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Messaggi del 18/11/2017

 

Il Signore degli Anelli: Serie tv in arrivo, firmato l’accordo con Amazon Studios! da talkyseries

Post n°14101 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

È di poche ore fa il comunicato ufficiale con cui Amazon ufficializza l’indiscrezione trapelatapochi giorni fa. Il Signore degli Anelli diventerà una serie TV! Le vicende si svolgeranno, ovviamente, nella Terra di Mezzo e racconteranno in particolare gli antefatti de La Compagna dell’Anello, primo romanzo della saga fantasy. Non è tutto: a quanto pare l’accordo prevede alcuni spin-off di cui al momento non si sa ancora nullIl Signore degli Anelli: arriva la serie tv in collaborazione con Amazon

Confermata serie TV su Il Signore degli AnelliIl Signore degli Anelli | I primi commenti

Sharon Tal Yguado, a capo dell’area Scripted Series di Amazon Studios, e Matt Galsor, rappresentante della Tolkien Estate and Trust e della HarperCollins, hanno commentato così:

SHARON: “Il Signore degli Anelli è un fenomeno culturale e ha catturato l’immaginazione di generazioni di fan attraverso la letteratura e lo schermo”

MATT: “Siamo molto felici che Amazon, che ha sempre investito nella letteratura, sia la casa della prima serie tv in più stagioni tratta da Il Signore degli Anelli.”

Il progetto è ambizioso, ma entrambe le parti sembrano intenzionate ad andare fino in fondo. La speranza è far rivivere ai fan de Il Signore degli Anelli un nuovo viaggio pieno di avventure nella Terra di Mezzo. Nonostante le vicende narrate non si intrecceranno con la trilogia cinematografica di Peter Jackson, si cercherà di appassionare le nuove generazioni, ma anche entusiasmare i nostalgici. Il tutto senza esclusione di colpi, in pieno stile Tolkienano!

Per il momento è tutto, ma vi terremo aggiornati… Non perdetevi tutte le notizie sulla nuova serie su Il Signore degli Anelli seguendoci su Facebook!

 
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I 60 anni di carriera di Morricone: «L’Oscar più bello? Mi fu negato» da il sole 24 ore

Post n°14100 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Ennio Morricone al Lucca Summer Festival (foto di Francesco Prandoni)Ennio Morricone al Lucca Summer Festival (foto di Francesco PrandoUno scacchista è matematico, stratega, perfezionista. Ennio Morricone sarebbe probabilmente stato lo scacchista italiano numero uno della sua generazione, se non fosse diventato il più grande compositore italiano di musica per film di sempre. Venerdì ha compiuto 89 anni, durante i quali ha composto 500 colonne sonore, venduto 70 milioni di dischi e vinto due Oscar, tre Grammy, quattro Golden Globe e un Leone d’Oro. Ha vissuto da protagonista le grandi stagioni della cinematografia e della discografia italiana, attraversato i set di Cinecittà e gli studi di Rca, segnato in maniera inconfondibile la Trilogia del dollaro di Sergio Leone e Se telefonando di Mina, sperimentato nuovi linguaggi con il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, ma da appassionato scacchista non smette di pensare alle mosse che avrebbe potuto fare e non ha fatto, a partite che sarebbero potute andare diversamente.

Gli chiedi della statuetta portata a casa per The Hateful Eight di Quentin Tarantino, lui rilancia con quella che avrebbe voluto per Mission di Roland Joffé. «L’Oscar – ci tiene a sottolineare - me l’aspettavo nell’87, a quelle musiche tenevo particolarmente. Invece se lo prese Herbie Hancock per Round Midnight. Per carità: non discuto l’artista, ma non erano neanche tutte composizioni originali. Ricordo le proteste alla cerimonia di consegna. Poi l’Oscar è arrivato con The Hateful Eight che all’inizio neanche volevo fare. Tarantino venne a trovarmi a casa, mi raccontò questa idea singolare del western girato sulla neve. Solo Corbucci poteva avere un’idea del genere e così mi sono lasciato convincere».

