Nel costruire il personaggio di Prétextat Tach - protagonista di «Igiene dell'assassino», il romanzo d'esordio che nel 1992 le diede il successo ed ora è approdato al Nuovo, nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia, sotto forma dell'adattamento firmato da Alessandro Maggi e prodotto dallo Stabile d'Abruzzo - Amélie Nothomb s'ispirò, evidentemente, un po' a Thomas Bernhard e un po' ad Oscar Wilde. Infatti, quel personaggio dice di sé che è «disperato di non avere presente»; e a proposito di Léopoldine, la cuginetta che ha strangolato affinché non uscisse dall'Eden dell'infanzia, commenta: «Se non l'avessi amata tanto, non l'avrei uccisa». Abbiamo da un lato «Il riformatore del mondo» e dall'altro la «Ballata del carcere di Reading».
Voglio intendere, a titolo d'esempio, che il personaggio in questione potrebbe far suoi tanto una delle più celebri battute del solitario antieroe di Bernhard (al quale, del resto, somiglia per essere, come lui, una sorta di filosofo un po' folle e un po' mattacchione) quanto il verso assolutamente emblematico del recluso Wilde: potrebbe, cioè, ripetere sia che «Tutto è malato / niente che si salvi / un unico male / dappertutto» sia che «Ogni uomo uccide ciò che ama».
Ora, Prétextat Tach - un Premio Nobel per la letteratura al quale un cancro alle cartilagini lascia solo due mesi di vita - ha facile gioco, col cinismo e la provocazione, quando vanno a intervistarlo giornalisti che non conoscono le sue opere; ma viene impietosamente sconfitto da Nina, che, a differenza dei colleghi, ne ha invece letto parola per parola tutti i ventidue romanzi. E si capisce, dunque, che «Igiene dell'assassino» possiede anche il pregio di denunciare, nel solco di un'agile e pure corrosiva ironia, il vuoto che nasconde, oggi, ciò che chiamiamo informazione e dibattito culturale.
Il tema principale, però, è per l'appunto il rifiuto di «crescere», ossia di omologarsi alla società costituita degli «adulti»: tanto che, alla fine, Nina - trasformatasi nel suo avatar - strangolerà Prétextat Tach, esaudendo, così, il desiderio del vecchio di chiudere la vita col retrocedere alla stessa condizione d'innocenza in cui, uccidendola, lui aveva bloccato Léopoldine.
Ma ben lontana da tutto questo appare l'anodina regia che lo stesso Maggi mette in campo. A fronte di un testo che, come ho cercato di dimostrare, si pone soprattutto nei termini di una dimensione mentale e concettuale, qui si dà luogo a quanto di più scontato si possa immaginare sul piano del bozzettismo naturalistico: e tanto a partire dalla scena di Marta Crisolini Malatesta, che, sullo sfondo di due pagine dattiloscritte innalzate protervamente a mo' di pareti, accumula un bric-à-brac impolverato di sedie, valigie, pentole e coperchi.
Non resta, allora, che la prova magistrale fornita dal solito Eros Pagni, che, come solo ai grandi attori riesce, può risultare, nello stesso tempo, comico, tragico, sarcastico, malinconico, lunatico e addirittura, e imprevedibilmente, romantico. Al suo fianco, invece, la Nina di Federica Di Martino mostra, alternativamente e incomprensibilmente, un risentimento da suffragetta e un'esagitazione da baccante spinti fino alle contorsioni isteriche sul pavimento.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 10 giugno 2012)
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