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Messaggi del 30/09/2017

 

Una famiglia

Post n°14028 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 

Poster
TRAMA UNA FAMIGLIA:

Micaela Ramazzotti è la protagonista ribelle e innamorata di Una famiglia, secondo lungometraggio del giovane regista Sebastiano Riso. Accanto a lei, Patrick Bruel nei panni di un compagno sfuggente e passionale, custode di un progetto visionario. 
Vincent (Bruel) e Maria (Ramazzotti) vivono nella Roma indolente e distratta dei giorni nostri. Lui ha cinquant'anni, origini francesi e una peculiare indole compassionevole. Lei che ha quindici anni in meno, è cresciuta a Ostia con lo stesso temperamento indomabile. Senza radici, libera di vagabondare per la Capitale, la coppia conduce un'esistenza appartata in un'accogliente casa in periferia che Maria ha arredato con cura, lontana da sguardi indiscreti e opprimenti legami familiari. Per loro, che sono bravi a mimetizzarsi nella sonnolenta routine generale, le giornate trascorrono tra intime cene al ristorante, romantici viaggi in metro e avvolgenti serate passionali. Eppure, a uno sguardo più attento, quella quotidianità dall’apparenza così normale lascia trapelare un terribile progetto di vita portato avanti da lui con lucida determinazione e da lei accettato in virtù di un amore senza condizioni. Un progetto che prevede di aiutare coppie che non possono avere figli. Tuttavia, quando Maria intuisce di essere alla sua ultima gravidanza, un egoistico istinto materno prevale sull'ambiziosa visione del compagno. Maria decide che è giunto il momento di formare una vera famiglia. La scelta si porta dietro una conseguenza inevitabile: la ribellione a Vincent, l'uomo della sua vita.

Presentato in Concorso al Festival di Venezia 2017.


  • MUSICHEMichele Braga
  • PRODUZIONE: Indiana Production Company, Manny Films, Rai Cinema

 
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L'incredibile vita di Norman

Post n°14027 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Norman: The Moderate Rise and Tragic Fall of a New York Fixer

L'incredibile vita di Norman è un film di genere commedia del 2017, diretto da Joseph Cedar, con Richard Gere e Michael Sheen. Uscita al cinema il 28 settembre 2017. Durata 118 minuti. Distribuito da Lucky Red.

Poster

Se chiedi a Norman Opphennaimer quale sia il suo mestiere, la risposta sarà "se le serve qualcosa io gliela trovo!". Norman (Richard Gere) è dunque un mercante di promesse, un trafficante di favori, un sistematico investitore di aspettative a lungo termine; la sua incredibile vita è una ragnatela di relazioni superflue, volte ad acquistare fama e potere a spese altrui, senza ombra di parassitismo, ma come riscossione di un antico debito non ancora saldato. In poche parole: il navigato affarista di New York fiuta una necessità, poi la soddisfa con l'astuzia e la lungimiranza che lo contraddistinguono. Quando Micha Eshel(Lior Ashkenazi), un giovane politico che alcuni anni prima ha ricevuto la solidale "consulenza" di Norman, viene eletto Primo Ministro, il giorno che l'uomo ha tanto desiderato sembra finalmente arrivato. Ma sarà davvero come lo immaginava?

 


  • MUSICHEJun Miyake
  • PRODUZIONE: Blackbird, Cold Iron Pictures, Oppenheimer Strategies

 
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Il contagio

Post n°14026 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 

Il contagio è un film di genere drammatico del 2017, diretto da Matteo Botrugno, Daniele Coluccini, con Anna Foglietta e Vinicio Marchioni. Uscita al cinema il 28 settembre 2017. Distribuito da Notorious Pictures.

Poster

Le vite di Chiara e Marcello (Vinicio Marchioni), quelle di Mauro e Simona, e del boss di quartiere Carmine si agitano in una vecchia palazzina di borgata, in uno scenario di umanità mutevole perennemente sospesa tra il tragico e il comico. Come il registro del film Il contagio, una tranche de vie suburbana in cui si inserisce il professor Walter (Vincenzo Salemme), scrittore di estrazione borghese che ha da tempo una relazione con Marcello, ex culturista dalla sessualità incerta. Se gli inquilini della spoglia palazzina di periferia accettano con rassegnazione le proprie vite sonnolente, Mauro, freddo e ambizioso spacciatore, sembra il solo a sentire la necessità di una svolta. I poteri corrotti irrompono in un angolo della periferia. Criminali, affaristi, palazzinari: un lucido affresco della Roma contemporanea.


Il film sarà In Concorso alle Giornate degli Autori della 74ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

SOGGETTO:

Tratto dal romanzo di Walter Siti, autore di diversi libri di successo e vincitore del Premio Strega nel 2013.


  • PRODUZIONE: KimeraFilm con Rai Cinema in associazione con Notorious Pictures in collaborazione con Gekon Productions con il sostegno di Gianluca Arcopinto

 
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L'intrusa

Post n°14025 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 

L'intrusa è un film di genere drammatico del 2017, diretto da Leonardo Di Costanzo, con Anna Patierno e Gianni Vastarella. Uscita al cinema il 28 settembre 2017. Durata 95 minuti. Distribuito da Cinema.

