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Messaggi del 15/02/2018

 

Olimpiadi, Brignone bronzo gigante

Post n°14286 pubblicato il 15 Febbraio 2018 da Ladridicinema

Oro a Shiffrin, argento alla norvegese Mowinckel

 

E’ bronzo gigante Federica Brignone. Ha rotto il ghiaccio. Dopo giorni intensi, difficili per la tensione e il meteo che fa le bizze ora può festeggiare. Terza nella prima manche, controlla nella seconda, poi attacca e finisce sul terzo gradino del podio. Quarta medaglia per l’Italia, la prima dello sci alpino. L’oro del gigante va alla regina Mikaela Shiffrin, un cannibale che si butta sull’osso e si commuove perché questa è per lei la medaglia più difficile. L’argento è della norvegese Ragnhild Mowinckel e per la Norvegia è la terza medaglia dello sci nella giornata dopo l’oro di Aksel Svindal in libera e l’argento del compagno di squadra Kjetil Jansrud.  

 

L’Italia fa festa, nella prima gara delle donne arriva la conferma sperata: la squadra c’è. Fede è sul podio e Marta Bassino è ottima quinta. Peccato per Manuela moelgg, prima dopo la prima manche getta via la gara e finisce ottava. Furente con se stessa per un’altra occasione d’oro sprecata, dopo quella in slalom nei Mondiali di Val d’Isère quando saltò all’ultimo porta ed era in corsa per il podio, si chiude in se stessa, senza commenti e se ne va a sciare. Sofia Goggia finisce all’11° posto: «Ho fatto una goggiata a metà muro però non sono riuscita ad avere buone sensazioni fin dalla prima manche, ma prendo e porto a casa e mi concentro sulle prossime gare. Brava Fede ha salvato l’Italia. Che dispiacere per Manu». 

 

Questo bronzo consolida la carriea della Brignone. Federica è arrivata a Pyeongchang con un bagaglio di esperienza e consapevolezza che le danno autorità in pista. E ora non è più una promessa, ma una stella. Ha lottato contro la pubalgia, poi ha svoltato recuperando fiducia e raccogliendo due vittorie in stagione, in gigante (Lienz) e in superG (Bad Kleinkirchheim) più due podi. Con le Olimpiadi aveva un conto in sospeso (a Sochi è uscita nella prima manche) e qui in Corea si è pacificata con i Giochi. Ma le sorprese non sono finite qui. C’è ancora il supergigante.  

 
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Film nelle sale da oggi

 

#Sanremo2018, a Lo stato sociale il premio “Lucio Dalla”, per Vanoni-Bungaro-Pacifico il “Sergio Endrigo”

Post n°14284 pubblicato il 15 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

da riviera.it

Tutti i premi speciali assegnati

Ornella Vannoni con Bungaro e Pacifico, in gara con Imparare ad amarsi, si aggiudicano invece il Premio “Sergio Endrigo” per la migliore interpretazione che, assegnato dalle sale stampa Roof dell’Ariston e Radio-Tv-Web del Palafiori, è stato consegnato dal direttore artistico Claudio Baglioni.

Il “Sergio Bardotti”, riservato al miglior testo, è stato poi assegnato dalla giuria degli Esperti e consegnato dal presidente Pino Donaggio, aMirkoeilcane, in gara nella categoria delle Nuove proposte con il brano Stiamo tutti bene.

Max Gazzè con La leggenda di Cristalda e Pizzomunno va infine il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la miglior composizione musicale. Il premio è stato assegnato dall’Orchestra del Festival e consegnato dal direttore musicale del Festival Geoof Westley.

Novità, il Premio TimMusic che, dedicato alla canzone più ascoltata sulla app musicale TimMusic e consegnato dal direttore multimedia entertainmente Daniela Biscardini, è stato attributo a Ermal Meta e Fabrizio Moro in gara con Non ci avete fatto niente.

