«Questo dramma va rappresentato in stile grandioso, perché gli avvenimenti acquistino quel risalto che purtroppo loro compete; se possibile, con chiare reminiscenze del dramma storico elisabettiano». E ancora: «[...] va evitata la pura e semplice parodia, e anche in chiave di grottesco non deve mai venir meno l'atmosfera di orrore».
Sono alcune delle raccomandazioni premesse da Brecht a «La resistibile ascesa di Arturo Ui», la parabola, scritta nel 1941 durante l'esilio finlandese, in cui descrive la marcia verso il potere di Hitler ambientandola a Chicago e, dunque, assimilando il dittatore nazista ad Al Capone. E direi che l'allestimento di quel dramma proposto al Bellini da Emilia Romagna Teatro e Teatro di Roma le applica come meglio non si sarebbe potuto, con una precisione non disgiunta dall'inventiva.
Davvero «grandioso», nel senso della complessità tecnica e della multiformità linguistica, si dimostra infatti questo spettacolo, che accoglie, insieme, gli stilemi della rivista, del circo e del Kabarett espressionistico tedesco. E la regia di Claudio Longhi, mentre sottolinea i rimandi al dramma storico elisabettiano con la citazione per intero del discorso di Antonio dal «Giulio Cesare» di Shakespeare, che nel testo di Brecht compare solo in parte, provvede a rendere esplicite - mediante scritte proiettate sulla sommità dell'arco scenico - le corrispondenze fra la metafora statunitense e la realtà dei tragici eventi che si verificarono in Germania negli anni Trenta.
Vedi, per fare solo un esempio, la scritta riferita all'incendio del Reichstag che accompagna lo svolgersi della scena relativa a quello del magazzino di Hook. Ma l'ironia tagliente di Brecht si spinge sino al punto di trasformare le predette reminiscenze del dramma storico elisabettiano nella configurazione di Hitler/Arturo Ui come un vero e proprio teatrante. E qui si determina, poi, la prova straordinaria fornita da Umberto Orsini.
Lui è Hitler, il gangster Arturo Ui (alias Al Capone) e l'attore che dà a Ui lezioni di dizione e portamento: e incarna, quindi, l'esasperazione sino all'iperbole della finzione (ad un tempo morale e ideologica) che connotò l'ascesa maledetta di cui si parla.
Accanto a Orsini vanno citati almeno Lino Guanciale (Ernesto Roma) e Luca Micheletti (Giuseppe Givola). Insomma, uno spettacolo che riporta il teatro a un salutare impegno civile.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 2 marzo 2012)