fred Astaire: Seguendo la flotta (1936) e Balla con me (1940). 
La Forma dell'Acqua: guida ai contenuti dello scrigno magico di Guillermo del Toro

 

Dal Trailer Uffciale in Italiano del Film

Richard Strickland (Michael Shannon): Se sapete qualcosa su quello che è successo qui, è vostro dovere...denunciarlo. 

Zelda Fuller (Octavia Spencer): Brava, fingi di non sapere niente 

Generale Hyot (Nick Searcy): La tua unica preoccupazione è la risorsa, la vogliono i Sovietici, ce l'hai? 
Richard: Signore, la sto recuperando 

Richard: Avete visto qualcuno entrare o uscire dal laboratorio? 
Zelda: No, niente di insolito 

Fleming (David Hewlett): Potrebbe essere in assoluto il soggetto più sensibile mai ospitato in questo laboratorio! 

Richard: Come sono entrati? 
Fleming: È un gruppo altamente addestrato di almeno dieci uomini: efficienti, spietati e meticolosi 

Richard: Tu risolvi, è questo che fai, risolvi...giusto? Giusto?? 

Richard: Se sai qualcosa che non mi stai dicendo, me lo dirai! 

Zelda: Sta venendo, vattene subito e porta via quell'essere 

Elisa Esposito (Sally Hawkins): F-O-T-... 
Richard: Cosa mi hai detto? Che dice? Cosa sta dicendo?? 
Zelda: Sta dicendo "grazie"

 


 
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A casa tutti bene

Post n°14291 pubblicato il 17 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

A casa tutti bene è un film di genere commedia, drammatico del 2018, diretto da Gabriele Muccino, con Stefano Accorsi e Carolina Crescentini. Uscita al cinema il 14 febbraio 2018. Durata 105 minuti. Distribuito da 01 Distribution.

Poster

Il nuovo film di Gabriele Muccino, A casa tutti bene è il ritratto di una grande famiglia riunita per festeggiare le Nozze d'Oro dei nonni.
Sbarcati sull'isola dove la coppia di pensionati si è trasferita a vivere, figli e nipoti si ritrovano bloccati sull'isola a causa di un'improvvisa mareggiata che impedisce ai traghetti di raggiungere la costa. Il nutrito nucleo/cast composto tra gli altri da Pierfrancesco FavinoStefano Accorsi e Carolina Crescentini, sarà costretto a fermarsi più a lungo del previsto sull'isoletta, sotto lo stesso opprimente tetto e in compagnia di numerosi parenti invadenti. Il confronto inevitabile farà riemergere antiche questioni in sospeso, riaccenderà conflitti e gelosie del passato, inquietudini e paure mai sopite. Ci sarà persino un colpo di fulmine, o forse è solo la tempesta che imperversa all'esterno.

Anche se L'estate addosso era già un film italiano, perché parlato nella nostra lingua e interpretato per metà da attori non statunitensi, A casa tutti bene segna il ritorno ufficiale di Gabriele Muccino in patria, tanto che lui stesso lo ha definito fin dal principio "il film del ritorno a Itaca", paragonandosi a un Ulisse, se non più anziano, comunque più saggio del personaggio nato dalla fantasia di Omero, un uomo pacificato che ha firmato un'opera personalissima incentrata innanzitutto sulla famiglia, una grande famiglia, in questo caso.

PANORAMICA SU A CASA TUTTI BENE:

L'azione di A casa tutti bene si svolge su un'isola immaginaria, luogo simbolico dal quale a volte è difficile fuggire e dove una tempesta trattiene più a lungo del previsto figli, nipoti, cognati e cugini riuniti da Alba e Pietro, che festeggiano le nozze d'oro. I personaggi sono dunque numerosi e ognuno è chiamato a fare i conti con il proprio passato, con gelosie mai sopite, rapporti irrisolti e imprevisti colpi di fulmine. 
In un simile tourbillon di confronti umani, i sentimenti la fanno dunque da padrone, collocando il film all'interno del genere melò - anche se Gabriele Muccino parla di "racconto epico" - e accostandolo inevitabilmente a L'ultimo bacio. Da quell'opera, A casa tutti bene "prende", oltre ai travolgenti movimenti di macchina parte del suo cast: Stefano Accorsi, Stefania Sandrelli, Pierfrancesco Favino e Sabrina Impacciatore, mentre sono alla loro prima esperienza con il regista romano Ivano Marescotti, Claudia Gerini, Massimo Ghini, Carolina Crescentini, Gianfelice Imparato, Giampaolo Morelli, Valeria Solarino, Gianmarco Tognazzi e Sandra Milo. Giulia Michielini, invece, era già stata diretta da Gabriele in Ricordati di me. 
Ognuno di loro - ha raccontato il regista - ha messo qualcosa di sé nella storia, che risulta la "summa" di diverse anime. Scritto insieme a Paolo Costella (che è uno degli sceneggiatori di Perfetti sconosciuti), A casa tutti bene - la cui canzone "tormentone" è Bella senz'anima (cantato anche dai personaggi a cominciare dal trailer) segna anche un altro ritorno: quello di Nicola Piovani al cinema. Il compositore, autore della colonna sonora del film, è alla sua prima collaborazione con il regista, cosa che non si può dire per il direttore della fotografia Shane Hurlbut, che ha illuminato Padri e figlie.

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer Ufficiale del Film A casa tutti bene:

Paolo (Stefano Accorsi): Dicono che la famiglia sia il nostro punto di partenza, poi di fuga e alla fine diventi quello di ritorno 

Ginevra (Carolina Crescentini): Per le loro nozze d'oro i miei ci hanno voluto riunire tutti, era stato organizzato per stare bene tutti insieme, come quando eravamo bambini 

Carlo (Pierfrancesco Favino): Poi, però, lì ci siamo rimasti bloccati e scopri che chi ti sta più vicino non lo conosci per niente 

Isabella (Elena Cucci): Ti vedono come la scheggia impazzita a casa 
Paolo: Non mi vedono da anni...non sanno niente di me 

Sara (Sabrina Impacciatore): Come hai fatto tu a sopportare tutti i tradimenti di papà? 

Carlo: A te questa cosa proprio non ti va giù, io voglio che siamo solo tutti felici, porca puttana! 

Ginevra: Da quant'è che ci stai addosso? Come un avvoltoio! 
Carlo: Basta...per favore! 
Ginevra: Te lo dico io! Sono nove anni! 
Elettra (Valeria Solarino): Ma te sei una malata di mente, sei! 

Pietro (Ivano Marescotti): Io sono cresciuto orfano, a me una famiglia mi sta sul cazzo! 

Nipote (Elena Rapisarda): Giuro che il giorno dopo che faccio 18 anni scappo e non mi vedono più 

Paolo: Vorrei una vita normale 
Alba (Stefania Sandrelli): Le vite normali non esistono

 


 
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The post

Post n°14290 pubblicato il 16 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

Nel 1972 la corte suprema americana ricordò come nel primo emendamento della dichiarazione d'indipendenza i padri fondatori diedero "alla libera stampa la protezione che essa deve avere per realizzare il suo essenziale ruolo nella nostra democrazia. La stampa doveva servire i governati, non i governanti", perchè "Solo una stampa libera ed indomita può effettivamente svelare gli inganni del governo".

Il film parla di uno dei più grandi scandali americani, ovvero le menzogne delle amministrazioni Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon sul Vietnam. Nel 1971, furono divulgati dei documenti top secret del dipartimento della difesa americana sulla guerra vietnamita, detti dossier Mc Namara (Pentagon Papers), pubblicati prima sul New York Times e poi dopo che questi furono minacciati da un'ingiunzione della corte suprema, dal Washington Post e in seguito da tutti gli altri in solidarietà con i due giornali.

