Quando, in apertura, Lara Sansone (un gran bel vedere la fluente chioma bionda e le calze a rete autoreggenti) canta: «A 'o Café Chantant si' sicuro ca almeno pe' 'na sera te può cunzula'», ripete con altre parole quel che diceva sempre l'indimenticabile Nino Veglia.
Infatti, «I love Napoli Café Chantant. Bon voyage!», che si replica al Sannazaro fino al 6 gennaio, rappresenta prima di tutto e soprattutto la fedeltà a una tradizione, a un intento e a una formula: la tradizione dello spettacolo leggero nostrano, l'intento di offrire un prodotto popolare e la formula dell'allestimento d'arte varia destinato in particolare - come dichiara quel «Bon voyage!» - ai turisti. E insomma, dietro l'idea qui sviluppata c'è la filosofia del teatro come piacere (per gli attori e per il pubblico) che fece grande la «bomboniera di via Chiaia» sotto la guida dei nonni di Lara, Nino Veglia, appunto, e l'inarrivabile Luisa Conte.
Ecco, allora, che si susseguono a ritmo velocissimo, e senza soluzione di continuità, la canzone napoletana (dai classici a Peppino Di Capri, Carosone e Pino Daniele), la tarantella che irrompe dalla sala, l'happening dello spettatore chiamato a far la vittima di «E levate 'a cammesella», le celebri melodie internazionali, i siparietti comici sui temi d'attualità collegati al clima natalizio, il teatro di Eduardo (con i brani canonici di «Filumena Marturano»), i Gipsy King e il «Cocorito» di Renzo Arbore con le ballerine stile carnevale di Rio ad ancheggiare sui tavolini che nella platea hanno preso il posto delle poltrone.
Infaticabile, Lara Sansone - nelle vesti della soubrette o, meglio, della sciantosa - è l'autentico motore di tutto questo. Si distingue proprio nei momenti più rischiosi, quando esegue una sincopata «So' Bammenella 'e copp' 'e Quartiere» o sussurra «Fly me to the moon» sdraiata su una falce di luna sospesa a mezz'aria. E apprezzabili sono al suo fianco il trio Ardone-Peluso-Massa e il tenore Luca Sepe.
Alla «prima», ho sentito negli applausi scroscianti lo stesso affetto che esprimevano quelli tributati a Donna Luisa. Può essere contenta, Lara.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 20 dicembre 2012)
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