Morricone ti parla di quando, una sera a cena con Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini, propose loro il soggetto originale per un film che avrebbe dovuto intitolarsi La morte della musica, su un’immaginaria umanità del futuro cui un dittatore vieta le sette note. «L’idea piacque – racconta – ma nessuno dei due alla fine ne fece niente». Trama da romanzo, in un certo senso surreale che ieri sarebbe potuta entrare nelle corde di Fellini. Oggi potrebbe forse intrigare Paolo Sorrentino? «Non ci credo», risponde. «Ogni progetto appartiene alla propria epoca. E poi Fellini stesso fece Prova d’orchestra, film che si poneva un po’ domande analoghe». Morricone non è stanco di girare. Che si tratti di pellicole o teatri.

Il pubblico europeo sta salutando con sold out a ripetizione “The 60 Years of Music Tour”, tournée celebrativa dei 60 anni di carriera che l’1 dicembre lo porterà all’Unipol Arena di Bologna e il 2 al Forum di Assago. «Con il cinema – confida il Maestro – ho praticamente chiuso. Con una importantissima eccezione: Giuseppe Tornatore. Sto scrivendo le musiche dei suoi prossimi due film. Quando me lo chiede Peppuccio è diverso. Ci conosciamo: io so quello che vuole, lui sa come mi piace lavorare. Ci sono i presupposti perché esca un buon risultato». Conoscersi è la parola magica, quando ci si confronta con il Maestro. Persona schiva, operosa, di una modestia rara nell’ambiente e sorprendente se si considera il curriculum. Ti accoglie nella casa all’Eur, dove vive con l’inseparabile moglie e confidente Maria, tra mobili antichi, carta da musica, dischi e foto dei quattro figli. Ti studia come se avesse di fronte una partitura e, appena riesce a interpretarti, non si risparmia. Infilando aneddoti curiosi, descrizioni fulminanti, punti di vista originali.

Sintetizzare 60 anni di carriera in una scaletta di concerto «facile non è stato – precisa - ma neanche troppo difficile. La logica era: alcune cose le devo fare perché me le chiede il pubblico. E qui ci metti le colonne sonore di Leone, il lavoro per Tarantino, l’Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Altre cose le devo fare perché piacciono a me. E qui ci metti i lavori per Tornatore, per esempio, o qualche pezzo più complesso. Una buona scaletta è sempre sintesi tra gusti del pubblico e proposta dell’autore». Che, dal suo punto di vista, fa «un lavoro artigianale. Risponde a un committente che è il regista». In un rapporto a tre variabili: «Ci sono i registi che ti lasciano libero, quelli con cui finisci per scontrarti e quelli con cui riesci ad arrivare a un compromesso». Con Leone, per esempio, «c’erano affiatamento e confidenza. Si sa: eravamo in classe insieme in terza elementare. Ma dovevi sempre convincerlo della tua idea. Aveva l’ossessione della perfezione – continua Morricone - propria dei grandi autori di cinema. In C’era una volta il West, per esempio, perseguitò i rumoristi per la scena dello scontro tra treni, fino a che non riuscì a ottenere l’effetto che voleva. Ogni volta che avevamo una discussione, però, avevo un’alleata preziosa: la moglie Carla. Spiegavo le mie ragioni a lei che, in un modo o nell’altro, lo convinceva». Clint Eastwood rivelò di aver compreso la grandezza di Per un pugno di dollari solo dopo aver ascoltato il 45 giri con il “fischio”. «Leone e io – ricorda Morricone – al contrario non eravamo coscienti del fatto che quell’opera avrebbe lasciato il segno. Ci sembrava un esperimento. Chi pensava che saremmo arrivati fuori dall’Italia? Sergio diceva: “È già tanto se arriviamo a Catanzaro”. Il successo ci travolse. Un pezzo dopo l’altro, poi, lui sul piano cinematografico e io su quello musicale, cominciammo ad acquistare consapevolezza. Del lavoro fatto per Il buono, il brutto e il cattivo, per esempio, eravamo molto soddisfatti. E mica solo noi: una decina di anni fa un sondaggio di Bbc Radio 3 stabilì che quella era la seconda migliore colonna sonora di tutti i tempi, dietro al tema di Star Wars di John Williams».