A diffondere 7000 pagine di un rapporto sulla guerra, fu Daniel Ellsberg, economista e impiegato del Pentagono, che raccontò di come la presidenza Nixon coprì con il segreto di Stato la verità sulla guerra, mentre le presidenze Eisenhower e Kennedy sapevano che quella guerra non sarebbe mai stata vinta. In tutto questo e in mezzo a tutte queste bugie per una questione di orgoglio nazionale (in quanto non si poteva accettare la sconfitta) migliaia di giovani americani morivano in Vietnam. Le Operazioni in Laos cessarono due giorni dopo la pubblicazione dell’articolo sul New York Times.

L’ultimo film di Steven Spielberg, il tanto atteso “The Post”, ci ricorda come dovrebbeessere il vero giornalista. Spielberg enfatizza che i singoli e le loro scelte sono fondamentali per i cambiamenti della società, e per permettere al popolo di agire di conseguenza. Non è un inno ai giornali, ma alla libertà di stampa, perchè in questi anni il pericolo e la minaccia ad essa, è peggiore che nel 1971.

Con questo film esaltano tutto il processo che si nasconde dietro la pubblicazione di una prima pagina, e di un quotidiano tutto.

Il coraggio di Ben Bradlee e del suo editore Katharine Graham, sono un punto di orgoglio e di coraggio. 

E' un film sulla forza delle donne, in quanto quella prima decisione alla guida del Washington post da parte della Graham, fu essenziale per ribadire l'importanza della verità sulla menzogna, qualunque conseguenza possa avere, anche sopra gli interessi di Stato. Lei era assolutamente convinta che il primo emendamento fosse fondamentale e che bisognasse rispettare i lettori e la loro intelligenza. La sua decisione diede il primo duro colpo all'amministrazione Nixon, travolto poi dallo scandalo Watergate poco dopo.

Sfidare il potere di uno come Nixon. Rischiare tutto in nome della verità o accettare di mentire per non fare affondare la nave? La nostra coscienza cosa ne pensa? Sta qui la magia del film di Spielberg. “Phil diceva che una notizia è la prima bozza della Storia”. Katharine Graham (Meryl Streep) aspetta la fine del film per confidare a Ben Bradlee (Tom Hanks) una frase del marito, Phil, morto suicida anni prima, dal quale ereditò il comando del Post. Un film necessario e giusto, ma che non riguarda solo l'attuale amministrazione americana come qualcuno vuol far credere, ma tutte le amministrazioni americane (visto che lo scandalo fu bipartisan riguardando amministrazioni di entrambi gli schieramenti) e soprattutto la decadenza del giornalismo moderno asservito al potere e dedido alle fake news.

Dubbi sul prossimo oscar come migliore attrice?

 
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MUTUALISMO, SOLIDARIETÀ E POTERE POPOLARE

Post n°14289 pubblicato il 16 Febbraio 2018 da Ladridicinema

Le condizioni di vita delle classi popolari peggiorano sempre di più, per ciò che riguarda la salute, l’istruzione, ma anche più semplicemente la possibilità di godere di tempo liberato da dedicare ad uno sport, un hobby, etc.

In quest’ottica mutualismo e solidarietà non sono semplicemente un modo per rendere un servizio, ma una forma di organizzazione della resistenza all’attacco dei ricchi e potenti; un metodo per dimostrare nella pratica che è possibile, con poco, ottenere ciò che ci negano (salute, istruzione, sport, cultura); una forma per rispondere, con la solidarietà, lo scambio e la condivisione, al razzismo, alla paura e alla sfiducia che altrimenti rischiano di dilagare.

Le reti solidali e di mutualismo sono soprattutto una scuola di autorganizzazione delle masse, attraverso la quale è possibile fare inchiesta sociale, individuare i bisogni reali, elaborare collettivamente soluzioni, organizzare percorsi di lotta, controllare dal basso sprechi di denaro pubblico e corruzione.