Poster

Il centro ricreativo di Napoli "la Masseria" è un'oasi di felicità in mezzo al degrado e alle logiche mafiose della città. Le mamme del quartiere ci portano i bambini per sottrarli alle disfunzioni familiari e immergerli nella creatività del gioco. In questa cornice di serenità fanciullesca cerca rifugio e ospitalità per sé e i suoi due bambini Maria (Valentina Vannino), giovanissima moglie di un killer arrestato per l'omicidio di un innocente. L'intrusa crea scompiglio tra gli altri genitori che la considerano il male incarnato. La scelta di Giovanna (Raffaella Giordano), la fondatrice del centro, è la più difficile. Chi ha bisogno di più aiuto?

Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2017.


  • PRODUZIONE: Tempesta, Amka Films Productions, Capricci Films

 
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Padri e figlie

Post n°14024 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 


New York, 1989. Jake Davis è uno scrittore che ha già vinto un premio Pulitzer. Quando sua moglie muore in un incidente d'auto Jake si ritrova a dover crescere la figlia Katie da solo, e a gestire una serie di problemi fisici e mentali che lo costringono ad un temporaneo ricovero presso un ospedale psichiatrico. Purtroppo Katie viene affidata alla zia, sorella della madre defunta, che nutre verso Jake un profondo rancore. New York, 25 anni dopo. Katie è diventata un'assistente sociale che si occupa di bambini disagiati e che nel tempo libero si concede a chiunque, rifiutando di instaurare legami che vadano oltre il sesso occasionale. Il grande amore che ha provato per il padre le ha lasciato un vuoto incolmabile e ha fatto di lei una persona in grado di aiutare gli altri, ma non se stessa.
Che Gabriele Muccino abbia compiuto con Padri e figlie un salto di crescita si capisce soprattutto dall'ultima scena, che chiude il cerchio emotivo della storia in campo lungo, rinunciando al primo piano che il regista avrebbe usato in passato. Fedele al suo registro narrativo melodrammatico, Muccino sceglie qui di contenere le emozioni invece che lasciarle traboccare ovunque, e segue in modo lineare e rigoroso la progressione esteriore e interiore della storia pur muovendosi su due diversi piani temporali, di fatto mescolando due film attraverso continui flash back e flash forward.
Lavorando su una sceneggiatura preesistente (di Brad Desch) e all'interno di una macchina produttiva angusta come quella statunitense (sulla quale però questa volta il regista esercita una misura di controllo maggiore perché nel team ci sono anche Andrea e Raffaela Leone, i figli di Sergio) Muccino tira fuori tutto il mestiere che non gli è mai mancato senza sconfinare nelle derive autoriali che spesso gli hanno teso uno sgambetto. E paradossalmente la confezione artigianale valorizza la cifra d'autore del Muccino regista: quel modo di far lievitare la storia attraverso le emozioni e di gonfiare il petto dei protagonisti della forza necessaria a superare gli ostacoli, spingendoli a compiere azioni esagerate al cospetto di circostanze paralizzanti.
In Padri e figlie c'è tutto Muccino: la corsa della ragazza che insegue il suo sogno, l'ansimare dei personaggi in difficoltà, lo strazio genitoriale nel promettere ai propri figli ciò che non si è certi di poter mantenere, i sentimenti viscerali e fagocitanti secondo i quali una persona dev'essere "mia e di nessun altro". Ancora una volta Muccino racconta una storia di antieroi donchisciotteschi che si arrampicano su una parete insaponata continuando a scivolare a valle, ma che non mollano la loro impresa titanica ad alto rischio fallimentare.
Muccino si toglie anche lo sfizio di deridere i suoi detrattori facendo dire a Jake "Me ne frego delle recensioni" e "Non so perché Dio abbia creato gli scarafaggi e i critici": poi però (altro salto di maturità) mostra come su certe valutazioni i critici di Jake avessero avuto ragione, e come un gesto successivo di umiltà da parte dello scrittore determini un risultato finale assai migliore. Muccino infine lancia una stoccata contro gli Stati Uniti del Denaro, che come è noto reggono anche i cordoni della borsa hollywoodiana: perché un regista si riconosce anche dalle "tasche piene di sassi", come direbbe Jovanotti, che ha un cameo acustico in una scena del film.

