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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Né italiani né albanesi, solo "italianesi"

Post n°533 pubblicato il 15 Febbraio 2012 da arieleO
 

La splendida sostanza drammaturgica di «Italianesi», lo spettacolo che Saverio La Ruina presenta alla Galleria Toledo, consiste nello scarto fra l'immane tragedia subita dai personaggi qui evocati e la quotidianità minima di cui è fatta la loro vita: basta considerare il maniacale sproloquio che in apertura il protagonista, un sarto che ha passato quarant'anni in un campo di prigionia, scarica sugli spettatori circa i risvolti e la lunghezza ideali dei pantaloni.
   Quel sarto viene chiamato Tonino Cantisani, e in lui si condensano le vicende, stavolta verissime, delle migliaia di italiani che rimasero intrappolati in Albania alla fine della seconda guerra mondiale: là italiani, per l'appunto, e in quanto tali perseguitati come spie fasciste; e da noi, quando riuscivano a tornare, emarginati come albanesi e quindi «diversi». Insomma, né italiani né albanesi, soltanto degl'ibridi fantasmatici appena degni, giusto, del nome «italianesi».
   La poesia dello spettacolo, smarrita e tuttavia indomita, sta invece negli sforzi che i personaggi, privati dell'identità, compiono senza sosta per rivestire di «carne» i fantasmi a cui si son ridotti: una «carne» che è quella, senza sangue, delle illusioni partorite giorno dopo giorno per non annegare nella disperazione. Saranno, per fare solo due esempi, l'illusione dell'Italia sognata come un eldorado o l'illusione di Tonino che il padre, tornato in Italia prima che lui nascesse in Albania, possa riconoscerlo e amarlo come se gli fosse stato sempre accanto.
   In breve - nel solco di una coerenza di scrittura esemplare - questi «italianesi» si rivelano come parenti stretti delle donne calabresi protagoniste di «Dissonorata» e «La Borto», i due lavori precedenti che hanno imposto Saverio La Ruina all'attenzione del pubblico e della critica: poiché, al pari di quelle, scontano la privazione della dignità, la negazione del loro diritto a esistere in quanto persone.
   Eccellente, infine, anche la prova che La Ruina fornisce come attore, accompagnato dalle musiche dal vivo di Roberto Cherillo. Uno spettacolo da non perdere.

                                                  Enrico Fiore

(«Il Mattino», 28 gennaio 2012)

 
 
 
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