Il coming out di Kevin Spacey accusato di molestie su minore

Pasolini «era molto gentile ma sempre serio. Abbiamo lavorato a lungo ma ci siamo sempre dati del lei, non saprei dire se alla fine diventammo amici. Era un artista che teneva in grandissima considerazione il lavoro artistico. Poi aveva le sue idee che non sempre coincidevano con le mie. Ti chiedeva di riarrangiare brani della tradizione classica, oppure alternava pezzi tuoi a Mozart. Quell’approccio non l’ho mai condiviso e protestavo. All’inizio mi lasciava libero, alla fine della sua carriera mi sono “arreso” alle sue richieste. E quindi optammo per la dicitura “musiche a cura dell’autore con la collaborazione di Ennio Morricone”». Ce n’è anche per Bernardo Bertolucci («Per quanto mi riguarda, tra i migliori registi italiani di sempre. Ho avuto la fortuna di musicare Novecento che ritengo essere il suo capolavoro») ed Elio Petri con le musiche di Indagine che stregarono Stanley Kubrick: «Mi chiamò per Arancia Meccanica. Eravamo d’accordo anche sul compenso: 15 milioni di lire, poca roba per una produzione di quel livello. Voleva qualcosa di simile a Indagine. Detesto direttive di questo tipo, ma in quel caso avrei ceduto perché era Kubrick. Il progetto sfumò con una telefonata di Leone: gli spiegò che ero ancora impegnato con Giù la testa. E il film lo fece Walter Carlos». Che ricordi ha il Maestro dei gloriosi tempi della Rca Italiana? «All’inizio – risponde - eri molto vincolato nelle soluzioni che potevi proporre. Se però i tuoi dischi vendevano, acquistavi libertà. Negli anni Cinquanta ebbi ottimi riscontri di vendita con la serie su Napoli di Miranda Martino, nel ’64 con un azzardo ritmico su Ogni volta, affidata a Paul Anka, sfornammo il primo 45 giri italiano da 1,5 milioni di copie. A quel punto ti divertivi. Le soluzioni semplici – spiega - erano le più efficaci sul piano commerciale: si pensi a Sapore di sale di Gino Paoli, maestro dei giri armonici. Se per un disco non c’era l’“obbligo” di vendere, io mi divertivo ancora di più. Con Chico Buarque, per esempio, mi sono tolto grandi soddisfazioni». Ha eredi il Maestro? «Non lo so, - risponde – ma stimo i compositori che sanno scrivere la musica. Nicola Piovani, Franco Piersanti, Luis Bacalov e Carlo Crivelli». Morricone si concentra poi su temi di attualità, come l’ipotesi del credito d’imposta per chi iscrive i figli alle scuole di musica: «Ottima idea. Qualcosa di buono si è fatto in questi anni su questo versante, ma occorre fare tanto altro. Penso alla formazione di buoni insegnanti di musica e a una strumentazione all’altezza nelle scuole». Quanto alla gestione del diritto d’autore, «la Siae – secondo il Maestro - è la società degli autori e degli editori e come tale deve restare il soggetto al centro del sistema. Non mi piace l’idea di un mercato italiano aperto a soggetti a scopo di lucro». Il Maestro continua a ricevere proposte per film «e continuo a rifiutarle. Le ultime due chiamate – spiega - sono arrivate dall’America. Ho detto basta al cinema. L’unica eccezione si chiama Tornatore. A lui non so dire di no e le composizioni per i suoi film sono tra le mie migliori cose. Non sempre il pubblico lo ha capito. O forse dovremmo dire: non ancora».
Money, it’s a gas! 
francescoprisco.blog.ilsole24ore.com

 
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“Media russi come Sputnik e RT hanno mostrato al mondo la verità” da sputnik

Post n°14099 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Proteste contro il governo spagnolo a Barcellona

Il governo spagnolo ha accusato la Russia e il Venezuela di sfruttare i social network per fomentare gli animi in Catalogna. Sputnik ha parlato con l'esperto internazionale Basem Tajeldine per discutere la legittimità di queste accuse.

Il ministro della Difesa spagnolo María Dolores de Cospedal ha dichiarato lo scorso 13 novembre che il governo spagnolo è convinto che la "propaganda" della crisi catalana sia stata gestita su internet da persone residenti in Russia e Venezuela, affermando allo stesso tempo di non conoscere il regista di questa campagna.

A sua volta il premier spagnolo Mariano Rajoy ha osservato che il 55% del traffico sul web sospetto proveniva dalla Russia, il 30% dal Venezuela. Tuttavia ha aggiunto di non disporre dati per incolpare il governo russo.

Il politologo venezuelano Basem Tajeldine ritiene che si tratti di una "questione assurda diventata di moda negli Stati Uniti e in Europa."

