CONTROSCENA

In viaggio col vino dalla terra all'anima

La danza in cui davvero si manifesta l'anima dei greci non è quella corale del sirtaki ammannito ai turisti. È quella che si può rintracciare, ma non sempre, in certi locali sperduti del bouzouki: si chiama «zeibeikiko», dalla fusione di Zeus e Bacco; e viene ballata da un uomo solo, quando il vino bevuto gli fa l'anima leggera. E il ritmo è dato dall'infrangersi dei piatti che dai tavoli gli scaraventano tra i piedi. Da un lato il vino, che regala l'onnipotenza di un dio, e dall'altro un gesto che simboleggia la rottura dell'equilibrio codificato e l'avvento della libertà. Se ne va lontano, l'uomo che balla da solo. Se lo portano memorie e malinconie, segreti e sorrisi. E nessuno lo può raggiungere.
   A questo ho pensato mentre nel museo Arcos di Benevento partecipavo a «Fermentación», l'«esperienza ludico sensoriale» proposta da Enrique Vargas nell'ambito della rassegna Città Spettacolo. È il viaggio dell'uva dall'impenetrabilità della terra alla trasparenza del bicchiere. E la fermentazione viene intesa qui come cambiamento, come passaggio da uno stato all'altro: per l'appunto ciò che accade con lo «zeibeikiko», o nelle «casas do fado» portoghesi quando ciascuno dei fadisti attende il proprio turno e poi s'alza a cantare.
   Sei solo anche se stai con i ventiquattro compagni di viaggio previsti per ognuna delle repliche. Un chicco d'uva viene disseppellito dal terriccio e passa da una mano all'altra. Quindi tutte le mani pigiano molti chicchi e il succo che ne spremono finisce in un'ampollina che a sua volta viene seppellita. E tutti i viaggiatori, stesi a casaccio in terra, si ritrovano nel buio totale, ricoperti da un telo per parecchi minuti. Son diventati essi stessi il chicco d'uva, sepolto perché possa riemergere in una vita diversa. Quella, per l'appunto, del vino che viene offerto al termine fra canti e danze.
   Sotto quel telo, prima, s'erano magari stabiliti perfino simpatie o impulsi carnali. E in ogni caso, il buio aveva favorito la discesa di ciascuno nella propria individualità più profonda: giacché tanto avviene quando sei avvolto dal mondo ma del mondo ti si nega l'evidenza superficiale, ossia l'immagine.
   Chiudo ricordando che all'inizio di «Oracoli», lo spettacolo-evento che Vargas presentò dieci anni fa a Ponticelli, una ragazza ti offriva una pagnottella appena sfornata, preludio al vino di oggi. Siamo, dunque, al rito - umanissimo anche se immerso nel Mistero - che Luca (XXII, 19) riassunse nelle parole fraterne: «Fate questo in memoria di me». 

                                                     Enrico Fiore

(«Il Mattino», 11 settembre 2011)