Ea Sola, la celebre coreografa franco-vietnamita, vuol recuperare la memoria: nella prima versione di «Sécheresse et pluie», datata 1995, era quella della guerra, nella nuova versione - presentata al San Ferdinando nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia - è quella di tutto ciò che la guerra ha cancellato o messo fra parentesi, a partire dal rapporto con le tradizioni e la natura.
Infatti, le danzatrici e i cantanti di Ea Sola, che si presentano reggendo le sagome di dame e dignitari vestiti con i costumi del passato, sognano - sulla traccia dei versi del grande poeta Nguyen Duy - un Vietnam che riesca a sconfiggere, dopo quello americano, anche lo strapotere del Sole e della Pioggia richiamato nel titolo.
Perché è giusto contro la siccità e le inondazioni che il personaggio dell'Anonimo, simbolo dell'umanità, canta il proprio dolore. E dunque le fotografie del volto dei caduti mostrate all'inizio dalle danzatrici sono l'annuncio preciso (direi addirittura l'inseminazione) dei movimenti e dei gesti che poi scandiranno la guerra contro le calamità naturali: movimenti e gesti gravi e solenni, carichi di una sapienza millenaria e pure inscritti nella confidente coscienza della quotidianità, quella, soprattutto, della fatica - insieme dura e gioiosa - nei campi e nelle risaie.
Straordinaria, in breve, appare la coerenza che Ea Sola dispiega sul versante concettuale e tematico. E del tutto superflue sono le parole sull'altrettanto straordinaria bravura delle danzatrici, dei cantanti e dei musicisti che li accompagnano. Parliamo, insomma, di uno spettacolo bellissimo, stilisticamente perfetto e oltremodo ricco d'echi, rimandi e implicazioni.
A un certo punto, le danzatrici (non professioniste) ci guardano con un sorriso fermo e dolcissimo: la vittoria di quelle donne vietnamite abbraccia la nostra consolazione.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 30 giugno 2011)
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