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"Ferdinando" nella gabbia dell'isteria

Post n°607 pubblicato il 11 Settembre 2012 da arieleO
 

Arturo Cirillo - regista dell'allestimento di «Ferdinando» presentato dalla Fondazione Salerno Contemporanea nell'ambito della rassegna «Benevento Città Spettacolo» - ha ragione quando scrive, nelle sue note, che quel capolavoro di Ruccello gli «è apparso come un travestimento, un povero e meschino cerimoniale, come certi testi di Jean Genet».
   Infatti, i personaggi qui in campo sostituiscono un parlarsi addosso «inventato» a una realtà e a una vita che, per motivi diversi, ciascuno di loro preferisce evitare o esorcizzare. In altri termini, questo splendido testo di Ruccello si pone, in tutta evidenza, come un autentico «falso» o, meglio, come una dimensione mentale. E dunque la sostanza del personaggio Ferdinando è quella di una pura idea, a metà fra la «bellezza che uccide» di Rilke e, se vogliamo, l'«angelo necessario» di Cacciari.
   Di conseguenza, sarebbe obbligata, al riguardo, una recitazione spenta e monocorde, come un basso continuo dell'assenza e dell'astrazione. E invece, nell'allestimento diretto da Cirillo s'accampa - per giunta contraddittoriamente rispetto alla scena di Dario Gessati, popolata, giusto, da pochi arredi che galleggiano nel vuoto - una recitazione costantemente sopra le righe, tramata di accensioni nevrotiche e di striduli scoppi di rabbia oltre che, ancor più contraddittoriamente, di escursioni farsesche tanto improvvise quanto inopinate.
   Ma, per farla breve, l'isteria ha in comune con la follia soltanto la rima. E poi, si sente che le due protagoniste maggiori - Sabrina Scuccimarra (Clotilde) e Monica Piseddu (Gesualda), pur brave e impegnate - non sono napoletane: giacché, tanto per fare solo un esempio, «nun 'o vvoglio» significa, ovviamente, una cosa diversa rispetto al ruccelliano «nun 'o voglio». Del tutto inesistente, infine, il Ferdinando di Nino Bruno e piuttosto inconcludente il Don Catellino dello stesso Cirillo.
   Riassumo, quindi. Se tutti i personaggi sono sempre in scena, si tratta di una gran bella idea di regia: perché la sincronia traduce come meglio non si potrebbe la dimensione mentale di cui sopra. Ma se poi il regista utilizza quell'idea soltanto per esibire una volta di più il posteriore nudo di Ferdinando, allora si tratta... beh, di che cosa si tratta decidetelo voi.
   Volendo, insomma, concludere con un bilancio degli allestimenti sinora firmati da Arturo Cirillo a proposito dell'opera di Ruccello, questo di «Ferdinando» è tanto deludente quanto erano intelligenti e coinvolgenti quelli de «L'ereditiera» e de «Le cinque rose di Jennifer».

                                            Enrico Fiore

(«Il Mattino», 10 settembre 2012)

 
 
 
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