Tutti i punti precedenti sono strettamente intrecciati con la questione centrale, la necessità di costruire il potere popolare. Per noi potere al popolo significa restituire alle classi popolari il controllo sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza; significa realizzare la democrazia nel suo senso vero e originario.

Per arrivarci abbiamo bisogno di fare dei passaggi intermedi e, soprattutto, di costruire e sperimentare un metodo, che noi abbiamo chiamato controllo popolare. Il controllo popolare è, per noi, una palestra dove le classi popolari si abituano a esercitare il potere di decidere, autogovernarsi e autodeterminarsi, mettendo in discussione le istituzioni e i meccanismi che le governano. Per questo chiamiamo controllo popolare la sorveglianza sulla compravendita di voti alle elezioni, le visite ai Centri di Accoglienza Straordinaria, le battaglie per il diritto alla residenza e all’assistenza sanitaria per i senza fissa dimora, la vigilanza sui ritardi e gli abusi nei rilasci dei permessi di soggiorno, la battaglia contro l’allevamento intensivo di maiali nel Mantovano, quella contro la TAP in Salento, la TAV in Val Susa, l’eolico selvaggio in Puglia, Basilicata, Molise, il DASPO nei centri urbani. Insomma, chiamiamo controllo popolare tutte le battaglie che in questi anni hanno testimoniato la resistenza delle classi popolari e vivificato il nostro Paese.

Costruire il potere popolare significa anche ridurre le disuguaglianze, evitare speculazioni e contrastare efficacemente le organizzazioni criminali che avvelenano e distruggono la nostra terra, sottraendo loro bassa manovalanza, reti clientelari e occasioni per fare affari; significa far vivere nelle pratiche sociali una prospettiva di società alternativa al capitalismo
È per questo, insomma, che crediamo e speriamo che il nostro compito non si esaurisca con le elezioni, ma che il lavoro che riusciremo a mettere in campo ci consegni, il giorno dopo le urne, un piccolo ma determinato esercito di sognatori, un gruppo compatto che continui a marciare nella direzione di una società più libera, più giusta, più equa.

Noi ci stiamo, chi accetta la sfida?

 
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Snowboard, Michela Moioli LEGGENDARIA! Primo oro di sempre per l’Italia alle Olimpiadi! Ottavo sport vincente

Post n°14288 pubblicato il 16 Febbraio 2018 da Ladridicinema

 

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Michela Moioli ha letteralmente riscritto la storia dello snowboard italiano, ha confezionato un’impresa leggendaria che rimarrà per sempre negli annali, indimenticabile e indelebile. L’azzurra ha trionfato con pieno merito alle Olimpiadi Invernali di PyeongChang 2018, si è imposta con l’autorevolezza della fuoriclasse e ha regalato all’Italia il secondo oro in questa edizione della rassegna a cinque cerchi.

Prima dell’avvento della 22enne lombarda, la nostra Nazione non era mai riuscita a trionfare in questo sport: la tanto agognata medaglia d’oro non era mai arrivata, ci era sempre sfuggita in tutti i precedenti, l’Inno di Mameli non era mai suonato su una pista di snowboard. Ci ha pensato il fenomeno di Alzano Lombardo a rompere il digiuno e a farci commuovere: sbloccata la casella dorata per quanto riguarda la disciplina su tavola. Nel nostro passato avevamo vinto soltanto due medaglie nello snowboard alle Olimpiadi: l’argento di Thomas Prugger nello slalom gigante a Nagano 1998, il bronzo di Lidia Trettel nel gigante parallelo a Salt Lake City 2002.

 

L’Italia, nella sua gloriosa storia, è stata così capace di vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi in otto sportsui 15 attualmente inseriti nel programma: sci alpino, sci di fondo, slittino, bob, speed skating, short track, skeleton, snowboard. Abbiamo vinto medaglie (non d’oro) anche nel biathlon, nel pattinaggio artistico e nella combinata nordica. Aspettiamo ancora di festeggiare un podio nell’hockey, nel curling, nel freestyle e nel salto con gli sci.

 
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