In un'intervista con l'edizione spagnola di Sputnik (Sputnik Mundo), Tajeldine ha osservato che i democratici americani hanno usato lo stesso argomento per "cercare di giustificare" la sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali nel 2016 contro il repubblicano Donald Trump. Dopo l'insediamento di Trump alla Casa Bianca, "cercano disperatamente di sfruttare questo argomento per ottenere l'impeachment del presidente non gradito".

"Dal momento che è estremamente difficile esaminare a fondo la questione, l'hanno sfruttata per giustificare il fallimento della politica interna spagnola (…) In questa situazione la classe politica al potere sta cercando di trovare un capro espiatorio esterno per nascondere i veri motivi di questa crisi," ha commentato Tajeldine.

Un funzionario venezuelano, che ha preferito restare nell'anonimato, ha detto che "proprio gli spagnoli, i loro mezzi di comunicazione e giornalisti, pubblicano notizie false (…) E' un altro episodio della commedia sul Venezuela dei mezzi d'informazione."

In precedenza gli hacker russi erano stati accusati di essere intervenuti nelle elezioni americane del 2016 e nelle presidenziali francesi del 2017.

"E' ridicolo. Anche se queste accuse fossero vere, come si potrebbe influenzare questioni così grandi come le elezioni negli Stati Uniti e in Francia o l'indipendenza catalana?", — si chiede Tajeldine.

Secondo l'analista, la strategia del governo spagnolo è di demonizzare la Russia e il Venezuela per usarli come capri espiatori della crisi interna. Ha spiegato che per l'establishment americano "la Russia è il più grande nemico e Rajoy vuole assecondare questa politica".

Tajeldine ha aggiunto che la stampa spagnola attacca il Venezuela in qualità di alleato del Cremlino, per cercare di dimostrare che a Caracas c'è una "dittatura che interferisce negli affari interni di altri Paesi, quando in realtà la Spagna vuole intervenire negli affari del Venezuela."

Ha sottolineato che "i media russi, come RT e Sputnik, hanno mostrato al mondo la verità".

"(…) L'attuale governo spagnolo è il più screditato rispetto ad un lungo orizzonte temporale. Pertanto incolpare gli hacker russi e venezuelani per i loro insuccessi è assurdo", ha concluso.

 
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Justice League

Post n°14098 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Dopo la morte di Superman sembra essere piombato il caos. La gente ha paura e perde la testa. Ed è per questo motivo che Bruce Wayne ha deciso di formare un gruppo di eroi, che possano far trionfare la giustizia in qualsiasi momento: la Justice League. DC Extended Universe è finalmente pronto a dare il via al mondo cinematografico degli eroi della DC Comics.
Dopo il complesso e problematico Batman Vs Superman e il poco curato Suicide Squad, Justice League riesce a stabilizzare il genere ma forse è un'occasione mancata, se non desolante pensando alla regia sciatta e un pò troppo ibrida. La durata poi. Una pellicola nata per durare quasi tre ore è stata ridotta di una per ragioni commerciali. Una scelta che non permette di ragionare sui personaggi o sul cattivo (come in suicide squad) e chiaramente ne risente la 
storia che indubbiamente è già tra le più semplici che si possano immaginare

 
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La casa di famiglia

Post n°14097 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

La casa di famiglia è un film di genere commedia del 2017, diretto da Augusto Fornari, con Lino Guanciale e Matilde Gioli. Uscita al cinema il 16 novembre 2017. Durata 90 minuti. Distribuito da Vision Distribution.

Poster

Finito sul lastrico, Alex (Lino Guanciale) chiede un prestito alla sorella Fanny(Matilde Gioli) e agli altri due fratelli, i gemelli Oreste (Stefano Fresi) e Giacinto(Libero De Rienzo). Per esaudire la richiesta dell'uomo, i tre fratelli decidono di vendere la casa del padre Sergio (Luigi Diberti), da anni in coma irreversibile. Gli eventi di La casa di famiglia prendono il via dal miracoloso risveglio del capofamiglia, uscito dal coma proprio nel giorno successivo alla firma dal notaio e alla vendita della bella villa di famiglia in campagna dove i quattro fratelli sono cresciuti nell'agio. I medici consigliano di evitare sconvolgimenti e reintrodurre il genitore in un contesto accogliente e familiare. Comincia così per i quattro fratelli la caccia ai vecchi arredi, ai cimeli di famiglia e persino all'amato cane. Inizia anche la recita e la collezione di bugie a fin di bene. Il film, inevitabilemente pieno di sorprese, equivoci, colpi di scena, è diretto da Augusto Fornari e vede tra i suoi protagonisti anche Nicoletta Romanoff nei panni di una badante russa sopra le righe.

