Un turista napoletano si ritrova solo nel bel mezzo del Sahara, dopo che l'aereo su cui viaggiava è stato costretto a un atterraggio di fortuna e i soccorritori berberi non si sono accorti di lui, rimasto semistordito nella toilette forse per aver battuto la testa. Ed ecco che, mentre sproloquia tra sé e sé, gli si presentano in rapida successione tutta una serie di miraggi e allucinazioni: per esempio, crede di vedere odalische sinuose e strambi personaggi (dal comandante dell'aereo a un vu cumprà) che hanno, immancabilmente, la faccia del suo amico Francesco.
Questo, in sintesi, il plot di «Esseoesse», lo spettacolo di Bruno Tabacchini e Biagio Izzo che ha aperto, per la regia di Claudio Insegno, la stagione dell'Augusteo. E si capisce, dunque, che siamo di fronte a uno schema che alterna, sistematicamente, i monologhi dello stesso Izzo alle scenette fra lui e Francesco Procopio e ai balletti: il tutto, beninteso, in chiave di cabaret e nel più inconfondibile stile televisivo mutuato, che so, da «Zelig» o «Made in Sud».
Volete sapere quali sono i risultati? Il discorso sulla proverbiale pigrizia dei napoletani si traduce nel seguente commento di Biagio Izzo ai piedi della piramide: «E chillo pirciò 'o faraone sta dint' 'o museo. Quanno vedette chella scala, dicette: e i' avess'a saglì fino a llà 'ncoppa? A chi? Nun ce vengo manco muorto!»; e tanto per proporre solo un altro assaggio, c'è l'indiano, debitamente munito di penne e frecce, che avverte: «Mò m'aggio 'a mettere 'a crema... so' pellerossa».
Ma ci sono pure una stoccata allo Stato che non procede alle indispensabili bonifiche nella Terra dei Fuochi e un appello contro lo sfruttamento degli extracomunitari. E finisce con un capovolgimento di prospettiva: il nostro malcapitato e allucinato turista, che aveva cominciato rimpiangendo per disperazione i familiari disagi della sua Napoli («Voglio 'o burdello, voglio 'o burdello!»), al termine grida convinto («I' so' vivo, i' so' vivo!!!») che sta meglio nella pace del deserto.
Il resto, ovviamente, è affidato al mestiere e alla simpatia dei due protagonisti, appunto Biagio Izzo e la sua «spalla» Francesco Procopio. E non scarseggiano, di conseguenza, le risate e gli applausi a scena aperta. Così… «È l'intreccio terminato / Lieto fine ha il dramma mio / E contento qual son io / Anche il pubblico sarà» (Felice Romani, «Il Turco in Italia», scena ultima).
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 29 ottobre 2013)
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