 
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Accedi | Registrati Doraemon Il Film - Nobita e la nascita del Giappone

Post n°14023 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 


Dopo essere stato sgridato sia a scuola che a casa, Nobita pensa che sia venuto il momento di scappare dalla famiglia per conoscere il mondo. In seguito a qualche tentativo infruttuoso Nobita decide, insieme a Doraemon e ai suoi amici, di viaggiare nel tempo, fino a un'epoca remota e priva di uomini. O almeno così crede: l'incontro con il misterioso ragazzino guerriero Kukuru condurrà infatti a molte scoperte inaspettate.
Probabilmente nei primi anni '70 era difficile immaginare che un gattone blu robot con un marsupio da canguro potesse diventare un appuntamento ricorrente per i bambini di un'intera nazione, ma se quella nazione è il Giappone, tutto diventa possibile. E così il Doraemon cinematografico, approdato trionfalmente al terzo millennio, diviene un momento imprescindibile della stagione, anche se attinge sempre più dal proprio passato. Nobita e la nascita del Giappone, trentaseiesimo episodio della serie, è infatti il remake con poche variazioni dell'omonimo film del 1989, "coming of age" di un Nobita finalmente desideroso di evadere dall'alveo materno e di conoscere il mondo. Un viaggio spaziale che diviene invece temporale, conducendo Nobita e i suoi amici in un Giappone preistorico e disabitato.
Un desiderio escapista e fortemente antisociale quello espresso dai ragazzini, una voglia di libertà, di poter plasmare il proprio mondo a piacimento, anziché essere obbligati a interagire con gli uomini e con le loro leggi. Un'indipendenza del tutto infantile, che sostanzialmente ribadisce la natura viziata e de-responsabilizzata di Nobita. Doraemon per l'occasione veste più i panni di Lucignolo che del Grillo Parlante, assecondando la volontà dei bambini - che danno vita a grifoni e pegasi anziché a cani e gatti o riempiono i piatti di katsudon a volontà - e limitando la componente pedagogica alla sensibilizzazione sul pericolo di determinare dei paradossi temporali con le proprie azioni. Nobita come Marty McFly, quindi, ben attento a non alterare il continuum spazio-temporale, reso visivamente attraverso dei grafici elementari, consultabili solo grazie agli oggetti del magico gattone.
Netto il miglioramento tecnico rispetto alla versione precedenti, mentre viene acuita la componente drammatica, con una coraggiosa scena di quasi-morte di Nobita in preda alle allucinazioni. Una parentesi che interrompe per un attimo il consueto svolgimento del film, canonicamente suddiviso in tre atti, con prevedibilissimo epilogo e ricomposizione esemplare della situazione.

 
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Moonlight

Post n°14022 pubblicato il 30 Settembre 2017 da Ladridicinema
 

Miami. Little ha dieci anni ed è il bersaglio dei bulli della scuola. Sua madre si droga, e lui trova rifugio in casa di Juan e Teresa, dove può parlare poco ma sa che può trovare le risposte alle domande che più gli premono. Nero fra soli neri, dei suoi coetanei non condivide l'atteggiamento aggressivo, l'arroganza che indossano fin da piccoli. Chiron -è questo il suo vero nome- non è un duro, ma nemmeno un debole. È gay e, anche se non lo dice, non sa essere chi non è, non sa e non vuole adeguarsi, così si ribella e finisce in prigione. Quando esce, Black è diverso, cambiato, apparentemente un altro, ma sempre lui.

Diviso in tre capitoli, che portano per titoli i differenti nomi del protagonista, Moonlight è un ritratto allo stesso tempo sociologico e introspettivo della vita di un ragazzino gay nel cuore della comunità nera machista e criminale della Florida.

La prima parte racconta lo sguardo degli altri: sono i compagni a chiamarlo Little, stigmatizzandone la sua scarsa importanza e il suo ruolo di vittima sacrificale, ma il ragazzino diventa anche il "piccolo" di Juan, il figlio adottivo a cui passare il testimone. La seconda parte è quella centrale, per collocazione e concetto: Chiron scopre se stesso, il male che fa e la forza che richiede. L'ultima parte è la sintesi delle altre e il capitolo cinematograficamente più interessante. Black è il soprannome che gli ha detto Kevin, l'unico ragazzo che lo abbia mai sfiorato e questo capitolo è per loro, per misurare chi è cambiato di più, chi si è annullato di più, plasmandosi sul modello del padrino o su una richiesta sociale insoddisfabile. 

Il film di Barry Jenkins sembra fare di tutto per scrollarsi di dosso la provenienza teatrale (il copione è infatti l'adattamento di una pièce breve), ricorrendo a inquadrature sfuocate e a immersioni tese nel triangolo stradale dello spaccio o nel cerchio di fuoco nel quale il bullo carnefice va in cerca della nemesi da punire, ma paradossalmente è nella tensione statica, al tavolo della cucina o a quello del bar, che il film dà il suo meglio. Oltre che nel primo piano, strumento questo sì precipuamente filmico, luogo della riflessione tra soggetto in sala e soggetto sullo schermo, e dunque della domanda identitaria. 

L'interesse di Moonlight è perciò più negli sporadici momenti artisticamente riusciti che nella battaglia contro gli stereotipi (il buon patrigno che tutto buono non è, l'ostentazione di un modo d'essere, supposto virile, che è in realtà una maschera e dunque un nascondiglio), e prova ne è il fatto che, là dove è delegata alle parole e alle derive patetiche, la battaglia non risuona a sufficienza e il film nemmeno. 

 
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