  • MUSICHEGianluca Misiti
  • PRODUZIONE: Italian International Film, Vision Distribution

 
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The Square

Post n°14096 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

The Square è un film di genere drammatico del 2017, diretto da Ruben Östlund, con Elisabeth Moss e Dominic West. Uscita al cinema il 09 novembre 2017. Durata 145 minuti. Distribuito da Teodora Film.

Poster

Protagonista del film è Christian, curatore di un importante museo di arte contemporanea di Stoccolma, nonché padre amorevole di due bambine. Nel museo c'è grande fermento per il debutto di un'installazione chiamata "The Square", che invita all'altruismo e alla condivisione, ma quando gli viene rubato il cellulare per strada, Christian reagisce in modo scomposto, innescando una serie di eventi che precipitano la sua vita rispettabile nel caos più completo.


CURIOSITÀ SU THE SQUARE:

Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2017, vincitore della Palma d'Oro.


  • PRODUZIONE: Plattform Produktion, ARTE France Cinéma, Coproduction Office

 
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Borg McEnroe

Post n°14095 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Borg McEnroe è un film di genere drammatico, biografico del 2017, diretto da Janus Metz Pedersen, con Shia LaBeouf e Sverrir Gudnason. Uscita al cinema il 09 novembre 2017. Durata 100 minuti. Distribuito da Lucky Red.

Poster

Borg McEnroe porta sullo schermo la leggendaria rivalità tra due dei migliori tennisti della storia, finiti ai lati opposti dello stesso campo per 14 volte in quattro anni (tra il 1978 e il 1981).
La calma glaciale del tennista Björn Borg (Sverrir Gudnason) contro il temperamento impetuoso dell'avversario John McEnroe (Shia Labeouf); i movimenti rigidi e calibrati del giocatore svedese contro il gioco nervoso e dinamico dello statunitense, preda di frequenti attacchi d'ira ai danni degli spettatori e dell'arbitro di turno. La contrapposizione tra i due atleti non si esaurisce sul campo da tennis: le personalità opposte, gli stili diversi e l'imprevedibilità dei risultati rendono il confronto ancora più serrato e avvincente, proiettando i due campioni tra le stelle del firmamento sportivo. Fino alla finale di Wimbledon del 1980, considerata una delle partite più belle della storia del tennis.  


Il film nasce come produzione svedese, e va da sé, allora, che il vero protagonista, l'oggetto del biopic, è Björn Borg: tanto che, in Svezia, il titolo di Borg McEnroe è appunto, semplicemente, Borg. Ma è ovvio che raccontare la vita e la carriera sportiva di uno dei più grandi tennisti di sempre non può non considerare - e anzi, deve assolutamente comprendere in maniera centrale - la sua rivalità con John McEnroe. Una rivalità tra due campioni straordinari, diversissimi e inimitabili, non solo una delle più grandi e appassionanti nella storia del tennis, ma dello sport in generale. Borg (classe 1956, nel film interpretato da Sverrir Gudnason, semi-sconosciuto fuori dalla Svezia) e McEnroe (classe 1959, nel film interpretato - con una mossa di casting al limite del geniale - dal bizzoso Shia LaBeouf) si sono incontrati per la prima volta nel 1978, in un torneo di Stoccolma: in quel momento lo svedese era già un campione affermato, mentre lo statunitense un semi-esordiente di chiaro talento. Da allora, e nell'arco di una manciata di anni, prima del ritiro di Borg, i due hanno giocato l'uno contro l'altro per 14 volte, dividendosi in maniera equanime le vittorie: 7 a Borg e 7 a McEnroe. Alcuni dei loro incontri sono entrati nella storia del tennis, e la finale di Wimbledon del 1980, quella raccontata nel film di Janus Metz Pedersen, è per molti la più bella partita che sia mai stata giocata, il punto più sublime dello scontro tra due modi di giocare a tennis e di vivere la vita, vinta al termine di cinque lunghissimi e combattutissimi set dallo svedese, che si laureò così campione del torneo inglese per la quinta volta consecutiva (per la cronaca McEnroe si concesse la rivincita pochi mesi dopo, battendolo nella finale degli US Open, ma questo nel film non ci sarà). A far appassionare tanto i tifosi alla rivalità tra Borg e McEnroe non è stato solo il talento dei due, o le differenze evidenti nello stile di gioco, ma soprattutto il loro aspetto caratteriale: apparentemente freddissimo e calcolatore lo svedese, esuberantissimo, vulcanico e rabbioso l'americano, famoso per le sue sfuriate. Differenze che torneranno utilissime anche al cinema, e a un film che promette di trattare finalmente col dovuto rispetto il tennis e l'erba di Wimbledon: quel rispetto che il film del 2004 con Paul Bettany e Kirsten Dunst - intitolato, appunto, Wimbledon - non gli riconosceva pienamente, annacquando in una banale trama da rom-com una vicenda ispirata (seppur vagamente) a quella di Goran Ivanišević, che nel 2001 divenne il primo giocatore a vincere il torneo inglese partendo da una wild card.