 
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Sanremo 2018: i vincitori sono Ermal Meta e Fabrizio Moro

Post n°14283 pubblicato il 15 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

I risultati della 68° edizione del Festival di Sanremo. Al secondo posto si sono classificati Lo Stato Sociale e al terzo Annalisa

 

I vincitori della 68° edizione del Festival di Sanremo sono Ermal Meta e Fabrizio Moro con il brano «Non mi avete fatto niente».

Al secondo posto si sono classificati Lo Stato Sociale con il brano «Una vita in vacanza».

Al terzo posto si è classificata Annalisa con il brano «Il mondo prima di te».

"Undici anni fa dedicai la vittoria tra le Nuove Proposte con Pensa a mio padre, oggi dedico la vittoria a mio figlio, che sta a casa: ciao Libero". E' la dedica di Fabrizio Moro, subito dopo la vittoria al Festival di Sanremo. "Un'emozione indescrivibile", dice Ermal Meta che dedica la vittoria alla Mescal, la sua casa discografica "che ha creduto in me, quando nessun altro lo faceva".

Ermal Meta e Fabrizio Moro hanno confermato che parteciperanno all'Eurovision Song Contest 2018 che si terrà dall'8 al 12 maggio a Lisbona, in Portogallo.

 

LA CLASSIFICA DAL 4° AL 20° POSTO

Posizione 20 - Elio e le Storie Tese con il brano «Arrivedorci»
Posizione 19 - Mario Biondi con il brano «Rivederti»
Posizione 18 - Roby Facchinetti e Riccardo Fogli con il brano «Il segreto del tempo»
Posizione 17 - Nina Zilli con il brano «Senza appartenere»
Posizione 16 - Decibel con il brano «Lettera dal duca»
Posizione 15 - Red Canzian con il brano «Ognuno ha il suo racconto»
Posizione 14 - Noemi con il brano «Non smettere mai di cercarmi»
Posizione 13 - Renzo Rubino con il brano «Custodire»
Posizione 12 - Enzo Avitabile e Peppe Servillo con il brano «Il coraggio di ogni giorno»
Posizione 11 - Le Vibrazioni con il brano «Così sbagliato»
Posizione 10 - Giovanni Caccamo con il brano «Eterno»
Posizione 9 - The Kolors con il brano «Frida (mai, mai, mai)»
Posizione 8 - Diodato e Roy Paci con il brano «Adesso»
Posizione 7 - Luca Barbarossa con il brano «Passame er sale»
Posizione 6 - Max Gazzè con il brano «La leggenda di Cristalda e Pizzomunno»
Posizione 5 - Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico con il brano «Imparare ad amarsi»
Posizione 4 - Ron con il brano «Almeno pensami»

 
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“La classe operaia va in Paradiso” e il lavoro della sceneggiatura da http://www.cinefiliaritrovata.it

Post n°14282 pubblicato il 15 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

 

 

È curioso che il titolo del film La classe operaia va in paradiso sia un’appropriazione ‘politicamente scorretta’ di Pirro che lo prende a prestito, manipolandolo, da quello di un’opera teatrale - per giunta sull’armata rossa – e che oggi torni a rivivere proprio sul palcoscenico.. In una lunga intervista rilasciata a Enzo Latronico poco tempo prima di spegnersi, lo sceneggiatore e scrittore Ugo Mattone, in arte Ugo Pirro, racconta la genesi del film:

“Innanzi tutto bisogna dire che noi di sinistra, effettivamente, non sapevamo un cazzo della fabbrica, o meglio, ci sfuggiva la vita degli uomini dentro la fabbrica, della catena di montaggio, della vita, dei ritmi di lavoro e dei loro ragionamenti. In effetti, chi c’era mai stato dentro una fabbrica? […] Siccome non ci andava mai bene niente, fondammo un Comitato Cineasti contro la repressione. Pagavamo tutto con i nostri soldi, la pellicola, lo sviluppo, tutto insomma, e decidemmo di seguire una lotta operaia alla FATME, appena fuori Roma, all’Anagnina (la FATME si occupava di apparecchi telefonici). Era stato appena licenziato un operaio e Potere Operaio aveva organizzato una lotta, con cortei intorno alla fabbrica, per farlo riassumere. […] Noi filmammo tutto, e pensammo che la storia di questo operaio (mi sembra si chiamasse Zimbelli) potesse essere una buona idea da raccontare al cinema”. […] Il titolo l’ho inventato io e ti dico anche da dove l’ho preso, da un dramma teatrale dell’epoca della rivoluzione russa che s’intitola L’armata rossa va in paradiso.”

La classe operaia va in paradiso è il secondo atto della così detta ‘trilogia del potere’, iniziata con Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e che si conclude con La proprietà non è più un furto (1973). Rappresenta inoltre lo zenit del sodalizio Pirro/Petri/Volonté; una sinergia di grandi talenti ma dai caratteri estremi, come per certi aspetti sono stati gli anni della contestazione. In Il cinema della nostra vita, Pirro ha dichiarato che “[…] fu proprio il titolo a ispirare la scena finale, allorché alla catena gli operai sognano senza illusioni il loro paradiso. Nessuno fra quanti presero parte al film e tanto meno la critica colse il significato di quella scena, così disperata e premonitrice”.

Tra gli oltre mille fascicoli che compongono il fondo Pirro si trovano centinaia di pagine - "trafitte in ogni spazio bianco da quella scrittura minuscola" – dedicate all’elaborazione della sceneggiatura del primo film italiano che racconta l’esistenza degli operai. Ogni scena è stata pensata nei minimi dettagli, i dialoghi scritti e riscritti più volte, come l’incontro al manicomio dal sapore pirandelliano tra Lulù Massa (Gian Maria Volonté) e l’ex operaio Militina (Salvo Randone), o i diversi momenti di scontro fuori e dentro la fabbrica. Particolare attenzione è stata riservata alla scrittura dei dialoghi tra sindacati, operai e il movimento studentesco; se ne trovano diverse versioni. Invece, del feroce quanto straordinario finale onirico nulla, neppure una riga. Al suo posto, un finale che non muta l’interpretazione pessimistica di Pirro/Petri sul destino riservato ai lavoratori a cottimo, ma fa di Lulù Massa un eroe tragico, nel senso più classico del termine:

“La sirena suona, è come un urlo di morte, i cancelli cigolano, Massa abbassa la testa, ha la cieca espressione di un toro sanguinante. […] Massa corre corre verso la palazzina dei padroni inseguito dalle jeep che gli urlano addosso. Ora Massa non corre più verso il tradimento, verso il suo posto di lavoro, ma verso il massacro, il sacrificio, si ferma alza le mani quasi a favorire la sua distruzione fisica e una jeep lo investe lo sbatte contro la vetrata della direzione. L’immagine si ferma sulla sua ultima smorfia della vita, il braccio destro è alzato, il pugno è chiuso teso verso il cielo. Sembra già bussare alla porta del Paradiso.”

Una conclusione che avrebbe dato al protagonista un senso di riscatto, restituendogli la dignità umana e allo spettatore una possibilità di catarsi. E invece gli autori, tirano dritto, sfondano il muro, soffocando ogni speranza nella nebbia.

 
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“La classe operaia va in Paradiso” e il lavoro della sceneggiatura da http://www.cinefiliaritrovata.it

Post n°14281 pubblicato il 15 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

È curioso che il titolo del film La classe operaia va in paradiso sia un’appropriazione ‘politicamente scorretta’ di Pirro che lo prende a prestito, manipolandolo, da quello di un’opera teatrale - per giunta sull’armata rossa – e che oggi torni a rivivere proprio sul palcoscenico.. In una lunga intervista rilasciata a Enzo Latronico poco tempo prima di spegnersi, lo sceneggiatore e scrittore Ugo Mattone, in arte Ugo Pirro, racconta la genesi del film:

“Innanzi tutto bisogna dire che noi di sinistra, effettivamente, non sapevamo un cazzo della fabbrica, o meglio, ci sfuggiva la vita degli uomini dentro la fabbrica, della catena di montaggio, della vita, dei ritmi di lavoro e dei loro ragionamenti. In effetti, chi c’era mai stato dentro una fabbrica? […] Siccome non ci andava mai bene niente, fondammo un Comitato Cineasti contro la repressione. Pagavamo tutto con i nostri soldi, la pellicola, lo sviluppo, tutto insomma, e decidemmo di seguire una lotta operaia alla FATME, appena fuori Roma, all’Anagnina (la FATME si occupava di apparecchi telefonici). Era stato appena licenziato un operaio e Potere Operaio aveva organizzato una lotta, con cortei intorno alla fabbrica, per farlo riassumere. […] Noi filmammo tutto, e pensammo che la storia di questo operaio (mi sembra si chiamasse Zimbelli) potesse essere una buona idea da raccontare al cinema”. […] Il titolo l’ho inventato io e ti dico anche da dove l’ho preso, da un dramma teatrale dell’epoca della rivoluzione russa che s’intitola L’armata rossa va in paradiso.”

La classe operaia va in paradiso è il secondo atto della così detta ‘trilogia del potere’, iniziata con Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e che si conclude con La proprietà non è più un furto (1973). Rappresenta inoltre lo zenit del sodalizio Pirro/Petri/Volonté; una sinergia di grandi talenti ma dai caratteri estremi, come per certi aspetti sono stati gli anni della contestazione. In Il cinema della nostra vita, Pirro ha dichiarato che “[…] fu proprio il titolo a ispirare la scena finale, allorché alla catena gli operai sognano senza illusioni il loro paradiso. Nessuno fra quanti presero parte al film e tanto meno la critica colse il significato di quella scena, così disperata e premonitrice”.

Tra gli oltre mille fascicoli che compongono il fondo Pirro si trovano centinaia di pagine - "trafitte in ogni spazio bianco da quella scrittura minuscola" – dedicate all’elaborazione della sceneggiatura del primo film italiano che racconta l’esistenza degli operai. Ogni scena è stata pensata nei minimi dettagli, i dialoghi scritti e riscritti più volte, come l’incontro al manicomio dal sapore pirandelliano tra Lulù Massa (Gian Maria Volonté) e l’ex operaio Militina (Salvo Randone), o i diversi momenti di scontro fuori e dentro la fabbrica. Particolare attenzione è stata riservata alla scrittura dei dialoghi tra sindacati, operai e il movimento studentesco; se ne trovano diverse versioni. Invece, del feroce quanto straordinario finale onirico nulla, neppure una riga. Al suo posto, un finale che non muta l’interpretazione pessimistica di Pirro/Petri sul destino riservato ai lavoratori a cottimo, ma fa di Lulù Massa un eroe tragico, nel senso più classico del termine:

“La sirena suona, è come un urlo di morte, i cancelli cigolano, Massa abbassa la testa, ha la cieca espressione di un toro sanguinante. […] Massa corre corre verso la palazzina dei padroni inseguito dalle jeep che gli urlano addosso. Ora Massa non corre più verso il tradimento, verso il suo posto di lavoro, ma verso il massacro, il sacrificio, si ferma alza le mani quasi a favorire la sua distruzione fisica e una jeep lo investe lo sbatte contro la vetrata della direzione. L’immagine si ferma sulla sua ultima smorfia della vita, il braccio destro è alzato, il pugno è chiuso teso verso il cielo. Sembra già bussare alla porta del Paradiso.”

Una conclusione che avrebbe dato al protagonista un senso di riscatto, restituendogli la dignità umana e allo spettatore una possibilità di catarsi. E invece gli autori, tirano dritto, sfondano il muro, soffocando ogni speranza nella nebbia.

 
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