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Essere "soli come un cane" è vivere o sopravvivere?

Post n°8 pubblicato il 06 Settembre 2014 da dagbog
 

Leggo le rubriche che si occupano di questioni d'amore con interesse, perché rappresentano uno spaccato del delirio emozionale che investe le persone, spesso afflitte da un'invincibile solitudine che le porta, a ragione o a torto, a scrivere ad un giornale.
Due lettere mi hanno colpito, presenti nello stesso numero, ma scritte da due due lettori diversi, entrambi uomini. La prima racconta di un amore che si trascina nell'indifferenza. Un amore su cui lo stesso autore della lettera non avrebbe scommesso nulla, ma che va avanti da dodici anni.
Fin qui appare tutto abbastanza già visto, salvo la conclusione schietta della lettera che dice "Talvolta penso, anzi spero, che anche da lei (ovvero, la sua attuale compagna) sia prevalsa la stessa riflessione, ovvero che sarebbe stata l'ultima occasione della vita per non finire soli come un cane".
"Soli come un cane", che brutto paragone. Ci si interroga, soprattutto se si vive da soli, senza un compagno o una compagna, come nel caso dell'autrice della Rubrica, se la propria condizione rientri in questa similitudine, che annichilisce per la sua crudezza (e, in alcuni casi, per la crudeltà di chi la pensa e chi la dice).
Sorvolo sulla risposta data e vado alla seconda lettera, in cui un altro lettore afferma che ci vuole "coraggio ad amare e farsi amare, coraggio di lasciare, coraggio di essere se stessi, di mostrare all'altro la propria parte più oscura."
E, visto che il lettore si dichiara innamorato "per la prima volta" di una donna che definisce "totalizzante", conclude affermando: "Credo che serva più coraggio per vivere che per sopravvivere".
Naturalmente per lui "vivere" è comunque accettare una situazione di innamoramento verso una persona "totalizzante" e "sopravvivere" il resto.
La risposta dell'autrice della rubrica è molto interessante. La condivido e la riporto integralmente: " Per accettare di essere innamorati e soprattutto amati, occorre coraggio: perché si ha paura di delusioni, di illusioni, di non essere all'altezza, di affrontare un rapporto che forse non ci farà felici. Bisogna buttarsi nei sentimenti, non lasciarsi trattenere per paura o orgoglio o desiderio di indipendenza. Ma soprattutto il vero coraggio bisogna averlo quando si smette di amare e soprattutto di essere amati.
Dalle lettere che ricevo, vedo coppie esauste, soffocate dall'indifferenza se non dal rancore, e che pure non hanno il coraggio di prendere una decisione certo difficile ma che può restitituire una forma di serenità e di libertà da una quotidianità opaca e che appare senza vie d'uscita.
Si ha paura per i figli, per la solitudine, per la perdita di status, per le comodità, per i parenti, per il denaro, perché si era costruito un futuro che si è rivelato inesistente. Si sceglie di sopravvivere, mentre con un po' di coraggio e certamente di dolore, si potrebbe vivere."
La definizione del "vivere" rispetto al "sopravvivere" è opposta a quella del lettore e contempla una risposta implicita alla prima lettera di cui ho riportato un estratto.
Restare da soli "come un cane" è "vivere" o "sopravvivere"?
Si fanno delle scelte e, comunque si decida, serve coraggio. Penso che ciò che frega la nostra mente sia il tempo che, negli anni, smussa il ricordo, appiattisce gli spigoli, facendoci dimenticare perché abbiamo avuto il coraggio di chiudere una storia. Allora viene alla luce il rimpianto, frutto dell'inganno di un ricordo mistificato, "utopia retroattiva", e ci fa abbracciare l'idea che stare da soli sia "stare come un cane".
Ancor più se si pensa al futuro legato alla fine dei nostri giorni e, quando si ha una certa età accade, e si ragiona sull'opportunità di morire da soli, nella propria casa, ed essere trovati dopo tempo, senza che sia concesso nemmeno il diritto al pudore della preparazione alla morte.
Si ragiona anche su questo. E se provi a distrarti c'è sempre qualcuno che fa di tutto, inconsapevolmete o con deliberata cattiveria, per ricordarti la tua condizione, qualunque sia.

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Commenti al Post:
guchippai
guchippai il 06/09/14 alle 11:45 via WEB
penso che la paura del male sia sempre peggiore del male in sè. a me, per esempio, i cani non piacciono. mi piacciono invece moltissimo i gatti e non mi spaventerebbe affatto essere "sola come un gatto", ovvero indipendente e in grado di provvedere da sola alle mie necessità.
 
 
dagbog
dagbog il 06/09/14 alle 13:54 via WEB
Giusta considerazione, se ci si identifica col gatto anziché col cane. Il cane riesce ad essere ugualmente indipendente, ma forse non è la sua natura e soffre la condizione di solitudine più del gatto. Andando oltre i paragoni, la solitudine è solitudine, è non è detto che debba essere obbligatoriamente associata al male, se solo si è capaci di guardarla dritto negli occhi, di conoscerla e, quindi, di accettarla.
 
paolafenini
paolafenini il 29/09/14 alle 14:59 via WEB
Jean Burden ha detto che "Un cane è prosa; un gatto è poema". I gatti sono i compagni ideali, non sconvolgono le abitudini, non sono invadenti come i cani. Con loro c'è un dialogo gratificante e soddisfacente basato sul fatto che entrambe le parti apprezzano che nessuno dei due approfitterà dell'altro. Ecco perché anch'io mi identifico nel gatto...
 
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