Presentato nella sezione ufficiale al Festival del Cinema di Roma 2017: Vincitore del Pemio del pubblico come miglior film.

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer italiano del film Borg McEnroe

Giornalista: Borg, cosa prova sapendo che entrerebbe nella storia vincendo Wimbledon per la quinta volta 
Borg (Sverrir Gudnason): Niente di particolare 

Giornalista: McEnroe ha più talento ma giocare contro Borg è come farsi prendere a martellate 

Lennart Bergellin (Stellan Skarsgård): Che cosa vuoi dal tennis? 
Borg da piccolo: Essere il migliore 
Bergellin: Il migliore in Svezia? 
Borg da piccolo: No, nel mondo 

McEnroe (Shia LaBeouf) ai giornalisti: Cosa ne sapete voi di cosa significhi giocare a tennis?... Quando sono in campo do tutto me stesso, tutto, tutto quello che ho dentro di me resta su quel maledetto campo. Ma non poetet capirlo, perché voi non giocate!

 

 

La finale del torneo di Wimbledon del 1980

Il torneo di Wimbledon del 1980, quello raccontato dal film Borg McEnroe e utilizzato per realizzare uno studio sulle psicologie di questi due straordinari campioni, si disputò dal 24 giugno al 6 luglio di quell'anno. Si trattava della 94esima edizione del torneo, il più noto e prestigioso del mondo del tennis, uno dei quattro che - con gli US Open, gli Australian Open, e il Roland Garros - compongono il cosiddetto Grande Slam. 
Di quel torneo Björn Borg e John McEnroe erano rispettivamente testa di serie numero uno e numero due. Borg era numero uno del mondo nella classifica ATP, aveva 24 anni da poco compiuti e veniva da quattro vittorie consecutive a Wimbledon; McEroe era numero tre del mondo, di anni ne aveva solo 21. 
Lo svedese arrivò in finale perdendo solo due set in tutto il torneo, mentre l'americano ne aveva persi tre. Quella finale non segnava il primo incontro tra i due, che in precedenza si erano incontrati per sette volte tra il 1978 e il 1980 con quattro vittorie di Borg e tre di McEnroe. Si trattava però della prima volta che i due disputavano una partita in un torneo del Grande Slam, e che giocavano una finale. Successivamente si sfidarono per altre sei volte, e il bilancio finale dei loro incontri è di perfetta parità: sette vittorie per Borg, sette per McEnroe. 
La finale di Wimbledon 1980 è però la più celebre delle partite che hanno disputato, ed è considerata una delle più belle mai disputate su un campo da tennis, se non la più bella in assoluto. 
Ci vollero quasi quattro ore di gioco perché Borg riuscisse a piegare McEnroe, non prima di essersi visto annullare sette match point, di cui cinque nel lunghissimo tie-break disputato al quarto set, entrato nella leggenda. 
Lo svedese vinse il suo quinto Wimbledon consecutivo con il punteggio di 1-6 7-5 6-3 6-7(16) 8-6. 
Non ci volle molto però perché il Mac si prendesse la sua rivincita: bastarono pochi mesi, quando vinse contro il rivale di sempre i suoi secondi US Open, con una partita intensa e tirata, anche quella volta, fino al quinto set.

 


 
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